Studia l’unità didattica sull’epistemologia delle scienze umane con le quattro videolezioni che la corredano e le altre risorse on line e off line, quindi rispondi al seguente quesito:
- Quale prospettiva ti sembra più adeguata nello studio del comportamento umano, in ambito psicologico, sociale, storico ed economico? Lo studioso di ciascuno di questi campi dovrebbe tener conto della propria stessa umanità e soggettività nello svolgere le sue ricerche (come ritiene Dilthey) oppure dovrebbe guardarsene bene per non “inquinare” l’oggettività dei risultati di tali ricerche (come pensa Weber)?
A mio parere nessuna delle due teorie prevale completamente sull’altra. Infatti ritengo che Weber attraverso la sua riconduzione a “tipi ideali”(procedimento che tende ad eliminare le anomalie di ogni singola azione o evento) se la possa cavare meglio di Dilthey in ambito economico, sociale e storico(ovvero quando si parla di comportamenti di massa) in quanto sarebbe in grado di giungere ad una risposta maggiormente condivisibile e meno soggetta all’individualità dello studioso rispetto al procedimento di Dilthey.
Per ciò che riguarda l’ambito psicologico invece, penso che per uno studioso distaccarsi completamente dalla propria soggettività sia alquanto controproducente(come sostiene Dilthey) in quanto dovremmo continuamente valutare se ogni nostro progresso sia oggettivo e condivisibile oppure sia semplicemente frutto della nostra soggettività senza che ce ne rendiamo conto.
Quindi ritengo opportuno che la soggettività di ogni studioso sia parte integrante del ragionamento che sta portando avanti, e che poi questo ragionamento venga condiviso con gli altri psicologi in modo da tentare di ottenere un punto d’incontro più generale possibile.
L’ultimo capoverso è ambiguo, SOLO in ambito psicologico bisogna tener conto della soggettività.
Interessante questa distinzione tra due ambiti delle scienze umane per i quali suggerisci di valersi di modelli differenti, anche se questa distinzione non mi sembra giustificata fino in fondo. Avresti potuto evocare, ad esempio, la distinzione weberiana e di altri tra scienze idiografiche e nomotetiche. Non evocherei in nessun caso la nozione di anomalia di Kuhn per le ragioni esposte a Nicola Venica.
Mi trovo più in accordo con il criterio di Weber: essere oggettivi anche quando si analizza il comportamento dell’uomo in tutti i campi. È vero che il soggetto e l’oggetto della conoscenza sono analoghi, ma devo mettere da parte il mio vissuto quando studio il comportamento umano. Il modo più “oggettivo” per farlo è ideare dei modelli, anche se non è facile ricondurre il comportamento a questi. Weber però con la teoria dei tipi di ideali si avvicina molto alla questione, proponendo la realizzazione di stereotipi di atteggiamento astratti. Osservo poi fino a che punto posso basarmi su questo modello, perché se l’individuo in considerazione è molto simile allo stereotipo, allora sarà più facile studiarne la condotta. Per quanto riguarda i punti che non coincidono con il tipo ideale, cercherò di basarmi su un altro modello, sapendo che non è sempre possibile trovare modelli perfettamente calzanti. In questo modo posso però spiegare il motivo per cui l’individuo si è comportato in maniera diversa dal modello.
Questo metodo di analisi si avvicina molto a quello usato per la scienza della natura e quindi permette di affermare che è possibile trattare in maniera oggettiva anche l’analisi del comportamento umano.
Weber propone quattro tipi fondamentali di agire: l’agire tradizione, quello abituale che si spiega da se; l’agire affettivo, dove l’emozione interrompe l’agire abituale e mi spinge a spiegare il perché; l’agire secondo un valore, dove seguo l’etica, mettendo da parte l’utilità; infine l’agire secondo l’utile, che mi spinge a comportarmi così sulla base di un interesse. Questi quattro stereotipi dovrebbero aiutarmi a interpretare i motivi che spingono le persone ad agire in un determinato modo, non spiegando gli eventi sulla base delle mie capacità ad immedesimarmi in una persona, ma in base alle possibili cause in gioco.
