32 pensieri su “Husserl o Heidegger?

  1. Husserl si concentra sul ruolo che la filosofia acquisisce in seguito alle due grandi crisi avvenute tra la fine dell’800 e inizio del ‘900, ovvero la crisi delle certezze in ambito scientifico, con la teoria della relatività e la nascita della meccanica quantistica e la crisi delle scienze europee, sollevata dai maestri del sospetto, che avevano messo in luce le problematiche del pensiero classico metafisico antecedente. Per Husserl la filosofia nasce come sapere rigoroso, che deve ritornare alle cose stesse, prima di attuare qualsiasi ricerca scientifica sulla realtà stessa, per riuscire a cogliere la realtà senza farsi ingannare dalle interpretazioni.
    In una prospettiva storicistica, il vissuto dell’individuo, per Husserl, che si rifà a Dilthey per questo concetto, è la chiave per interpretare il vissuto altrui. Mentre il vissuto però aveva importanza nell’ambito delle scienze umane, Husserl è radicale e lo considera importante per qualsiasi scienza e realtà. Il filosofo quindi deve fare un lavoro di introspezione sul nostro vissuto per distinguere i campi della realtà prima di qualsiasi analisi empirica.
    In questo caso Husselr non pone alcuna attenzione sull’esistenza degli oggetti (questioni non fenomenologiche), ma pone attenzione unicamente sul tipo di oggetto di cui l’uomo diventa cosciente (che “intenziona”). La filosofia fenomenologica di Husserl, è simile alla filosofia tedesca Gestalt, dal momento che si interroga anche essa sulle forme a priori che abitano la mente dell’uomo (ma senza esperimenti sulle cavie, com’è invece per quella tedesca).
    La filosofia fenomenologica recupera quella cartesiana e kantiana (questione su come conosce l’uomo) e recupera quindi la tradizione che invita l’uomo a pensare alla realtà, scavalcando la mediazione scientifica, dal momento che la classificazione delle essenze nella nostra mente è soggettiva, personale e a priori e di conseguenza non può essere smentita da alcuna analisi scientifica.
    Molto importante per il filosofo, che compie questo lavoro di introspezione, è l’attuazione della condizione di epochè. Questa condizione di sospensione dei pregiudizi, permette di non confondere i fatti con le interpretazioni e di isolare le sensazioni.
    In totale disaccordo con Husserl, su alcune questioni, Heidegger propone una nuova dimensione della fenomenologia che è sia esistenzialistica che ermeneutica, con cui io mi trovo maggiormente in sintonia. Per Heidegger il ritorno alle cose stesse è tanto importante quanto per Husserl, ma in maniera del tutto originale e discostandosi dall’idea del primo filosofo; Heidegger afferma che il modo fondamentale con cui l’uomo si relaziona agli oggetti, non è il modo della coscienza, ma il modo dell’uso. Ovvero l’uomo si serve spontaneamente degli oggetti, che sono utensili e che assumono senso nella significatività del nostro mondo. Lo sguardo di Husserl, che vuole essere puro, è una sguardo viziato da un pregiudizio tradizionale ( le cose sono oggetti da noi conosciuti).
    A differenza di Husserl, Heidegger inoltre si concentra sul senso d’essere delle cose (parte esistenzialistica) e non sulla domanda di Husserl (che cosa sono le cose). Senz’altro innovativo è quindi il considerare le cose non più come oggetti ma come cose che assumono un senso in base a noi stessi e al tipo di vita che viviamo (qui c’è anche la distinzione tra vita autentica e inautentica).
    La tesi fondamentale che però differenzia maggiormente l’ermeneutica dalla fenomenologia, e con cui mi trovo in completo accordo, è il rifiuto di fare epochè di Heiddeger. Il senso che diamo alle cose è frutto dell’epoca in cui viviamo e senza i pregiudizi non sarebbe possibile avere chiavi interpretative di alcun che ( come sottolinea anche Gadamer in seguito), quindi i pregiudizi sono necessari e sufficienti per chi conduce una vita inautentica (non si interroga sulle proprie azioni), ma discutibili e trattabili per chi conduce una vita autentica e attraverso l’esperienza si arricchisce. Questo in ogni caso non fa arrivare l’uomo alla verità, ma lo avvicina solamente ad essa.

