Una fondazione “laica” e razionale dell’etica

Kant non si limita, da buon “illuminista”, a giustificare il valore della scienza, sottolineando, in pari tempo, i limiti del sapere scientifico in quanto sapere umano (dunque sottraendo una volta per sempre la “scienza” alla “metafisica” e, dunque, in un certo senso, anche alla “filosofia” con la quale – basta pensare a Cartesio e Leibniz – essa si presentava sempre in qualche modo compenetrata), ma cerca anche di fondare un’etica laica e razionale, che possa essere universalmente condivisa senza essere derivata da principi di tipo metafisico o religioso (come erano, in un certo senso, le etiche proprie delle filosofie antiche  e quelle tratte dalla grandi religioni monotestiche).

In un certo senso si tratta della più “filosofica” e meditata giustificazione dei valori e dei principi etici e giuridici dell’illuminismo e del liberalismo moderni (p.e. dei diritti umani, della libertà ecc.). Non a caso l’opera in cui Kant presenta la sua “etica”, intitolata Critica della ragion pratica, viene pubblicata nel 1788, un anno prima della proclamazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino nella Francia rivoluzionaria.

A questo fine Kant sviluppa un’articolata argomentazione per dimostrare come, in ultima analisi, qualunque sia il nostro credo religioso, politico e metafisico, non si possa fare a meno che concordare con ogni altro essere umano (anzi con ogni altro essere razionale, se vi fossero anche altri esseri razionali non umani) su una legge morale che, in definitiva, si riassume nella regola aurea (riconosciuta in pressoché tutte le culture e le religioni) secondo la quale non si deve fare agli altri quello che non si vorrebbe che fosse fatto a noi.

Cfr. 2B, U7, cap. 2, §§ 1-2, pp. 228-30; § 4-6, pp. 233-42.

Tra l’altro questa fondazione laica e razionale dell’etica permette a Kant di risolvere il problema del libero arbitrio (ereditato dai filosofi razionalisti che non erano riusciti a risolverlo in modo del tutto convincente, con la sola eccezione, forse, di Leibniz) e di giustificare come ragionevole la fede in Dio (anche se l’esistenza di Dio continua per lui a rimanere indimostrabile).

Cfr. 2B, U7, cap. 2, §7, pp. 245-47.