L’Italia liberale (1870-1914)

Ferrovie italiane nel 1868Per comprendere quale Italia dovette interrrogarsi sulla partecipazione o meno alla Grande Guerra, tra 1914 e 1915, bisogna dare uno sguardo alle profonde trasformazioni intervenute nel Paese dal (quasi) compimento dell’unità con la presa di Roma il 20 settembre 1870 alla dichiarazione di guerra all’Austria-Ungheria del 23 maggio del 1915 (guerra che, nella retorica degli interventisti, avrebbe rappresentato la IV guerra d’indipendenza, dopo quelle del 1848, del 1859 e del 1866, perché avrebbe “riscattato” le terre “irredente” di Trento e Trieste).

Non potendo soffermarsi su questioni troppo particolari conviene distinguere le seguenti fasi:

  1. conclusione dei governi della Destra storica (1870-76), contraddistinti da
    • una difesa degli interessi della classe dirigente agraria e manifatturiera (soprattutto del Nord),
    • una politica di libero scambio,
    • il pareggio del bilancio dello Stato (ad opera di Sella e Minghetti),
    • la messa in opera di una discreta rete ferroviaria (vedi cartina in alto), ma anche
    • un’eccessiva tassazione gravante sui ceti meno abbienti (famigerata la “tassa sul macinato”) che fu usata a pretesto dagli avversari della Sinistra per compiere, nel 1876, la “rivoluzione parlamentare” (più di forma, che di sostanza) che portò la Sinistra al potere (svolta in realtà dovuta anche al desiderio della nascente lobby degli industriali di evitare la nazionalizzazione precoce delle ferrovie);
  2. governi della Sinistra storica (1876-89), guidati da Agostino Depretis, Depretiscontraddistinti da
    • una limitata estensione del diritto di voto,
    • l’adozione di un crescente protezionismo (legato sia all’esigenza di difendere il prodotto interno industriale dalla concorrenza straniera, sia alla congiuntura protezionistica internazionale, sia, infine, alla crescente conflittualità con la Francia per la questione di Tunisi),
    • la stipulazione (sempre legata alla conflittualità con la Francia e al desiderio di uscire dall’isolamento internazionale) nel 1882 della Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria,
    • la pratica del trasformismo parlamentare (compravendita di deputati, corruzione, clientelismo, mali antichi della politica nazionale) che portò in breve tempo ad appannare i caratteri “di sinistra” della politica governativa,
    • dalll’infelice tentativo coloniale in Eritrea, conclusosi con il massacro di Dogali;
  3. età di Crispi (1889-96) e crisi di fine secolo (1896-1900), contraddistinte daCrispi
    • un crescendo di autoritarismo antisindacale e antisocialista (legato alla recrudescenza della crisi economica mondiale, non più arginata neppure dalle politiche ancora, insistentemente, protezionistiche),
    •  fallimenti, scandali e ristrutturazioni bancarie (da cui prese le mosse il sistema finanziario-industriale fortemente integrato e legato alle commesse statali che, irrobustitosi nelle successiva “età giolittiana”, caratterizzò fino quasi ai nostri giorni il capitalismo italiano),
    • la sconfitta di Adua (1896), che segnò la fine di Crispi (celebre anche per la sua ammirazione per Bismarck, nonché – nota a margine – per il suo acceso anticlericalismo: a lui si deve p.e. l’erezione della statua dedicata a Giordano Bruno in Campo dei Fiori, a Roma, dalla sguardo truce rivolto verso il Vaticano),
    • lotte e tumulti duramente repressi nel sangue (i Fasci Siciliani repressi ancora da Crispi nel ’93-94, la lotta per il pane repressa a Milano dal generale Bava Beccaris a cannonate nel 1898),
    • il tentativo, fallito, di fine secolo (governi Di Rudinì e Pelloux) di approvare leggi liberticide (contro le libertà di stampa e associazione politica),
    • l’assassinio del re (tendenzialmente reazionario) Umberto I, nel 1900;
  4. età giolittiana (1900-14), contraddistinta daGiolitti
    • l’emergere della figura dello statista piemontese Giovanni Giolitti (che non fu sempre capo del governo, ma ispirò quasi sempre l’azione politica dei diversi governi che si succedettero in questa fase),
    • una politica “democratica”, conciliante con i socialisti e con il movimento operaio (non intervento in caso di sciopero economico),
    • l’adozione (coerente con tale politica) di misure di protezione sociale (assicurazioni per gli infortuni, tutela degli operai in caso di malattia e di vecchiaia, leggi a favore del lavoro di bambini e donne ecc.),
    • il decollo industriale dell’Italia del nord (caratterizzato da nuove industrie meccaniche, siderurgiche, automobilistiche),
    • il persistere del clientelismo soprattutto nei rapporti con i notabili meridionali (da cui l’accusa di Gaetano Salvemini a Giolitti di essere “ministro della malavita”),
    • l’impresa coloniale di Libia (1911),
    • l’estensione del suffragio a tutti i maschi maggiorenni (suffragio universale), approvata nel 1912 e realizzata nel 1913,
    • l’apparizione (conseguente) sulla scena politica dei grandi movimenti di massa (dal Partito Socialista fondato nel 1892, dai cattolici, per ora legati dal “patto Gentiloni” ai liberali, ma così numerosi da condizionare la vita politica del Paese e da una Destra nazionalista, corroborata dall’impresa di Libia, sempre più vivace e tale condizionare in senso conservatore anche molti liberali),
    • la difficoltà di Giolitti a formare un nuovo governo da lui diretto e il conseguente passaggio nel 1914 del potere nelle mani del conservatore Antonio Salandra (che sarà l’artefice del “Patto di Londra” e uno dei promotori dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra).

A questi temi il manuale dedica gli ultimi due capitoli (20 e 21) del vol. II (di quarta). Li si legga con una certa rapidità, tenendo presente i temi sopra delineati (che il libro aiuta a chiarire e a contestualizzare).

Si possono “trascurare”, per ragioni di economia di tempo, le pp. dedicate ai limiti e alle ragioni della crisi della Destra (p. 580), l’analisi dettagliata delle componenti sociali (per la verità molto simili) di Destra e Sinistra (pp. 582-83), mentre si può leggere con maggiore attenzione il resto del cap. 20 dedicato alla politica Sinistra storica.

Per quanto riguarda il cap. 21, si possono leggere con una certa attenzione i §§ 1-3 dedicati a Crispi, al tentativo di svolta autoritaria di fine secolo (quasi coeva all’analoga crisi francese, contestuale alla battaglia politica intorno al caso Dreyfus) e al primo Giolitti (pp. 596-606), mentre si può ampiamente sorvolare (sempre per economia di tempo, il tema sarebbe molto interessante) sui dettagli del grande balzo industriale italiano (§ 4, pp. 606-15), purché si ricordi che esso avvenne, grazie a una favorevole congiuntura internazionale (fine della grande depressione) e alle politiche lungimiranti di Giolitti non solo in fatto di questione sociale (di “relazioni industriali” come si direbbe oggi), ma anche in relazione alle commesse pubbliche e al nuovo sistema finanziario-industriale integrato cui si faceva già cenno sopra (si legga al riguardo soltanto primo capoverso completo di p. 614). Si concluda infine la lettura del cap. con l’approfondimento del dualismo economico nord-sud e con gli effetti dell’allargamento del suffragio e della guerra di Libia, in termini di crisi della politica giolittiana, come premessa dell’entrata dell’Italia nella Prima Guerra mondiale (§§ 5-6, pp. 615-622).