    1. Hai ascoltato come molta attenzione le mie videolezioni (forse troppa!, se non fossi io il commissario d’esame ti suggerirei di arricchire il tuo lessico nel trattare questi argomenti con uno studio più approfondito della versione di D’Eredità e Petris sull’argomento…). La tua risposta è dunque ricca e informata, ma non priva di una tua chiara e giustificata presa di posizione. Ottimo lavoro.

  2. Per la prima volta non sono in grado di scegliere in modo netto uno dei due pensieri messi a confronto in quanto non trovo in essi teorie mal supportate oppure particolari non chiari. Nonostante ciò(visto che la domanda mi impone di scegliere) credo di essere più affascinato dall’approccio ermeneutico di Heidegger. Sostanzialmente questa mia scelta verte su tre punti:
    -la differenziazione che Heidegger fa tra oggetto e utensile, in quanto qualsiasi “cosa” cambia di significato e senso a seconda dell’uso che ne facciamo.
    -l’applicazione della parola utensile alle persone che non sono in grado di vivere una vita autentica, ovvero coloro che non sanno darsi un significato irripetibile bensì lasciano che siano gli altri ad assegnarglielo a seconda dell’uso che ne fanno(ciò dovrebbe spronarci a vivere in modo indipendente senza farci troppo influenzare dall’opinione che gli altri hanno di noi).
    -il fatto che il linguaggio venga da lui definito la “casa dell’essere” difatti seppur noi(umanità) siamo convinti di parlare una lingua che è stata da noi scelta in qualche modo, ciò in realtà non è così, difatti nessuno ha avuto la possibilità di scegliere la propria lingua madre(cosa a cui non avevo mai fatto caso), ovvero quella che è la fonte delle nostre prime conoscenze dopo essere venuti al mondo(che sono inoltre gli anni di maggiore apprendimento)e sulle quali si baserà tutto il nostro pensiero futuro.
    Inoltre per ciò che riguarda il pensiero di Husserl trovo abbastanza difficile che un uomo sia in grado di sospendere completamente i propri pregiudizi sul mondo(esercitare l’epochè), in quanto sarebbe necessario “rinascere” in quell’istante cancellando qualsiasi conoscenza acquisita in precedenza.
    Quindi seppur teoricamente valida come soluzione penso che nella pratica sia difficilmente realizzabile.

    1. Risposta sincera e apprezzabile pur nella sua indecisione o forse proprio per essa. Hai colto diversi aspetti rilevanti della teoria di Heidegger.

