L’Europa intorno al mille (profili economici e giuridici)

Ci siamo chiesti che cosa è importante ricordare di tre forme dell’organizzazione socio-economica, tra loro intrecciate, ancora ben vive all’alba del II millennio, nell’Europa occidentale (mentre l’impero romano d’Oriente, sotto l’energica dinastia macedone, e il mondo islamico, continuavano a “splendere” sotto il profilo sia economica sia culturale):

  1. l’economia curtense (cfr. pp. 275-77 del manuale di seconda [esclusa Ecostoria])
  2. il sistema vassallatico-beneficiario (cfr. pp. 284-86 [fino a L’organizzazione ecc.escluso])
  3. il feudalesimo vero e proprio (passaggio all’ereditarietà dei benefici maggiori e minori) (cfr. p. 314, capoverso sul capitolare di Quercy; pp. 318-19: La signoria territorialeLa mutazione feudale; p. 324: 4° capoverso sulla Constitutio de feudis)

La curtis veniva coltivata con il sistema detto appunto curtense, secondo molti storici fin dal tardo impero romano, ma senz’altro già in età longobarda e, in generale, durante i cosiddetti regni romano-barbarici (V-VII secc.), che, in Occidente, riempirono il vuoto determinato dalla caduta dell’autorità romana.

curtis

La differenza principale tra questo sistema e quello “moderno” (o “di mercato”) consiste nel fatto che sussistono rapporti impensabili nel sistema moderno. P.e. i contadini che coltivano i mansi sono liberi (rispetto p.e. agli schiavi antichi e agli stessi “servi casati” che lavorano la pars dominica o, più spesso, servono la famiglia padronale in casa), ma obbligati a non lasciare la loro terra, il manso, (sono servi della gleba), e sono costretti a coltivare periodicamente la terra del padrone (corvée) per ripagarlo della concessione del manso.

Sorgono alcune domande.

Ad esempio, in definitiva, i mansi (che non appartengono alla pars dominica), di chi sono? Se sono del padrone, in che cosa differiscono dalla pars dominica? Se sono dei contadini, perché in capo a questi corrono obblighi verso il signore? Forse perché questi li protegge? Ma, ricordiamo, non si tratta ancora di “signoria di banno”, cioè di un signore che eserciti poteri di tipo pubblico.

Altre questioni riguardano i servi casati. Sono in tutto e per tutto schiavi, come i “servi” degli antichi Romani? Ma dopo l’avvento del cristianesimo la condizione degli schiavi migliorò, anche sotto il profilo giuridico; molti venivano liberati… Sono contadini liberi che, “spontaneamente”, si mettono nelle mani di un signore perché non riescono più a sopravvivere con le proprie risorse? Ma, in questo caso, non differirebbero dai “normali” servi della gleba (i lavoratori della pars massaricia, cioè dei mansi). In generale non è del tutto chiaro se questi servi godessero di qualche diritto e di quale, così come non è chiaro il senso in cui essi erano di “proprietà” dei loro padroni.

In realtà non esisteva un univoco concetto di proprietà, come oggi, tale per cui chi è proprietario di qualcosa può venderlo, affittarlo, farne ciò che vuole sul libero mercato. Esisteva piuttosto una molteplicità di diritti che insistevano sugli stessi beni. Il manso, ad esempio, apparteneva sì al contadino, ma non come l’allodo (proprietà “completa”), bensì come qualcosa che apparteneva anche al signore (che deteneva la c.d. proprietà eminente), quando magari non anche a colui di cui il signore era – supponiamo – vassallo e da cui magari egli l’aveva ricevuto in feudo (beneficio).

Tutto questo complica enormemente il commercio delle proprietà terriere, anzi di fatto lo impedisce, e ingessa, così, l’economia. Il sistema, quindi, irrigidendo i ruolo dei vari attori, può funzionare in una società statica, in cui si produce quasi solo per il proprio fabbisogno e gli scambi al di fuori delle curtes sono ridotti al minimo. Ma il sistema non  funziona più quando rifioriscono i commerci. Anzi, esso, a causa della sua sola complicatezza, favorisce i conflitti, più che gli scambi, con danno per tutti.

