La questione della “spiegazione” in storia

Prima di affrontare un argomento (come la storia del movimento operaio e del marxismo tra Ottocento e Novecento) interroghiamoci sul valore delle “spiegazioni” in campo storico.

Facciamo l’esempio della prima guerra mondiale. Quali ne sarebbero le “famose” cause?

Generalmente si distinguono

il casus belli (la pròphasis di Tucidide), che, nel caso della prima guerra mondiale, è ovviamente l’attentato (riuscito) all’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo, del 28 giugno 1914,

dalle “vere” cause di ordine

  1. politico (l’esaurimento degli spazi afroasiatici di espansione coloniale delle potenze europee, specialmente di Gran Bretagna e Germania),
  2. militare (la corsa agli armamenti delle maggiori potenze, di nuovo soprattutto Gran Bretagna e Germania, in particolare per quanto riguarda la flotta),
  3. culturale (la diffusione nei diversi Paesi di movimenti nazionalistici e revanchistici, le dottrine estetizzanti che celebravano la guerra come “sola igiene del mondo”)
  4. ed economico (la spinta a investire i grandi capitali di cui disponevano le classi dirigenti delle maggiori potenze, dato l’esaurimento dei mercati interni e coloniali, nell’industria militare e nell’enorme indotto da essa generato ecc.).

In una prospettiva storiografica marxistica, da cui non sono lontani gli autori del manuale in adozione, le cause “economiche” (come quelle segnalate sorgivamente da Lenin nel saggio Imperialismo fase suprema del capitalismo del 1916) sarebbero le “vere” cause dei processi storici, mentre quelle di ordine “superiore” sarebbero “sovrastrutturali”, giustificazioni e spiegazioni di secondo ordine.

Tuttavia, una breve riflessione di epistemologia della storia, ispirata p.e. a criteri derivati dalla metodologia delle scienze storico-sociali di Max Weber (che ritroveremo svolgendo il programma di Filosofia), ci può far dubitare della “cogenza” di qualsiasi pretesa “spiegazione” degli eventi e dei processi storici in termini “causali” (siano tali cause di ordine economico o di qualsiasi altra natura). Più che di spiegazione si dovrebbe forse parlare di interpretazione. Ciascuno dovrebbe sentirsi libero di offrire l’interpretazione che ritiene più convincente a partire dai suoi assunti filosofici (p.e. marxistici, liberali ecc.), purché la sua ricostruzione non faccia violenza ai fatti e sia coerente e attendibile.

Infatti, a differenza che nelle scienze della natura, non possiamo effettuare esperimenti che confermino o smentiscano le nostre ipotesi (le nostre “Imputazioni causali”,  come le chiama Weber). Non possiamo, cioè, sperimentare che cosa sarebbe accaduto se non fosse stato ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando, o se non vi fosse stata la corsa agli armamenti ecc.  Possiamo certamente “immaginarlo”, ma, in assenza di verifiche sperimentali, possiamo solo congetturare il “peso specifico” dei singoli eventi o processi sotto il profilo causale.

Ad esempio, per quanto riguarda le “cause” delle prima guerra mondiale, ci sarebbe da chiedersi se il casus belli sia davvero così “superficiale”. Se l’arciduca non fosse stato ucciso, la guerra sarebbe scoppiata comunque? Le altre pretese “cause” erano davvero così determinanti? In precedenza si era sfiorato il conflitto in presenza di condizioni analoghe, ma si era sempre riusciti ad evitarlo (guerre balcaniche, crisi marocchine ecc.).

Forse si dovrebbe parlare più di “condizioni” favorevoli che di vere e proprie cause. Il casus belli potrebbe essere paragonato a una miccia e le altre “condizioni” a un barile di esplosivo. Se non si accende la miccia, l’esplosivo è certamente pericoloso, ma potrebbe non detonare. Si potrebbe avere il tempo di renderlo inerte. D’altra parte se si accende la miccia, ma mancasse l’esplosivo o questo fosse scarso, gli effetti dell’accensione sarebbero certamente nulli o assai deboli.