A parer mio, l’approccio di Dilthey non è del tutto corretto, perché immedesimarmi nella persona e comprendere gli eventi da questo punto di vista, non è un criterio attendibile; non posso condividere il mio vissuto in modo da comprendere maggiormente le azioni altrui. Se ognuno di noi si comportasse in questo modo ci sarebbero moltissime interpretazioni, che farebbero capire come ogni individuo essendo diverso da un altro, agirebbe in maniera diversa. Questo metodo di analisi non può perciò essere considerato una scienza dello spirito, perché ogni persona avrebbe un proprio metodo per valutare e comprendere un determinato evento.
È necessario quindi mettere da parte la propria esperienza, senza influenzare la ricerca, ma essere il più oggettivi possibile, perché altrimenti risulterebbe difficile giungere a delle conclusioni universali per tutti.
Ottima e argomentata risposta. In alcuni punti corri lo stesso rischio che ho evidenziato nel caso di Marco Orli, ma in modo meno pronunciato (gran parte dei riferimenti che fai sono immediatamente funzionali alla difesa della tua tesi).
A mio parere questi due approcci alle scienze umane non devono essere necessariamente contrastanti; infatti di fronte allo studio dei comportamenti umani ritengo che un bravo studioso debba essere capace di mettere in campo la propria soggettività (come sostenuto da Dilthey e dagli epistemologi umanisti che insistevano sul ruolo dell’empatia con il paziente in campo psicologico) ,in quanto influenzato dall’identità fra soggetto osservatore e oggetto di studio, e considerando quindi l’oggetto del proprio studio alla luce della soggettività, dell’unicità dello stesso e dal contesto sociale da cui proviene senza tralasciare la storia personale di questo ma allo stesso tempo considerare questi elementi tenendo presente i modelli comportamentali oggettivi, i tipi ideali e i caratteri generali comuni alla maggior parte degli uomini per formulare una sintesi, una spiegazione o proporre una strategia o terapia che sia il frutto di una media ponderata fra elementi caratteristici del soggetto ,elementi comuni e derivabili dall’appartenenza dello stesso ad un determinato contesto o evento ( o semplicemente al fatto di essere un umano) e la propria esperienza di studioso ma sopratutto di uomo.
Tuttavia se mi dovessi “schierare” nettamente nei confronti di una delle due possibilità di indagine sceglierei quella umanistica/soggettiva di Dilthey poichè , a parte le scienze economiche che ritengo sia meglio trattare secondo le teorie di Weber, penso che l’empatia e la ragionata comprensione dell’altro siano le caratteristiche che più ci distinguono come specie e quelle che ci permettono un continuo progresso collettivo ed individuale sia dal punto di vista gnoseologico (quindo delle scienze umane stesse) sia dal punto di vista ontologico.
E come difendere Dilthey e i “suoi” dal rischio di inquinare le loro ricerche proiettando sui personaggi studiati i loro propri vissuti di ricercatori?
Eh a mio parere non c’è questo rischio perché il loro vissuto personale secondo la mia personale opinione può solo arricchire la ricerca e nel caso in cui esso non sia utile o possa essere considerato controproducente sta al ricercatore/studioso stesso o a un eventuale revisore epurare la ricerca dalle contaminazioni personali devianti .
Non credo che uno studioso della Resistenza un po’ “partigiano”, nel doppio senso del termine, sarebbe contento che qualcun altro, magari un reduce di Salò, “epurasse”, come scrivi, i suoi scritti… Ma comprendo il tuo punto di vista
Dal mio punto di vista per lo studio del comportamento umano in ambito storico, economico, sociale e psicologico, è più corretto un approccio di tipo Weberiano.
La filosofia di quest’ultimo propone di ridurre la psicologia a una scienza idiografica, studiata attraverso criteri e modelli, ma come Dilthey riconosce l’imprevedibilità delle scienze dedicate allo studio dell’uomo (economia, sociologia, psicologia, ecc..) e dei suoi comportamenti.
Sia la psicologia comportamentista, che quella cognitivista, che quella tedesca, che quella costruttivista, propongono modelli troppo rigidi. È quindi preferibile uno studio attraverso comportamenti stereotipati, che pur basandosi su qualcosa di concreto, ha un margine di diversità che ogni uomo ha e che di conseguenza deve avere lo studio dello stesso (impossibilitato dall’essere inflessibile).
A differenza di Dilthey, lo studio dei campi riguardanti l’uomo, non dovrebbe contenere elementi soggettivi, poichè le azioni vanno narrate in modo oggettivo alla mente dell’uomo, che in un secondo momento le trasformerà in nozioni soggettive poichè ognuno di noi ha opinioni diverse.