  3. Non sento di poter dare una risposta molto articolata o esaustiva alla domanda fatta e a tutte le sue implicazioni(ho ancora troppi dubbi ai quali devo ancora rispondere),tuttavia sento comunque di propendere verso l’aspetto ermeneutico della questione piuttosto che quello fenomenologico;cio per una serie di motive:
    -il metodo fenomenologico mi sembra troppo riduttivo o “perfetto” o “ideale” per convincermi e l’idea(che e la sua idea centrale) secondo la quale si possa effettivamente cogliere l’essenza della realta(con essa intendo “il tutto” compressi soggetti,oggetti , io ecc) mi sembra,di nuovo,troppo “romantica” per poter essere vera(forse in questo sono influenzato dalla scienza dell 900,la quale insegna che ogni pretesa di un sapere certo sulla natura delle cose e lontana dalla natura stessa delle cose)
    -un ulterior motivo,che e naturalmente legato a quello di sopra,e la possibilita dell”epoche”;come Heidegger(ma con delle basi filosofiche ovviamente piu futili) non sono del tutto convinto che si possa sospendere il giudizio su ogni cosa perche: da un lato ritengo impossibile cio in quanto il giudizio,l’interpretazione e una parte intrinseca della nosstra natura(forse anche in questo c’e un influenza del 900 ,ma sta volta non e tanto la scienza quanto l’espistemologia e specialmente quella di Quine) e non sta nel nostro potere rinunciare ad essa quando vogliamo(per la mia vision e come rinunciare ad “essere”),dall’altro lato non riesco bene a capire(e forse questo e un mio limite e non della fenomenologia) come posso definire un “giudizio” o meglio “pregiudizio”,per saperne poi che mi sono liberato da esso;cioe non vedo come io possa capire che quello di cui mi sono liberato era un pregiudizio e cio che resta e l’essenza delle cose e viceversa,non riesco a vedere dov’e questa linea di demarcazione(se effettivamente esiste una tale linea)…
    -…ed e per questo motivo che ritengo piu appropriato l’approccio ermeneutico:dato che non ho modo di distinguere un mio pregiudizio da cio che e essenziale(poi,di nuovo,chi e che mi dice cos’e l’essenziale?non sono forse io stesso,con tutti I miei pregiudizi a stabilirlo?) e dato che non ho nemmeno una modalita per liberarmene completamente, mi risulta piu convincente l’approccio ermeneutico secondo il quale,invece che tentare invano di eliminare l’ineliminilabile e intrinseco “pregiudizio”,meglio partire da esso e capire come storicamente si e arrivati ad esso(il metodo mi sembra una curiosa combinazione fra l’approccio “genealogico” di Nietzsche e la visione di Hegel).
    Quest’ultimo punto e per me di fondamentale importanza ed e quello che ha contribuito maggiormente a convincermi:con Hussel si arriva alla certezza(cosa per me e ,prima ancora,per la scienza dell 900 inconcepibile),mentre con Heidegger si arriva ad un miglioramento,un’avvicinamento alla certezza(in termini scientific e un po forzatamente si puo dire che si e arrivati ad una risposta piu “probabilmente vicino alla verita”).
    Sono convinto di non aver risposto esaustivamente alla domanda(e solo perche l’argomento e complesso mentre il mio tempo e ristretto),ma spero di averlo fatto almeno in parte.

    1. La tua risposta mi sembra abbastanza “articolata se non o esaustiva, nonostante la tua premessa. La tua riflessione è tutt’altro che banale e appare discretamente argomentata. Sulla base delle mie “lezioni” non era facile dire qualcosa di più approfondito (senza leggere direttamente i testi degli autori evocati, ad esempio).

  4. Non mi trovo d’accordo con ciò che sostiene Husserl riguardo alla decisione di fare “epoche”, ovvero di sospendere il giudizio, dato che ognuno di noi ne ha già di base. I pregiudizi caratterizzano l’uomo proprio perché è lui a dare loro significato, e per questo non è un criterio adeguato quello fenomenologia.
    L’approccio ermeneutico, invece, mi sembra quello più esauriente, dal momento che parte dai pregiudizi e indaga sul significato e sul senso delle cose stesse, alla prima incomprensione.
    Di conseguenza è necessario correggere i pregiudizi sulla base della propria esperienza, che li smentisce e permette di modificarli. Si precipita così, in un circolo vizioso, definito da Gadamer “circolo ermeneutico”, che permette di interpretare le cose a partire proprio da questa correzione; l’interpretazione non porta alla comprensione totale e completa delle cose, ma fa capire che queste assumono il significato che noi decidiamo di dare loro.
    Mi sembra un approccio convincente, perché mostrando che siamo proprio noi a dare un significato alle cose in base alla nostra esperienza e conoscenza, si spiega il motivo per cui ci sono così tante diverse interpretazioni al mondo, ed essenze che sono tutt’altro che universali. Non riusciamo a cogliere la verità, perché ci troviamo in una dimensione storica, ma questo criterio di messa in discussione dei pregiudizi ci fa avvicinare molto ad essa.
    L’ermeneutica, in fondo, facendoci indagare sui nostri pregiudizi, ci fa capire che siamo eredi della storia e che il nostro modo di pensare deriva da ciò che c’è stato prima di noi, permettendoci così di capire chi siamo.

