L’epistemologia da Popper a Quine

I problemi lasciati irrisolti dall’approccio verificazionista degli empiristi di diversa estrazione vengono affrontati e (apparentemente) risolti dall’approccio “fallibilista” o “falsificazionista” di Karl R. Popper.

Cfr, cap. 13, §3, pp. 366-68 (fino a Critica dello storicismo esclusa).

Tale approccio viene criticato e superato da Thomas Kuhn  (cap. 13, § 4, pp. 370-71) che sviluppa la sua epistemologia delle rivoluzioni scientifiche.

Ma neppure Kuhn, a ben vedere, risolve il problema di stabilire il grado di verisimiglianza o progressività di una teoria scientifica (o di un paradigma), dal momento che nella sua prospettiva, contro il buon senso (che suggerirebbe che le teorie più recenti siano anche migliori di quelle più antiche e tali siano anche i paradigmi più recenti) si dà progresso solo all’interno di un determinato paradigma, ma non tra un paradigma e un altro.

Un tentativo di fissare un grado di maggiore o minore verisimiglianza di una teoria su basi probabilistiche è quello bayesiano, a sua volta sottoposto a critica da Popper che, ispirandosi tuttavia ai bayesiani, suggerisce a sua volta il criterio basato sul rapporto tra teorie nuove e “conoscenza di sfondo”.

Cfr. la pagina del volume di Giorello sull’approccio bayesiano e quella sulla critica di Popper al medesimo (entrambe da raddrizzare).

Ma anche la soluzione di Popper non sembra reggere se ci disponiamo nella prospettiva aperta da Imre Lakatos e dalla sua metodologia dei programmi di ricerca.

Cfr. la pagina del volume di Giorello sull’approccio di Lakatos e cap. 13, § 4, pp. 371-72.

A questo punto sembra che, grazie soprattutto a Popper e Lakatos, l’epistemologia contemporanea ci abbia consegnato:

  1. un criterio di demarcazione tra scienza e non scienza (la falsificabilità delle teorie, cioè la possibilità di controllare le loro conseguenze empiriche);
  2. un criterio di progressività tra teorie scientifiche (il fatto che una teoria generi un “contenuto empirico indipendente” maggiore di un’altra, cioè consenta di risolvere più rompicapi).

Disgraziatamente sembra che approfondendo ulteriormente questi criteri essi non reggano a un esame critico, come quello a cui essi vengono sottoposti da Feyerabend e Quine.

In particolare appare non così facile distinguere in una teoria scientifica la componente teorica da quella empirica (osservativa), che è a sua volta impregnata di teoria (costituisce sempre un’interpretazione dei fenomeni), col risultato che diventa difficile distinguere una teoria scientifica da una “visione” filosofica o religiosa che interpreta in un determinato modo l’esperienza (viene meno il criterio di demarcazione, almeno come criterio rigido); inoltre la caratteristica “serendipity” a cui è soggetta la ricerca scientifica (il fatto che spesso si trovi quello che non si cercava e che vecchi paradigmi tornino inopinatamente d’attualità) getta ombre su qualsiasi possibile criterio di progressività (cioè di preferibilità tra teoria diverse).