Lo stesso studio di un comportamento (indifferentemente di quale si tratta) sarà di tipo soggettivo (essendo umano prediligo una strada di ricerca piuttosto che altre), ma il modo in cui questo viene fatto deve essere assolutamente oggettivo.
Se ci fermassimo ad interpretare soggettivamente un evento, come ad esempio una guerra mossa da forti motivazioni ideologiche, come la seconda guerra mondiale, escogitata da Hitler come una guerra lampo, indubbiamente riterremo ingiusta e scorretta la posizione di quest’ultimo 8 non volendo ovviamente immedesimarci in una personalità tale) e non andremo ad indagare profondamente e correttamente le reali cause del conflitto mondiale (indagabili anche attraverso lo studio della storia antecedente e la teoria delle possibilità).
Lo studio quindi, per me, non deve includere la sfera soggettiva, dal momento che questa andrebbe sicuramente a compromettere il risultato della ricerca, ma deve esclusivamente soffermarsi sulla considerazione oggettiva di cause, effetti ed eventi.
Ottima, documentata e argomentata risposta.
Suggerisco di scrivere gli aggettivi riferiti a persone e popoli sempre con l’iniziale minuscola (a differenza da quello che si suol fare in altre lingue). Dunque “weberiano” e “italiano” e non “Weberiano” e “Italiano” (quest’ultimo è accettabile, anzi preferibile, come sostantivo riferito al tipico abitante del bel Paese, non però nel caso della lingua).
Credo che per comprendere il comportamento umano lo studioso deve tener conto della soggettività propria (come ritiene Dilthey). Secondo Dilthey l’oggetto fondamentale delle scienze dello spirito (che appunto si occupano dell’uomo) è l’erlebnis, ossia l’esperienza vissuta, e il metodo di queste scienze è quello di riviverlo/riprodurlo. Per esempio: se lo storico deve studiare un determinato periodo storico, e quindi anche i comportamenti sociali di quel periodo, secondo il mio parere ritengo che sia fondamentale doversi cimentare e immergere in quel periodo storico. Questo fa sì che si abbia una consapevolezza maggiore e una conoscenza più ampia. A differenza di Weber, che invece ritiene di non “inquinare” quell’oggettività che è frutto di ricerche, Dilthey dunque tiene in considerazione l’aspetto soggettivo perché ritiene che solo immergendosi in un determinato periodo e quindi rivivendolo, si possa conoscere a fondo il comportamento sociale di quel tempo.
So che cosa pensa di Dilthey, ma non mi è chiaro come tu intenda difenderlo dall’obiezione di Weber (riguardo al rischio che l’indagine risulti “inquinata” dalla soggettività del ricercatore).
Io credo che sia molto più corretto il pensiero di Dilthey in quanto il filosofo per riuscire a studiare qualsiasi ambito al di fuori della filosofia stessa (psicologico, sociale, storico ed economico) deve cercare di immedesimarsi nello studioso dell’ambito richiesto così da avere una visione più ampia dell’argomento. Questo porta il filosofo ad utilizzare i propri sentimenti e pensieri nello studio e a ultimare la ricerca con una certa soggettività. Lo ritengo più opportuno proprio perche il filosofo entrando a contatto con la disciplina riesce ad immedesimarsi nel contesto preciso e a capire in modo più approfondito il tutto. Si contrappone a questo tipo di pensiero invece weber che ritiene che il filosofo non debba entrare a contatto con l’argomento cosi da non eliminare la totale oggettività della ricerca svolta.
E come la metti con i rischi rilevati da alcuni, come Weber, di “inquinare” l’interpretazione del determinato fenomeno con la proiezione su di esso dei propri vissuti di ricercatore, con effetti di fraintendimento (p.e. anacronismi)?
La prospettiva più adeguata per lo studio del comportamento umano è quella di Weber. Questo perchè ritengo in primis corretto il suo appunto che egli fa a Dilthey e agli stoicisti sul fatto che comprendere è sinonimo di spiegare. Infatti l’esempio di Napoleone rispecchia nettamente il pensiero di Weber : per comprendere il motivo di un certa scelta e le conseguenze è necessario come prima cosa saper spiegare l’accaduto, che in un certo senso vuol dire la stessa cosa di aver compreso che cosa è successo.