  5. La prospettiva che mi ha più convinto è stata quella ermeneutica; infatti trovo più adeguate e contemporanee le visioni di Heidegger e Gadamer perchè a mio parere risultano più coerenti rispetto alla categorica fenomenologia di Husserl in quanto insistono sulla soggettività del processo conoscitivo. Queste correnti filosofiche infatti sostengono che non sia possibile mettere in atto la sospensione del giudizio suggerita da Husserl (la cosiddetta epochè ) poichè significherebbe sopprimere quella pre-comprensione del mondo e delle cose ( dettata dalla propria esperienza e dal contesto sociale in cui siamo immersi) che è l’unica che ci permette di scorgere, seppur parzialmente, la vera essenza delle cose. L’essenza delle cose rimane tuttavia inconoscibile in quanto la conoscenza che possiamo averne è inevitabilmente influenzata e plasmata dal nostro linguaggio e dalle categorie mentali che attribuiamo soggettivamente a ciascun oggetto.
    Un altro aspetto che mi ha colpito è la distinzione che Heidegger fa tra chi attribuisce un senso alle cose, e indirettamente a se’ stesso, sulla base dell’uso che ne fa e chi invece non rimane passivo davanti allo scorrere del tempo cercando di rendere irripetibile ogni attimo (attribuendogli così un valore unico) poichè consapevole del suo “essere-per-la-morte” e quindi della sua esclusività nella storia. Questa idea mi ha interessato perchè mi ha subito ricordato la distinzione pirandelliana fra “vivere” e “guardarsi vivere” (esemplare nel fu Mattia Pascal) e il celebre verso di Orazio “Carpe Diem” che seppur con accezioni leggermente diverse esprimono a mio parere lo stesso concetto.

    1. Risposta davvero ricca di riferimenti e, soprattutto, di riflessione. Hai colto aspetti fondamentali dell’approccio heideggeriano. L’analogia con Pirandello non è affatto casuale. Tutte queste attenzioni per la vita sono figlie della crisi delle certezze tra Otto e Novecento che ha investito la filosofia (già con Nietzsche), la letteratura (con il decadentismo), l’arte ecc.

  6. Sebbene Heidegger affermi che con l’epoché non si arrivi a comprendere l’essenza, poiché con essa si avrebbe solo una visione parziale delle “cose” e anzi ci si allontanerebbe ancora di più dalla realtà, ritengo invece che la sua teoria sia più convincente. Per quanto meno pragmatica, forse potremmo dire anche “più astratta”, la fenomenologia di Husserl mi ha convinto maggiormente in quanto ritengo che la filosofia sia l’unica in grado di spiegare e capire la vera essenza delle “cose” (come anche le emozioni, sensazioni, stati d’animo) tramite una mappa che contiene una serie di nozioni che noi ci procuriamo dalla nostra esperienza che dunque sono ben lontane dalla definizione aristotelica, ma che sono fondamentali per giungere ad una vera e propria essenza.

    1. La tua tesi è chiara ma difetta “paurosamente” di argomentazioni. Heidegger critica molto chiaramente l’approccio di Husserl con argomenti che ho cercato di illustrarvi. Come mai questi non ti convincono? Come evitare che nel tentare di cogliere le essenze delle cose non si finisca per proiettare su di esse i propri pregiudizi?

  7. Scusi prof! Mi sono accorta di avere sbagliato una cosa: sostituisca alla frase “ritengo invece che la sua teoria sia più convincente” la frase “io ritengo invece che quella di Husserl sia una teoria più convincente”. Perché ho dimenticato di specificare con chi mi trovavo d’accordo.

