Dal boom degli anni ’60 alla “rivoluzione culturale” del ’68

Tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del Novecento l’Europa fu attraversata da un processo di grande crescita economica, che in Germania e in Italia si configura come vero e proprio miracolo economico o boom, come si può vedere in questo documentario (per quanto riguarda l’Italia).

Per comprendere bene questo fenomeno, che, in fondo, inaugura il nostro mondo attuale (al di là di certe innovazioni più recenti, come Internet, il cellulare, il computer, l’Italia degli anni ’60 è la nostra, con le sue auto private, con i suoi elettrodomestici, supermercati, vacanze al mare e in montagna, programmi televisivi ecc.), bisogna fare un passo indietro e comprendere come sia stata possibile la ricostruzione del Paese (e dell’intera Europa occidentale) nell’immediato dopoguerra (grazie soprattutto al piano Marshall, ma anche, come giustamente rileva il documentario, per quanto riguarda l’Italia, alle premesse gettate dalle grandi imprese pubbliche messe in piedi già durante il fascismo, come l’Iri e l’Agip, poi divenuta Eni), quale fu il ruolo degli Stati Uniti non solo come ente finanziatore della ripresa, ma anche come modello di sviluppo (all’indomani della conclusione del conflitto gli Stati Uniti da soli erano responsabili di quasi i due terzi dell’intero prodotto mondiale; inoltre la società americana aveva già conosciuto negli anni ’20, prima della grande crisi, la diffusione dei beni di consumo che poi si diffusero in Europa occidentale nel secondo dopoguerra,  mentre i Paesi comunisti concentravano la loro produzione soprattutto nell’industria pesante e in quella militare, in Urss anche spaziale), quali settori furono trainanti (acciaio, automobili, ma anche tessile, poi la moda, gli elettrodomestici – l’Italia divenne in una certa fase il primo produttore mondiale di lavatrici -, macchine da scrivere, ecc.).

Va anche notato come il boom italiano sorprendesse tutti (prendesse quasi “in contropiede” economisti, intellettuali e politici) e non fosse propriamente “voluto” da nessuno; non dalla sinistra egemonizzata dal Partito Comunista che guardava più al modello di sviluppo sovietico, basato sull’industria pesante, e che diffidava della diffusione presso la classe operaia di quei beni di consumo (frigoriferi, televisori, lavatrici, utilitarie ecc.), che, migliorando significativamente le condizioni economiche delle famiglie lavoratrici, avrebbero allontanato sine die prospettive di tipo rivoluzionario; non dalla stessa Democrazia Cristiana, partito dominante delle diverse coalizione centriste fino ai primi anni ’60, che, a propria volta, guardava con sospetto, dal punto di vista etico e culturale, alla diffusione di stili di vita consumistici che, allentando i tradizionali vincoli familiari e di vicinato, rischiavano di allontanare le persone dalla sfera religiosa e dai valori civili e sociali di cui la Democrazia Cristiana si voleva interprete.

Cfr. cap 16, §§ 1-2, cap. 19, § 1

In Italia la nuova situazione economica favorisce, innanzitutto, la ricerca di nuove soluzioni politiche come quella del Centrosinistra (cfr., facoltativamente, questo video di Rai Storia). L’ingresso al governo dei socialisti, a loro volta allontanatisi dai comunisti, ancora legati al modello sovietico, col beneplacito degli Stati Uniti, fu guardato all’epoca come una grande occasione per modernizzare il Paese e farlo progredire; in effetti, molte speranze furono deluse, ma nel corso degli anni si conseguirono certamente alcuni importanti risultati: un crescente impegno dello Stato nell’attività economica (specialmente nel campo delle infrastrutture, p.e. dell’energia), la riforma del diritto di famiglia con l’effettiva realizzazione di quella parità uomo-donna già prevista dalla Costituzione, con la legge sul divorzio e sull’aborto, l’abolizione dei manicomi ecc.

Cfr. cap. 19, § 2-3.