Inoltre concordo col fatto che bisogna estraniarsi dal soggetto a cui si sottopone la pratica/ cura per elaborare una teoria oggettiva ed ottenere dunque un risultato ‘quasi scientifico’, dico quasi perchè c’è questa contraddizione dell’uomo come soggetto e oggetto. E appunto per far rendere il tutto oggettivo e di valore scientifico bisogna lavorare senza condizionamenti. (E’ da tener conto che possano esserci delle ‘anomalie’ nelle teorie elaborate poichè la mente umana mostra tante sfaccettature, e quindi non è sempre facile far rientrare la personalità e la psicologia di una persona in uno stereotipo fisso. Magari la maggior parte dei caratteri combaciano ma ci sarà sempre la possibilità che anche una minima parte non rientri in quel determinato stereotipo).
Concludo concordando con Weber anche sulla teoria dei tipi di agire, in quanto ritengo e condivido che l’uomo agisca secondo un certo modo che può essere raggruppato in una categoria dell’agire (magari con qualche piccola e sottile differenza ma pur sempre categorizzato).
La tua analisi è abbastanza convincente. Credo che tu per “stoicisti” intendessi “storicisti”. Non evocherei la nozione kuhniana di anomalia a proposito delle scienze storico-sociali perché è difficile immaginare a fenomeni (come il comportamento orbitale di Urano) che violano qualche determinato paradigma, dal momento che le scienze di questo tipo non sono predittive, ma spiegano per lo più gli eventi a posteriori (con la sola parziale eccezione dell’economia).
L’epistemologia delle scienze umane si focalizza sullo studio e l’analisi oggettiva del comportamento umano cercando attraverso un approccio scientifico a trovare schemi comuni e soprattutto prevedibili ( caratteristica prima della filosofia di Popper) della psiche umana. Ma è giusto basarsi interamente sulla scienza quando si parla di mente umana? Io ritengo di no. Credo, infatti, che il metodo oggettivo e rigido di Weber non sia sufficiente per comprendere i processi mentali dell’uomo influenzabile dagli eventi soggettivi ( episodi traumatici nell’infanzia con conseguenti atteggiamenti violenti), giudicando così un comportamento attraverso anche la nostra umanità. Per comprendere una persona non è adatto seguire schemi “standard”, ma analizzare a fondo gli le cause e gli effetti di sulla sensibilità dell’individuo immedesimandosi, come suggerisce Dilthey.
Quando invece studiamo la “massa” e non il singolo individuo, allora i criteri e i modelli proposti da Weber ( concetto di tipi ideali) sullo studio dell’uomo sono più veloci e precisi, infatti allargando l’oggetto di studio si riesce ad individuare degli schemi più comuni del comportamento umano. Questo metodo riesce soprattutto a prevedere l’atteggiamento dell’uomo rispetto, per esempio, a delle scelte in campo sociale, economico o politico.
La tua tesi è chiara e discretamente argomentata. Tuttavia, ti ricordo che anche Weber considera la possibilità che un comportamento possa essere sèiegato alla luce del tipo di agire “affettivo” (che può tener conto di eventuali traumi infantili e simili). Quello che Weber esclude è che il ricercatore debba esercitare una forma di immedesimazione con l’oggetto della sua ricerca, perché tale gesto porterebbe il ricercatore inconsciamente a proiettare il suo vissuto su quello del personaggio storico di cui si occupa.
Per lo studio del comportamento umano mi sembra più adeguato il pensiero di Weber. Infatti ritengo che lo studio in ambito psicologico, sociale, storico ed economico del comportamento umano, come pensa Weber, non dobba porre elementi soggettivi perché i fatti devono essere raccontati come effettivamente sono, in modo che alla mente di chi riceve l’informazione giunca una nozione oggettiva, da cui poi ognuno si farà una propria idea soggettiva in base al suo pensiero soggettivo. Se si utilizzasse il metodo di “immedesimazione”, come ritiene Dilthey, il racconto dei fatti sarebbe diverso in base alle idee soggettive di chi li racconta. In questo modo una persona darebbe più rilevanza a certi fatti che ad altri come un’altra persona ad altri fatti ancora ecc.. Si creerebbe così una diffusione, racconto di fatti sempre diversi o modificati per ogni raccontatore e ciò comporterebbe una perdita di conoscenza dei fatti reali ed effettivi. Dunque credo che la ricerca debba lasciare fuori il fattore soggettivo che contaminerebbe i risultati degli studi ma appunto agire oggettivamente.