  8. Tra le due ritengo che la prospettiva filosofica di Heidegger sia più convincente, infatti, come ritiene il filosofo, invece di soffermarsi sulla conoscenza degli oggetti , come fa anche Husserl, bisognerebbe soffermarsi sull’utilizzo di questi. Ritengo che ciò avvenga e sia avvenuto, magari anche inconsapevolmente, fin dagli albori dell’umanità da quando l’uomo ha iniziato ad usufruire degli oggetti per, come spiega Heidegger, prendersi cura di sé stesso, altre persone e cose. Ritengo anche che sia convincente il fatto che l’uomo si ponga di dover conoscere una certa cosa quando appunto c’è un problema. Ciò lo si può notare anche con il problema attuale del Covid-19. Infatti le persone, se non si fosse presentata questa condizione, non si sarebbero mai poste il problema di informarsi e di venire a conoscenza o di avere una maggiore conoscenza di questo coronavirus.
    Trovo più convincente il pensiero di Heidegger appunto perché mi sembra meglio rappresentare l’agire dell’uomo.

    1. Anche tu come altri (ad es. Nicola Venica) cogli aspetti forse non così centrali della riflessione di Heidegger. Anche l’esempio del Covid-19 suggerisce che tu non abbia colto il senso dell’operazione heideggeriana (probabilmente a causa della sua complessità e dei limiti del tuo professore di filosofia nel cercare di esporla nel modo più semplice possibile). E’ ovvio che la gente non si sarebbe posta il problema del covid-19 se non si fosse presentata questa malattia. Ma detta così questa cosa non è molto illuminante, p.e., in merito al circolo ermeneutico come lo intendono Heidegger e Gadamer.

  9. La prospettiva filosofica più interessante secondo me è quella di Heidegger.
    In primis per la sua originalità e la sua diversità dalle altre teorie/ prospettive precedentemente studiato nei tre anni, la rivo una prospettiva più interpretativa e che può assumere vari significati (sempre logici ovviamente) come nell’esempio della sedia: infatti noi ormai utilizziamo spesso il termine dell’oggetto che intendiamo anche in base al significato che esso ha; ovvero non serve per forza spiegare bene come compiere l’azione (come nell’esempio della sedia), ma basta correlare il significato della parola al suo modo di utilizzo, al suo valore che ha nel nostro ‘mondo’.
    Inoltre ritengo corretta la sua visione del fatto che gli oggetti hanno funzione in quanto enti per il proprio uso, infatti un oggetto ha un determinato metodo di utilizzo, spesso comune in più persone, e non mi verrebbe in mente di pensare ad un suo uso scorretto o impensabile, se l’uso generico è quello anche il pensiero che mi faccio si rifarà a quell’uso.
    Riflettendo poi mi accorgo di quanto sia vero il fatto che oggi noi utilizziamo come sinonimi le parole cosa e oggetto, mentre non sappiamo quanti studi su ciò si sono stati fatti.
    Un’altro punto a favore di Heidegger è la sua concretezza della teoria rispetto a quella di Husserl, dove quest’ultimo cerca sempre di trovare la definizione e la concezione anche dell’oggetto/idea più astratto, trovando dunque la teoria molto più intrigata e meno facilmente comprensibile. Concludo anche concordando la definizione di essere, ovvero il fatto che noi ci siamo e abbiamo una coscienza ci rende già più concreti (discorso che non approfondisco in quanto già spiegato nel video), inoltre la caratteristica che ci differenzia e ci fa ‘essere’ è il prendersi cura di noi stessi, concezione e idea molto innovativa e moderna che il filosofo degli anni 30 fa.