Non bisogna confondere, come accennato, il sistema curtense, fondamentalmente economico, comprensibile in termini di “diritto privato” (le norme che presiedono al trattamento delle proprietà, ai rapporti economici tra persone ecc.) dalla successiva “signoria di banno“, sempre più diffusa con l’indebolimento dei poteri centrali nella tarda età carolingia (IX-X secc.).

Tale signoria, pur fondata su un sistema economico simile a quello curtense, integra profili di “diritto pubblico” (nel senso che ai signori vengono conferiti sempre maggiori poteri pubblici, teoricamente propri degli stati sovrani, come quello di riscuotere tributi, imporre gabelle e pedaggi, dirimere controversie giudiziarie, punire i trasgressori delle norme ecc.).

Siamo, infatti, nel periodo del c.d. incastellamento: la delega ai “privati” di poteri pubblici è resa obbligata dall’impossibilità da parte dei poteri centrali (non solo da parte del re o dell’imperatore, ma anche dei grandi feudatari, duchi, marchesi e conti ecc.) di difendere le popolazioni rurali (ma anche cittadine) dalle nuove invasioni (di Ungari, Normanni, Saraceni).

Tutto questo, tuttavia, non favorisce affatto la chiarezza nelle relazioni. Come nell’economia curtense insistono diversi diritti “reali” (sulle res, sulle cose) sui medesimi beni e anche diritti “personali” (sulle persone, p.e. sui contadini – liberi per un verso, servi per un altro – e sui servi casati), così nel sistema delle “bannalità”, che si sovrappone al sistema curtense, insistono diversi poteri (potestates) sulle medesime persone. P.e. sia i rappresentanti del re, sia il signore locale, riscuotono tasse e amministrano la giustizia : il risultato è che i gravami fiscali si moltiplicano e che, quando non è chiaro se si tratti di “bassa giustizia” o di “alta giustizia”, non si sa a chi occorre rivolgersi per dirimere le liti.

Con la nascita dell’impero carolingio (IX sec.) si afferma, poi, in tutta l’Europa occidentale il sistema vassallitico-beneficiario già sperimentato, in precedenza, in alcune regioni del regno dei Franchi.

In teoria questo sistema non dovrebbe favorire la frammentazione e la confusione, anzi l’opposto. Il sovrano si vale di funzionari locali (conti e marchesi) per svolgere i suoi compiti. Non potendoli pagare in denaro, li paga in natura assegnando loro delle terre in beneficio (provvisorio, per la durata della carica). Non bisogna confondere, al riguardo, il feudo assegnato come forma di pagamento e il territorio, molto più vasto (p.e. una contea o una marca di frontiera), che il funzionario deve amministrare. Naturalmente anche questi conti e marchesi possono valersi dell’aiuto di altri signori locali, conferendo loro incarichi e pagandoli con il sistema dei benefici.  Così, in caso di guerra, i signori sovraordinati (re o conti ecc.) pagano la “fedeltà” dei loro vassalli tramite il conferimento di benefici.

Il problema sorge con la crisi dei poteri centrali. I feudatari acquistano sempre nuovi incarichi, poteri e immunità (cioè esenzioni da doveri nei confronti dei loro signori), nonché sempre nuovi benefici. I feudi (prima quelli dei grandi vassalli, cfr. il capitolare di Quiercy dell’877, poi anche di quelli piccoli, con la constitutio de feudis del 1137) tendono a diventare ereditari. I vassalli dei vassali si moltiplicano (ecco come sorge la signoria di banno: signori locali, dal ruolo originariamente solo “economico”, quali proprietari di estese villae, ricevano dai loro “signori” incarichi “pubblici”, generando “conflitti di interesse”: ad esempio potrebbero dover essere chiamati a giudicare in una lite tra i contadini e… loro stessi!). Gli abusi si moltiplicano.

Si comprende il bisogno diffuso di maggiore “certezza del diritto”, cioè di chiarezza e sicurezza, soprattutto a tutela del rinascente commercio.

Su tutti questi temi cfr. il manuale di terza, V. Castronovo, MilleDuemila ecc, vol. 1, cap. 1, § 1.1 (pp. 5-8).