La tua tesi è chiara. Forse avrebbe giovato alla tua argomentazione un riferimento alla weberiana teoria della possibilità oggettiva in campo storico che tenta di ovviare ai limiti del metodo storicistico dell’immedesimazione.
Dal mio punto di vista bisognerebbe tentare di mantenere i propri studi più oggettivi possibile, come sostenuto da Weber. Però, secondo me, la riuscita di un’impresa del genere è impossibile dato che l’essere umano non è in grado di mantenersi completamente oggettivo, quindi dal mio punto di vista bisognerebbe almeno tentare di raggiungere l’oggettività massima, rimanendo però sempre coscienti del fatto che ciò non sia fattibile.
E quali accorgimenti bisognerebbe adottare a questo fine, o mio sintetico allievo?
Lo studio del comportamento umano in ambito sociale, storico, economico e psicologico, secondo il mio punto di vista, mi sembra più adeguato in un contesto di filosofia Weberiana, dal momento che la psicologia del comportamento, quella della cognitività e il costruttivismo propongono dei modelli troppo rigidi e schematici.
Preferisco, di conseguenza, lo studio secondo comportamenti stereotipati dal momento che, anche se basandosi su esempi concreti e appurati (come possono essere i comportamenti dei sovrani o qualsiasi altro modello confermato), i modelli di Weber permettono l’esistenza di un margine di diversità che ogni individuo possiede e che quindi il suo studio deve mantenere (eliminazione di modelli rigidi non sostenibili).
Lo studio di questi fenomeni e campi, tuttavia, come teorizzava Weber, non deve porre degli elementi soggettivi, poichè i fatti vanno espressi come realmente sono, in modo da far arrivare e metabolizzare nella mente di ogni individuo una nozione oggettiva, che immediatamente diventerà soggettiva a causa della presenza in ognuno di noi di una propria opinione e interpretazione.
In conclusione, quando penso allo studio di un determinato comportamento umano o un fenomeno sociale, storico, psicologico o economico, sono invogliata automaticamente ad analizzare il fatto e quindi a prediligere un percorso di ricerca in favore di un altro (in modo soggettivo); tuttavia, dal momento che scelgo la decisione soggettiva di trattare o ricercare una determinata cosa devo farlo al massimo delle mie capacità oggettive e analitiche.
Se utilizzassimo per lo studio di un qualsiasi evento storico che generi dibattito, con l’approccio comprensivo di Dilthey ( che pensava che bisognava immedesimarsi uscendo da se stessi e cercando di mettersi nei panni di altri ) probabilmente ci arresteremo al concetto basilare si quell’evento stesso, invece, dal momento che utilizziamo una ricerca oggettiva possiamo comprendere al meglio ogni avvenimento storico avvenuto e, grazie alla teoria della possibilità, capirne le possibili cause.
Per essere più precisi ritengo che utilizzando l’approccio di Weber, chiedendosi se l’evento studiato sarebbe accaduto indipendentemente dal verificarsi di certi episodi, la sua teoria consenta di riconoscere quali di questi episodi hanno realmente influenzato la storia. E’ un approccio che approvo in quanto critico e oggettivo.
Proprio per quest’ultima caratteristica ritengo tuttavia che le teorie e i modelli di Weber, pur essendo validi per fenomeni sociali, storici o economici, non sia sufficiente in ambito psicologico, dove l’individuo assume una maggiore rilevanza; poiché l’uomo possiede una libertà che lo porta non sempre ad agire in modo razionale.
In ambito psicologico mi sembra quindi che il criterio dell’immedesimazione di Dilthey possa offrire una maggiore comprensione del singolo: l’immedesimazione consiste infatti nella capacità di mettere da parte la propria visione soggettiva del mondo al fine di adottarne una completamente differente.
In conclusione, penso che la ricerca abbia il dovere di spiegare gli eventi non in base alla capacità di immedesimarsi in coloro che erano i principali protagonisti dell’evento stesso, ma sulla base della riflessione delle effettive cause di essi, eliminando il fattore soggettivo che contaminerebbe e renderebbe inattendibili i risultati dello studio e della ricerca.