    1. E’ pregevole che tu sia stato così colpito da Heidegger. Tuttavia, la tua riflessione si concentra su aspetti forse non così decisivi e fraintende, forse, in taluni punti, il disegno heideggeriano. Generalmente l’approccio di Heidegger è considerato tutt’altro che più semplice di quello di Husserl. L’obiettivo non è quello di sostenere che utilizziamo gli oggetti, magari in modo simile da parte di persone diverse, ma di comprendere il senso dell’essere. Non si tratta neanche di evocare complicate discussione relative alla differenza tra cosa e oggetto (che non esistono: esiste solo la messa in luce heideggeriana che le cose non si riducono ad essere oggetti). Insomma cogli aspetti qua e là rilevanti di Heidegger, ma sembra sfuggirti il senso profondo dell’ermeneutica che da lui prende il via.

      1. Capito prof, quindi lei consiglia di rivedermi la sua videolezione (quella di 55 min su Heiedegger) e magari approfondire di più gli aspetti centrali su cui si focalizza questo filosofo? (ovvero, come ha detto, il senso dell’essere)

        1. Si, te lo consiglio, anche se non sei più tenuto a rispondere qui. Fallo per prepararti al meglio al “colloquio colto” a distanza che mi auguro vorrai sostenere.

  10. Personalmente preferisco l’approccio ermeneutico a quello fenomenologico, perché di quest’ultimo non condivido la posizione di anti-storicismo né il concetto di una filosofia rifondata dalle basi, che ritorni alla descrizione dei propri contenuti di coscienza; ritengo che non sia possibile comprendere il presente se non attraverso il passato e ciò che lo ha caratterizzato. Ognuno di noi parte sempre da una determinata precomprensione del mondo circostante (da cui derivano le interpretazioni e la comprensione dello stesso. Indubbiamente la tradizione (religiosa o sociale) ha una grande influenza (anche inconsapevole) sulle decisioni che prendiamo e sul modo che abbiamo di affrontare il percorso della vita. Come Gadamer, penso sia impossible vedere la verità dall’alto (come sostenuto da Husserl con il concetto di epoché), poiché un minimo di soggettività esisterà sempre, rendendo complicata la distinzione tra percezione e interpretazione. La verità relativa che ognuno professa è il risultato di un’applicazione di ulteriori interpretazioni alle nostre precomprensioni originarie, e dipende dalle prospettive che assumiamo nel corso dell’esistenza. Quindi rifondare da zero la filosofia potrebbe risultare dannoso, in quanto non ci permetterebbe di mettere in relazione la nostra esperienza con la tradizione culturale che è alla base delle nostre precomprensioni, e negherebbe all’uomo la natura di essere storico e culturale progredito nel tempo.

  11. Credo che entrambi i filosofi abbiano qualcosa di interessante sul quale concordare. Ammetto però che una cosa in particolare, riassunta su Heidegger mi abbia colpita. Intanto sappiamo che per Heidegger l’uomo è sempre legato all’esistenza, esiste e quindi ogni indagine che parte dall’uomo non può prescindere, come vorrebbe Husserl, da un’analisi esistenziale. Trovo quindi davvero interessante la differenziazione fatta da Heidegger tra autenticità e inautenticità dell’essere. Non capisco poi come questo posso sfociare e concludersi quindi in nichilismo.

    1. Capisco che l’ora tarda in cui hai svolto l’esercizio non abbia favorito l’argomentazione, ma ti sarai accorta che questa risposta è un po’ esile.
      Per quanto riguarda il tuo ultimo quesito… Heidegger è considerato in ultima analisi nichilista per il “senso” delle cose è legato all’esistenza e finisce con questa. L’esserci in particolare è votato alla morte. Dunque anche il mondo come “orizzonte della significatività” delle cose è destinato a dissolversi. Questo non impedisce di distinguere tra autenticità e inautenticità, ma la vita “autentica” è solo la vita di chi è più consapevole della mancanza di senso del tutto e non si affida ai sensi “posticci” e ingannevoli che “gli altri” attribuiscono per lo più alle cose.

