Guerre di religione

La carta mostra la distribuzione delle confessioni religiose in Europa nella seconda metà del Cinquecento. Le religioni riformate. © Pearson Italia spa.
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La riforma protestante ebbe per effetto innanzitutto la divisione dell’Europa occidentale in due aree, quella cattolica e quella protestante, approssimativamente corrispondenti, rispettivamente, alle regioni un tempo dominate dai Romani e alla regioni popolate dai Germani (non solo la Germania centro-settentrionale e orientale, ma anche i Paesi scandinavi, i Paesi Bassi fiamminghi, l’Inghilterra…),  [cfr. pp. 379-81] secondo linee divisorie (rappresentate dai fiumi Reno e Danubio) che suggeriscono come abbiano operato in questa vicenda, sotterraneamente, fattori cosiddetti “di lungo periodo”.

Potrebbe non essere un caso, ad esempio, ma una sorta di “nemesi storica” o di “ironia della sorte”, che tra i più accesi sostenitori della riforma luterana, a partire dal loro principe Federico il Saggio, fossero proprio quei Sàssoni che, secoli prima, dopo aver tenuto testa per secoli ai Romani, furono alla fine convertiti a forza al cristianesimo da Carlo Magno (che volle che fosse abbattuto simbolicamente il loro albero sacro Yggdrasil, antesignano del nostro innocente “albero di Natale”…).

Ma tale divisione non fu raggiunta pacificamente bensì a seguito di sanguinosi conflitti che attraversarono pressoché tutta l’Europa, soprattutto d’Oltralpe, a partire dagli anni ’30 del Cinquecento fino alla pace di Westfalia del 1648, che sancì definitivamente il più volte proclamato (nel 1526 a Spira, nel 1555 ad Augusta), ma non sempre realizzato, principio cuius regio eius religio (ossia il principio secondo il quale ciascun principe o sovrano era libero di seguire la “religione” – intesa come confessione cristiana – che preferiva, la quale, tuttavia, diventava “automaticamente” obbligatoria per i suoi sudditi).

Possiamo ricordare i seguenti principali conflitti nei quali motivi religiosi si intrecciarono a contrasti più propriamente politici, etnici ed economici:

  1. La guerra tra l’imperatore Carlo V, rimasto cattolico (nonostante il sacco di Roma del 1527 perpetrato dai suoi lanzichenecchi), e i principi protestanti (talora sostenuti, per motivi politici, dal “cattolico” re di Francia Francesco I), riuniti nella Lega di Smalcalda, guerra che, nonostante la vittoria imperiale del 1547 a Muehlberg, si concluse con la pace di Augusta del 1555 con il ripristino dello status quo già stabilito con la dieta di Spira del 1527, ossia, appunto, con la proclamazione del principio cuius regio eius religio (a tale conflitto si giunse per il rifiuto, da parte dell’imperatore, di confermare tale principio alla dieta di Spira del 1529, rifiuto che provocò la “protesta” dei principi luterani – donde il nome di “protestanti” – e il tentativo, fallito, alla successiva dieta di Augusta del 1530 di far accogliere dalla parte cattolica la confessio augustana, redatta da Melantone, che è considerata ancor oggi un documento fondamentale – una sorta di “credo” – della Riforma) [cfr. pp. 371-72]
  2. La guerra tra la Spagna cattolica di Filippo II d’Asburgo (figlio di Carlo V, regnante dal 1556 al 1598) e l’Inghilterra anglicana di Elisabetta I Tudor, figlia della seconda moglie, Anna Bolena, di Enrico VIII, conclusasi con l’affondamento, al largo dell’Inghilterra, della c.d. Invincibile Armada, la potentissima flotta inviata dagli Spagnoli contro gli Inglesi nel 1588; sconfitta a cui fece seguito la crescita inarrestabile della potenza commerciale inglese e il progressivo declino, economico e militare, dalla Spagna (che trascinò con sé anche il Portogallo, associato dinasticamente alla Spagna nel periodo 1580-1640, durante il quale quasi tutte le sue colonie passarono in mano agli Olandesi): in tale conflitto aperto tra Spagna e Inghilterra era sfociata la conflittualità latente tra i due Paesi, conflittualità dovuta non solo a ragioni economiche (gli Inglesi praticavano volentieri la “guerra di corsa” contro i galeoni spagnoli che provenivano dalle Americhe carichi – anche se sempre meno – di metalli preziosi), ma anche a ragioni religiose (dopo lo scisma anglicano, ad opera di Enrico VIII, con l’atto di supremazia del 1534, voluto non per ragioni dottrinali, ma esclusivamente personali, politiche e finanziarie, la chiesa inglese, nonostante la parentesi rappresentata dal regno di Maria la Cattolica detta la Sanguinaria, si orientò in senso sempre più teologicamente protestante, col beneplacito di Elisabetta, nonostante conservasse un’organizzazione simile a quella cattolica di tipo episcopale); conflittualità tra Spagna e Inghilterra culminata con la decapitazione, da parte di Elisabetta, nel 1587, della cugina cattolica Maria Stuart, regina di Scozia, che si era rifugiata in Inghilterra dopo l’affermazione, negli anni ’60 del calvinismo nel suo regno (nella forma della chiesa presbiteriana fondata da John Knox) [cfr. pp. 377-79; § 13.2, pp. 419-22 (per sommi capi); § 13.4, pp. 425-29 (per sommi capi)]
  3. Le guerre di religione in Francia, tra cattolici e ugonotti (calvinisti), culminate  nella strage di San Bartolomeo (1572) in cui il fior fiore della nobiltà ugonotta fu massacrato (con la probabile connivenza della regina madre Caterina de’ Medici): tali conflitti apparentemente insolubili, che videro in una certa fase combattersi senza esclusione di colpi “tre Enrichi” (Enrico di Guisa, capo della fazione cattolica, Enrico di Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia, capo della fazione ugonotta, Enrico III di Valois, l’ultimo re di Francia della sua dinastia), suggerirono sul piano teorico la soluzione di Jean Bodin (filosofo appartenente alla corrente dei politiques, che, nei suoi Sei libri sullo Stato del 1576, teorizzò la superiorità dello Stato sulle diverse chiese e il diritto-dovere del re di esercitare un potere assoluto, per conservare la pace nel proprio regno) e sul piano politico-religioso una doppia mossa da parte di Enrico di Borbone: la conversione al cattolicesimo per poter ottenere il titolo di re (“Parigi val bene una messa”) e l’emanazione, una volta insediatosi come re, dell’editto di Nantes del 1598, in cui egli garantiva la tolleranza religiosa ai suoi ex correligionari, lasciando anche loro alcune piazzeforti militari a scopo cautelativo (non era ancora la proclamazione del principio della tolleranza religiosa e della parti dignità di tutte le fedi, perché il regno restava cattolico [cfr. doc 2, p. 437-38] e gli ugonotti ricevettero una forma di autonomia militare incompatibile con la piena sovranità dello Stato, come si sarebbe reso conto Luigi XIV che, nel 1685, revocò l’editto di Nantes; tuttavia, fu un primo passo significativo che andava al di là del principio cuius regio eius religio valevole nel resto dell’Europa: in un solo regno, quello francese, erano ufficialmente ammesse, infatti, più religioni) [cfr. § 13.5. pp. 429-33]
  4. La guerra di indipendenza dei Paesi Bassi dalla Spagna (alla quale Carlo V, nell’abdicare al trono imperiale, li aveva lasciati), dovuta sia a ragioni economiche (gli Olandesi non volevano pagare tributi così esosi agli Spagnoli, ma trattenere per sé le loro ricchezze, frutto di sempre più remunerativi commerci oceanici), sia a ragioni religiose (la gran parte degli Olandesi aveva aderito al calvinismo): queste ultime spiegano come mai la parte meridionale dei Paesi Bassi, attuale Belgio, a maggioranza cattolica, ottenuta una certa autonomia, non proclamò, a differenza della parte settentrionale (attuale “Olanda” o, meglio, Paesi Bassi), la secessione dalla Spagna (indipendenza conseguita di fatto, come Repubblica delle Province Unite – modello di successivi esperimenti repubblicani, scaturiti dalla proclamazione dell’indipendenza da potenti monarchie europee, da ultimo quello degli Stati Uniti d’America – negli anni ’90 del Cinquecento, data d’inizio della crescente potenza commerciale olandese, ma conseguita di diritto solo con la pace di Westfalia del 1648) [cfr. § 13.3pp. 422-24]
  5. La guerra dei Trent’anni, il più sanguinoso e devastante conflitto europeo della prima età moderna, che causò il crollo demografico in Germania (il principale teatro delle operazioni militari), che passò da 21 a 13 milioni di abitanti (crollo dovuto alla carestie conseguenti alla devastazione dei campi e, forse ancora di più, ai feroci saccheggi a cui si diedero i soldati, in gran parte mercenari mal pagati): causata dall’emergere della conflittualità tra cattolici e calvinisti (fase boemo-palatina, 1818-20, inaugurata dalla “defenestrazione di Praga”), proseguita a seguito dell’intervento dei Danesi (1825-29), degli Svedesi (1829-35, fase contraddistinta dalle sorprendenti vittorie del re Gustavo Adolfo, sostenuto da un esercito piccolo, ma modernamente attrezzato, anche grazie al quasi monopolio del ferro di cui godevano gli Svedesi), infine, paradossalmente, per ragioni squisitamente politiche (l’esigenza di sfuggire all’accerchiamento “asburgico”) dei “cattolici” Francesi (governati dal cardinale Richelieu) a fianco dei luterani (ai quali l’imperatore Ferdinando II d’Asburgo voleva imporre la restituzione , di beni a suo tempo confiscati alla Chiesa cattolica), la guerra fu conclusa quasi più per “stanchezza”, data l’inconcludenza delle operazioni militari, con la pace di Westfalia (1848) che, ribadendo il principio cuius regio eius religio, lo estese anche ai calvinisti e consentì un certo margine di libertà religiosa, non solo ai principi, ma anche ai privati, purché ne godessero in segreto, senza dare scandalo; la pace si segnala anche per la conclusione del conflitto che oppose per decenni la Spagna alle Province Unite dei Paesi Bassi (che continuarono a essere, insieme alla Polonia, patria della tolleranza religiosa e rifugio di coloro che erano perseguitati per motivi religiosi) e per l’affermazione del principio del primato della politica sulla religione (gli Stati convenuti si riconobbero reciprocamente, si scambiarono per la prima volta gli ambasciatori, gettarono le basi del diritto internazionale, esclusero i rappresentanti delle chiese dalla trattative, a cominciare dal Papa) [cfr. § 15.2, pp. 477-83]