La tua risposta è abbastanza chiara e completa. Apprezzabile la distinzione che istituisci e argomenti tra scienze storiche e psicologia. Va osservato, comunque, che Weber, pur rifiutando il metodo dell’immedesimazione, conferisce rilevanza anche alle spiegazioni dei comportamenti umani basate su motivazioni apparentemente non razionali come quelli riconducibili a un agire di tipo affettivo. Non è necessario immedesimarsi in un fanatico religioso per comprendere e spiegare, alla luce del fanatismo religioso (come tipo ideale), il comportamento di coloro che realizzarono l’attentato dell’11 settembre 2001. Non si è trattato di un agire razionale o abituale, ma affettivo (a meno che non lo si voglia considerare razionale rispetto al valore). In altre parole un po’ di psicologia aiuta nella comprensione degli eventi storici senza richiedere forme di immedesimazione (un altro esempio è la spiegazione delle Grandi Purghe di Stalin, attuate contro i suoi stessi interessi politici e militari, dovute alla paranoia del dittatore sovietico).
ritengo l’approccio di Weber il più adatto allo studio del comportamento umano perchè riduce la psicologia a una scienza idiografica che va studiata attraverso modelli e criteri, ma è consapevole della potenziale imprevedibilità.
Weber introduce una metodologia che grazie a alla sua oggettività puo essere applicata in diversi contesti, infatti propone dei modelli comportamentali e dei tipi ideali che costituiscono un punto di partenza.I quattro principali modi di agire che distingue sono
– quello tradizionale cioè quello abituale
-quello affettivo quando spinti dalle passioni, desideri o vocazioni
-quello razionale secondo il valore , quando una cosa è inutile e non ho intenzione di farla ma trovo che sia giusto farla
-quello razionale secondo allo scopo .
utilizzare dei modelli ci permette di identificare la psicologia come una vera e propria scienza poichè facendo riferimento ai modelli si posso distinguere i comportamenti imprevisti da quelli tradizionali
Sintetica ma chiara risposta, abbastanza ben argomentata. Non è chiaro perché hai sentito l’esigenza di ricordare i tipi di agire secondo Weber. Forse, per argomentare la tua tesi favorevole all’uso di questi modelli, avresti potuto esemplificare il loro uso in riferimento a qualche vicenda storica particolare.
seppure non trovo sbagliata la seconda prospettiva, mi trovo più concorde con quella che dovrebbe tenere conto della propria soggettività nello studiare il comportamento umano nei vari ambiti. l’agire umano è una conseguenza della sua personalità e psicologia, ed è condizionato da una data situazione storica e culturale. perciò è importante dover comprendere i vari momenti storici attraverso i quali l’uomo è giunto a realizzarsi. il metodo della ricerca si dovrebbe basare sulla «comprensione» della psiche dell’uomo, non nella sola dimensione razionale, ma nella totalità della personalità del soggetto. e questa comprensione non si dovrebbe basare sulla causalità, ma sui suoi valori, attraverso l’immedesimazione di colui che ne tratta.
Non è ben chiaro per quali ragioni tu privilegi un approccio rispetto all’altro. Perché si dovrebbero privilegiare i valori rispetto alle cause? Non è chiaro, inoltre, il riferimento alla “comprensione dei vari momenti storici”. Il punto è proprio questo: attraverso quale metodo o approccio i “momenti storici” possano essere compresi.
Credo che le scienze riguardanti lo studio dell’uomo debbano essere studiate tenendo conto della propria stessa umanità e sensibilità, ma anche del distaccamento dall’argomento di studio per non inquinarne l’oggettività.
Sono un esempio i testi di storia, i quali cercano di trattare l’argomento con la maggiore oggettività possibile, però in essi si possono trovare anche lettere o documenti relativi a personaggi o gruppi storici. Mediante questi, come afferma Dilthy, siamo in grado di immedesimarci e quindi di comprendere i reali valori a cui obbediva il loro modo d’agire. In questo modo abbiamo una descrizione imparziale dei fatti e delle ulteriori fonti che ci danno un quadro quanto più completo di quanto stiamo studiando.
Non è chiaro come tu possa conciliare una “descrizione imparziale dei fatti” con l’immedesimazione nei loro autori. Se tutto fosse così semplice come sembri suggerire nella tua risposta il problema sollevato non si porrebbe e non avrebbe affaticato le migliori menti che se ne sono occupate, non ti sembra?