  12. Dopo aver visto le videolezioni sui due filosofi Husserl e Heidegger, principalmente mi trovo più d’accordo con il pensiero del secondo, poiché Heidegger propone una nuova idea della fenomenologia che è sia esistenzialistica che ermeneutica, e questa mi sembra più esauriente e completa, dal momento che partendo dai pregiudizi, indaga e ricerca sul significato e sul senso di essi, che comporta la necessità di una correzione dei pregiudizi sulla base della propria esperienza, che permette di modificarli.
    Il filosofo Husserl invece si concentra sul ruolo che la filosofia ottiene in seguito alle due grandi crisi avvenute a cavallo tra la fine dell’800 e inizio del ‘900 e quindi, la filosofia per lui nasce come sapere rigido e razionale, che deve ritornare alle cose stesse, prima di attuare qualsiasi ricerca scientifica sulla realtà stessa, per riuscire a cogliere la realtà senza farsi ingannare dalle interpretazioni oggettive.
    Il filosofo quindi deve fare un’analisi introspettiva sulla nostra vita passata e presente per distinguere i campi prima di qualsiasi analisi, però non pone alcuna attenzione sull’esistenza degli oggetti (che reputa questioni non fenomenologiche), ma presta la sua attenzione unicamente sul tipo di oggetto di cui l’uomo diventa consapevole.
    La filosofia fenomenologica recupera da Husserl è importante per il filosofo, che compie questo lavoro di introspezione, attraverso l’attuazione della condizione di epochè. Questa condizione di sospensione dei pregiudizi, permette di non confondere i fatti con le interpretazioni e di isolare le sensazioni.
    Invece per Heidegger il ritorno alle cose stesse è importante quanto per Husserl, ma in modo differente e innovativo, e infatti si discosta dall’idea del primo filosofo; Heidegger afferma infatti che il modo con cui l’uomo si relaziona agli oggetti, non è il modo dell’inconscio, ma il modo dell’uso.
    Husserl vuole essere puro, però è viziato da un pregiudizio tradizionale ( le cose sono oggetti da noi conosciuti).
    Heidegger inoltre si concentra sul senso d’essere delle cose e non sulla domanda di Husserl (che cosa sono le cose).
    Senz’altro innovativo è quindi il considerare le cose non più come oggetti ma come cose che assumono un senso in base a noi stessi e al tipo di vita che viviamo.
    La tesi fondamentale che però differenzia maggiormente l’ermeneutica dalla fenomenologia, che è anche il punto con cui mi trovo fortemente in favore di Heidegger, è il rifiuto di fare epochè di quest’ultimo, visto che ognuno di noi non può sospendere il proprio giudizio visto che l’uomo ne ha già alcuni di base inconsciamente.

    1. Hai colto bene le differenze tra i due approcci. Forse però talora si perde un po’ la tua argomentazione a favore dell’ermeneutica perché ti soffermi a riferire nel dettaglio queste differenze (cosa che non era esplicitamente richiesta dal quesito).

  13. La prospettiva che mi ha colpito di più è quella di Heidegger. Soprattutto per la sua affermazione riguardo alle cose, infatti Heidegger afferma che il modo fondamentale con cui noi ci relazioniamo alle cose non è quello della conoscenza ma è il modo relativo all’uso. Noi infatti ci relazioniamo agli oggetti come utensili ed essi hanno un senso all’interno della significatività del nostro mondo, assumono significato in quanto strumenti d’azione. importante anche la sua visione relativa all’epochè di Husserl (la possibilità di sospendere il giudizio su tutto ciò che c’è stato insegnato , ovvero i pregiudizi, per guardare in modo puro agli oggetti) che Heidegger ritiene un qualcosa di irrealizzabile.
    Proprio perché noi siamo figli della nostra epoca, della nostra cultura e viviamo totalmente immersi in pregiudizi (chiamata anche precomprensione o visione ambientale preveggente). Affermando ciò subentra anche il concetto dei diversi modi di approcciarsi alla vita. Chi si accorge di vivere una vita inautentica è costretto a chiedersi il significato delle cose che non tornano, entrando così nel circolo ermeneutico e a partire da una somma di pregiudizi che non può non avere, li corregge e li modifica sulla base dell’esperienza che li smentisce. Ma sempre producendo una comprensione che è figlia della propria storia. Avvicinandosi sempre di più ad illuminare il senso dell’essere ma senza riuscirci fino in fondo.