Nel mondo scoppia la guerra del Vietnam (video facoltativo) che, anche sul piano simbolico, rappresenta gli effetti drammatici del bipolarismo e della guerra fredda e favorisce la contestazione del ’68. Se negli Stati Uniti questa contestazione era più strettamente legata, oltre che a questa guerra, che toccava direttamente i giovani, ai problemi dell’università americana (elitaria, autoritaria, conservatrice ecc.), in Europa e, soprattutto, in Italia, pur attingendo motivi dall’esperienza americana, la contestazione assume un  carattere più marcatamente “rivoluzionario”, cercando di saldarsi alle lotte operaie del periodo e ispirandosi alle teorie di Marx e di Freud, soprattutto in quella peculiare fusione e rielaborazione che, negli stessi anni, proponeva la Scuola di Francoforte (in particolare Herbert Marcuse, intervistato nel documentario). L’obiettivo è abbattere tutte le forme di autoritarismo e di oppressione, esercitate tanto dalla classe economicamente dominante quanto dalle istituzioni (famiglia, chiesa, scuola ecc.) repressive degli istinti dell’uomo, in particolare di quelli sessuali. Nonostante alcune ambiguità e contraddizioni (come quella, sottolineata da Pasolini, determinata dal fatto che i giovani protagonisti della “rivoluzione” appartenevano, paradossalmente, a quella stessa classe dominante borghese che volevano combattere), il Sessantotto dispiegò nel tempo i suoi effetti non tanto in campo politico, giuridico o economico (molte istituzioni, come le scuola e l’università, conservarono molte caratteristiche che avevano anche in precedenza, in particolare il fatto di essere fondate su regole piuttosto rigide e, nel caso di scuola e università, su sistemi di valutazione unidirezionali), quanto nel campo del costume e della cultura, nel quale si registrò una diffusa liberalizzazione negli atteggiamenti e nei comportamenti.

Cfr. cap. 18, § 3; cap. 19, § 4.

Effetto indiretto del ’68 fu la fase degli anni di piombo (con la conessa c.d. “strategia della tensione”), segnata dal terrorismo di destra e di sinistra. La mancanza di effettivi sbocchi politici per le ansie rivoluzionarie “sessantottine”, mancanza di sbocchi legata anche alla rigidità della contrapposizione Est-Ovest, portò alcune minoranza “arrabbiate” a identificare nella lotta armata la sola soluzione possibile. Con “strategia della tensione” si fa riferimento, invece, all’ipotesi che “pezzi dello Stato” abbiano ritenuto di “gettare benzina sul fuoco”, non ostacolando il terrorismo di sinistra (ad esempio nel caso del rapimento di Aldo Moro) e favorendo anche il terrorismo di destra, per giustificare un eventuale colpo di stato militare come unica soluzione possibile a fronte del crescente disordine civile. Anche per impedire tale eventualità venne praticata la politica del “compromesso storico” tra P.C.I. e D.C., nella forma della “solidarietà nazionale” contro il terrorismo.

Alla fine degli anni Settanta si assiste anche a una recrudescenza mafiosa e, dopo la crisi della “solidarietà nazionale”, alla nascita del c.d. “pentapartito”, riedizione del centrosinistra in chiave neoliberistica.

Cfr. cap. 21, § 4.

Difficile, in generale, comprendere la situazione italiana se non la collochiamo nel contesto del bipolarismo e della guerra fredda: una situazione politicamente bloccata, priva di possibili alternative, che oggettivamente favoriva, da un lato, l’emergere di radicalismi estremistici di destra e di sinistra (rispettivamente eversivi e sovversivi dell’ordine imposto dalla situazione “bloccata”), dall’altro lato, dato il mancato ricambio della classe dirigente, ai fenomeni della corruzione e della collusione con le mafie del sistema dei partiti dominanti (non a caso tanto il terrorismo, quanto il sistema dei partiti dominanti vennero meno con la fine della guerra fredda).

Sul terrorismo in Italia cfr. (facoltativamente) questo documentario.