Personalmente l’approccio che mi sembra più adeguato allo studio del comportamento umano nei diversi ambiti elencati è quello ideato da Weber, poiché ritengo che la ricerca non possa basarsi sulla considerazione della propria umanità (porterebbe solamente un fattore soggettivo dannoso per la veridicità dei risultati) né sul concetto di immedesimazione, in quanto spesso questa può condurre ad una proiezione dei propri valori sul soggetto analizzato, con la conseguente perdita di oggettività. Nella psicologia, che secondo Weber è una scienza idiografica, esiste un grado di imprevedibilità che non può essere sottovalutato, così come nelle scienze umane che cercano di supporre leggi generali (economia, statistica, sociologia). Perciò diventa fondamentale elaborare dei tipi ideali ai quali riferirsi per l’analisi dei singoli individui o comportamenti umani, avendo fondamenta solide sulle quali basare eventuali supposizioni riguardanti le cause delle azioni. Partendo dal presupposto che individualmente risulta impossibile rispecchiare il modello generale nella sua totalità, l’approccio di Weber è utile proprio per stabilire di quanto e in quale modalità il singolo se ne sia discostato. Per valutare l’incidenza causale di un evento si può utilizzare la teoria della possibilità oggettiva (cruciale soprattutto in ambito storico), immaginando cosa sarebbe accaduto se quel determinato evento non fosse avvenuto (o non fosse stato compiuto da una persona in particolare): tale metodo permette di mantenere la scienza sul piano dei giudizi di fatto, concependola come avalutativa. I modi di agire descritti da Weber (tradizionale, affettivo, razionale secondo il valore, razionale secondo lo scopo) con i relativi modelli di potere politico e di etica consentono quindi di garantire alle scienze umane un livello di oggettività che non vada ad offuscare i risultati delle ricerche attuate.
A rischio di apparire ripetitivo, constato nel tuo stile di lavoro gli stessi elementi di sempre: un’ottima qualità espositiva, uno studio approfondito e anche una discreta pertinenza al quesito. Tuttavia la soddisfazione del quesito medesimo appare in qualche misura oscurata dalla quantità dei riferimenti e delle informazioni prodotte. Insomma, la tua preoccupazione di dimostrare che padroneggi con sicurezza l’argomento sporge sull’efficacia nell’argomentare la tua posizione al riguardo. In contesti professionali nei quali si richiedesse la sintesi questo tuo stile potrebbe rivelarsi controproducente. Sicuramente in sede di valutazione scolastica esso ti porta a risultati che sfiorano l’eccellenza.
Mi chiedo come potrei sapere io una risposta a una domanda simile quando di per sé credo che lo stesso “essere umano” non possa essere capace di rispondere. Non esistono situazioni che io possa prendere da esempio per arrivare ad avere una sicurezza di base su quello che potrei dire. Ad esempio come posso non prendere appunto in considerazione l’uomo “scienziato-ricercatore”e tutto cioè che lo riguarda (sentimenti, passato ecc), il quale studia un altro uomo “quello cavia” se esso stesso è un uomo? Non possiedo un alieno o comunque una forma di vita o essere capace di studiare il comportamento umano esente da ogni forma di “inquinamento” che può provocare agli studi sulle sue ricerche (studi sull’uomo svolti dall’alieno in questo caso); comunque l’alieno dovrebbe poi porsi domande simili: lui/lei/It (in inglese) stesso/a non può avvalersi degli studi effettuati su alcune cavie (che non saranno mai tutte o le stesse nel medesimo arco di tempo perché comunque siamo in continuo mutamento) o si porrà comunque altri problemi simili. Posso cercare di essere oggettivo al massimo ma, appunto sarebbe davvero questo l’approccio giusto? (Non posso studiare qualcosa del tutto fuori dall’ambiente di studio trovandomi io stessa in esso). Mi dispiace rispondere con domande ma faccio davvero fatica a trovare una risposta e più ci penso più nel mio ragionamento trovo contraddizioni o scenari provocatori (nel senso che vanno in contraddizione l’uno con l’altro) che mi facciano ricredere su quella che possa essere la possibile risposta. Ci sono troppi fattori che condizionano anche solo una piccola cosa o avvenimento e se mai trovassi il modo di tenerli presenti tutti poi, potrei dire di riuscire a prevedere il futuro? Avrei la conoscenza di tutto? Eppure abbiamo studiato come, in realtà, anche sapendo e prevedendo tutto ci siano cose che si basano sulla casualità. Okay d’accordo, magari non c’è bisogno di andare nel più microscopico del particolare e che certe cose (molte di esse) si possano studiare ottenendo pure dei risultati concreti ma, comunque mi sento troppo insignificante e incapace di dare una risposta. Non la trovo, non c’è appunto un solo caso da cui posso fare riferimento ma infiniti ed essendo io stessa un essere (prima o poi) finito non saprei rispondere…
Allora, come sempre tendi a una sovrainterrogazione, che ti rende molto filosofa, ma forse troppo.