    1. Il tuo accordo con Heidegger arriva al punto (eccessivo) da rendere indistinguibili il tuo pensiero e quello di Heidegger, che avresti comunque dovuto discutere, confrontare, sostenere ecc.

  14. Personalmente mi trovo d’accordo con il pensiero del filosofo Heiddeger, che vedeva prevalere un approccio fenomenologico, ovvero risolveva i problemi fondandosi su elementi gia esistenti, a differenza di Husserl che criticava questo tipo di approccio perche ritenuto inadeguato. Lo preferisco proprio perche il filosofo riesce ad avere una visione completa, partendo da basi preesistenti e non è limitata semplicemente agli elementi presenti nell’epoca in cui vive il filosofo. Inoltre l’approccio “rivisitato” della fenomenologia di Husserl da parte di Heiddeger aggiunge proprio degli elementi in piu al pensiero fenomenologico di base e quindi rende a parer mio la risoluzione maggiormente accurata e completa.

    1. La tua risposta è troppo sintetica per essere sufficientemente chiara e argomentata. Non è esatto che Heidegger privilegiasse un approccio fenomenologico, che è piuttosto proprio quello di Husserl. Non è neanche chiaro che significa che “il filosofo riesce ad avere una visione completa, partendo da basi preesistenti e non è limitata semplicemente agli elementi presenti nell’epoca in cui vive il filosofo”. Le basi preesistenti sono infatti proprio quelle dell’epoca del filosofo. Forse confondi il concetto di “epoca” in senso cronologico con quello husserliano di “epoché”. Probabilmente non hai ascoltato con attenzione la videolezione su Husserl, né ti sei documentato sul manuale o altrove su questo autore.

  15. mi trovo in difficoltà a scegliere un pensiero più convincente rispetto l’altro perchè entrambe sembrano avere ragione. Dopo una lunga riflessione però, la filosofia di Heiddeger mi sembra più adatta perché nel comprendere a pieno la felicità o la rabbia, per esempio, è necessario provare queste in prima persona e dunque farne esperienza, la descrizione da parte di un mio caro amico rispetto a questa emozione mi fornirebbe solo una visione parziale, inoltre mi renderebbe schiavo dell’opinione altrui.

  16. A mio parere tra i due filosofi la filosofia più convincente fu quella di Heidegger, sopratutto riguardo il concetto di epochè. Secondo Husserl infatti l’unico modo per cogliere l’essenza delle cose e delle persone è tramite la sospensione dei pregiudizi che abbiamo sul mondo, creando perciò un pensiero del tutto nuovo e puro. Secondo Heidegger non solo l’epochè non porta alla conoscenza dell’essenza delle cose, che seppur mostrandosi non potrà mai essere spiegata da noi a parole, ma non è neanche possibile. Infatti noi tutti siamo caratterizzati da una precomprensione del mondo che determina il nostro vissuto e che non può essere eliminata. Non solo mi trovo d’accordo con Heidegger riguardo l’impossibilità di tornare ad un pensiero puro e completamente distaccato dai nostri pregiudizi, ma trovo anche che fare epochè sarebbe controproducente in quanto cancellerebbe tutti i progressi fatti fino ad ora, il nostro vissuto è quindi fondamentale quando andiamo a studiare una cosa o un oggetto. Inoltre le discipline più scientifiche ed oggettive, come per esempio la matematica, non sono soggette a precomprensione, proprio in quanto scientifiche, e conferma ciò il fatto che siano condivise da ogni persona indipendentemente dalla propria cultura. Infine trovo che la distinzione che apporta Heidegger sui due tipi di vissuto, autentico ed inautentico, sia molto attuale e rispecchiabile da tutti.

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