In un certo la tua apparente non risposta è già una risposta, a favore di un modello interpretativo delle “cose umane” di tipo umanistico, piuttosto che “scientifico”. Alcuni degli argomenti che evochi sono infatti simili a quelli p.e. di Dilthey.
D’altra parte se tutto fosse così sfuggente come tu argomenti non esisterebbero discipline come l’economia e leggi come quella domanda e dell’offerta, non credi? Si tratta di generalizzazioni su basi statistiche che talora possono indurre in errore, ma non per questo dobbiamo escluderle dal novero della scienza. i modelli che vengono adottati p.e. per prevedere l’evoluzione della presente pandermia sono assai approssimativi, ma senza di essi l’azione di contrasto al fenomeno a “suon” di decreti governativi e di ordinanze regionali sarebbe molto più difficile e più arbitraria di quanto già non appaia.
L’uomo possiede una componente oggettiva e una componente soggettiva;quest’ultima ci rende piu propensi a fare confusione nel descrivere e raccontare I fatti alle altre persone in quanto tutti abbiamo la propria soggettivita che ci fa propendere a valorizzare determinate aspetti rispetto ad altri.Data questa tendenza naturale,nello studio della maggior parte delle materie umanistiche(storia,economia,sociologia),ritengo piu appropriato l’approccio di Weber perche esso cerca di ridurre il minimo possible questa “sorgente di confusione” ,mentre con l’approccio di Dilthey si dovrebbe ogni volta rivalutare e reinterpretare(in base alla propria soggettivita) I fatti esposti,aumentando il grado di confusione e rallentando qualsiasi tipo di progresso.Le materie umanistiche,pur avendo una componente soggettiva(dato l’oggetto di studio:l’uomo),non sfuggono completamente al paradigma scientific perche,come affermato da Weber stesso,anche l’azione del singolo va ricondotto ad un “tipo ideale” e inoltre si puo sempre valutare oggettivamente l’incidenza causale di un azione su dei determinate fatti,senza dover ricorrere alla soggettivita(che anzi,in questo preciso caso risulterebbe controproducente) o all’introspezione ;dunque,pur trattando di mateire umanistiche,l’approccio oggettivo di Weber e giustificato.Tuttavia non ritengo che l’approccio introspettivo debba essere abbandonato perche:qualora non si potesse ricondurre un azione o un fatto ad un tipo ideale o legge generale( cio potrebbe accadere specialmente nell’ambito della psicologia),tale approccio soggettivo si potrebbe rivelare molto utile; quest’approccio pero non deve essere fine a se stesso,ma incentrato a trovare ulteriori leggi generali da formulare.
Sostanzialmente intendo dire che anche nell’ambito delle scienze umane,la metodologia principale deve essere sempre quella di carattere oggettivo,ma quest’ambito scintifico offre un vantaggio rispetto alle scienze naturali ed e la component soggettiva in virtu della quale:da un lato si e piu tendenti alla confusione e alla formulazione di leggi di carattere statistic-probabilistico(invece che meccanico-deterministiche),ma dall’altro lato si ha un ulteriore modo(rispetto a quello oggettivo) di cercare una spiegazione ai fatti osservati(specialmente ai fatti che non rientrano nelle leggi gia stabilite),ovvero cercando di immedesimarsi nel personaggio responsabile del fatto o dell’azione.
Ho capito il tuo punto di vista. È interessante l’idea di valorizzare l’introspezione all’interno di un approccio oggettivistico.
Ti suggerirei, tuttavia, di mettere un po’ meglio in ordine le tue idee prima di scrivere: ne guadagnerebbero chiarezza e sintesi.