Alla luce di quanto illustrato in aula in merito alla filosofia di Schopenhauer (cfr. la corrispondente pagina sul sito principale e, se credi, anche le pagine su Schopenhauer del volume 3A del manuale) e in merito alle filosofie indiane, valuta fino a che punto Schopenhauer appare debitore di queste scuole di pensiero e quanto, invece, espone una dottrina originale (o, comunque, derivante da antecedenti “occidentali”).
Nella filosofia di Schopenhauer possono essere ritrovati elementi delle dottrine di Kant e di Platone e delle elaborazioni filosofiche hinduista e buddhista.
In particolare da Kant si può ricavare il fatto che Schopenhauer veda il mondo come una rappresentazione e in particolare come inganno, riprendendo anche l’induismo che nomina tale apparenza dei fenomeni “velo di Maya”.
Dietro tale apparenza vi è la vera realtà, la kantiniana cosa in sè o il Brahman indu (a differenza del Buddismo secondo cui non esiste alcuna realtà ultima).
Vi è poi la ripresa delle idee platoniche nelle quali la Volontà (ovvero l’essenza della cosa in sè) si oggettivizza allo scopo di trovare sempre il desiderio per qualcosa di nuovo.
Infine il buddhismo si può riscontrare in uno dei tre modi con cui Schopenhauer propone di uscire da queste illusioni: l’ascesa, ovvero l’estinzione completa delle volontà, che può essere paragonato al Nirvana, ovvero il superamento dei desideri.
Ottima analisi, anche se non completamente esauriente. La funzione dell’arte in Schopenhauer non potrebbe costituire un’eco romantica?
La filosofia di Schopenhauer riprende per diversi aspetti le filosofie indiane. Innanzitutto, secondo lui, il mondo appare come rappresentazione; noi siamo a conoscenza dei fenomeni ma non della cosa in sè che si nasconde dietro la superficie. Questa rappresentazione del mondo può essere associata al “velo di Maya” del Vedanta legato all’induismo filosofico.
La realtà dietro ai fenomeni è fatta di desiderio, chiamata Wille, che costituisce la vera essenza della cosa in sé. Questa Volontà tende sempre al piacere ma è mossa da una condione di perenne dolore o insoddisfazione, riprendendo il buddismo il “dukka”.
Secondo il filosofo, le uniche vie di uscite possibili sono:
– l’arte per evadere momentaneamente da se stessi e dai desideri (ripresa originale della nozione kantiana di bello);
– la compassione che può assumere la forma buddhistica del desiderio dell’estinzione della sofferenza di tutti gli esseri viventi oppure un’espressione originale dell’amore verso il prossimo cristiano;
– l’ascesi che può condurre all’estensione completa della Volontà ( il “nirvana” ).
Buona analisi anche se, per soddisfare più pienamente il quesito, avresti potuto distinguere più efficacemente quanto Schopenhauer deve all’India e quanto all’Occidente (p.e. a Kant).
Buonasera, un elemento da cui si può notare che Schopenhauer è stato influenzato dalle filosofia orientale, specialmente quella buddista e induista, si può rintracciare nei rimedi che trova per uscire dalle cosiddette “illusioni”. Questo è rintracciabile nella seconda via per allontanarsi, quella della compassione, che può essere ,entra nella chiave Buddhista dell’estinzione del dolore della vita propria e del prossimo, ma soprattutto nell’ ascesi, cioè nella rinuncia totale di ogni desiderio e tentazione, infatti solo l’ascesi può condurre all estinzione completa della Volontà:c’è quindi un evidente richiamo alla condizione di raggiungimento del Nirvana della filosofia indiana
Giusto, mentre tipicamente occidentale potrebbe essere….?
Il filosofo Schopenhauer si ispira alle filosofie di Platone e di Kant, ma si appoggia anche alle filosofie indiane.
Possiamo trovare un rimando a queste ultime, secondo me, nel fatto che per Schopenhauer l’unica via di uscita consista nell’applicare tre rimedi a se stessi: l’arte, l’ascesa e la compassione.
Più nel dettaglio, possiamo considerare l’ascesi, ovvero la rinuncia all’esaudimento di ogni desiderio come fa il Sannyasi hindu, il quale si stacca da qualsiasi forma di gratificazione dei sensi, che alla fine può portare al Nirvana, l’estensione completa della Volontà. Quest’ultima, per il filosofo, è universale e viene mossa da una condizione di insoddisfazione perenne, chiamata dukkha dai buddhisti.
Tuttavia la via dell’arte sembra piuttosto occidentale, come ha notato la tua compagna Maria.
Appare “debitore” per quanto riguarda il mondo visto come mondo illusorio dell”induismo secondo cui dietro i fenomeni si celi la vera realtà (una sorta di divinità impersonale proprio come la “Volontà” di Schopenhauer), per la “dukka” dei buddhisti (siamo destinati al dolore, a non raggiungere mai la felicità a causa di desideri infiniti, soddisfatto uno ne scaturisce un altro condizione che viene chiamata da Schopenhauer “Wille” ), per il “nirvana” soluzione finale al dolore e al l’insoddisfazione mondana o al sannyasi hindu per cui si rinuncia ad ogni forma di gratificazione dei sensi ( simili all’ascesi di Schopenhauer). Di originale e tutto suo ha che una delle “cure” per il dolore è l’arte grazie alla quale la volontà si distrae perché i dipinti ad esempio sono rappresentazione di desideri e quindi è come se la volontà si guardasse allo specchio.
Ottima analisi!
La filosofia di schopenhauer mostra molti elementi che derivano dalle filosofie indiane: in primis la visione del mondo come inganno che nasconde la cosa in se. Ma è proprio da questa concezione che schopenhauer articola poi tutto il suo pensiero, che va a sfociare nel sospetto verso ogni cosa e nel nichilismo, allontanandoso significativamente dalle filosofie indiane. Nelle vie d’uscita proposte da Schopenhauer invece abbiamo nuovamente Delle analogie, infatti possiamo assimilare la compassione al desiderio buddhista dell’ estinzioni di tutti gli esseri viventi e l’ascesi alla rinuncia di ogni cosa da parte di un monaco per arrivare al nirvana
Sotto molti punti di vista si può affermare come Schopenhauer e le filosofie indiane presentino diversi punti in comune. Fra le varie argomentazioni ricordiamo la teoria idealista conglomerata con l’apparenza e l’illusione del mondo e il fatto che dietro al piacere e al dolore operi una volontà incoercivile mossa da una condizione costante di pena e insoddisfazione, coincidente col dukkha buddista.
Schopenhauer, nella prefazione alla prima edizione del Mondo come volontà e rappresentazione, indica come chiavi di lettura del proprio pensiero non solo Platone e Kant, ma anche e soprattutto le Upanisad.
Sia la filosofia indiana dei Veda e delle Upanisad sia il Buddhismo rappresentarono sempre per Schopenhauer una prestigiosa conferma delle proprie affermazioni.
Secondo il filosofo si sarebbe trovato in perfetto accordo con la propria filosofia, culminante nella teoria del mondo come volontà, essenza di ogni cosa celata dalla rappresentazione. Termine che Schopenhauer equiparò a quello di māyā, nel pensiero indiano dell’illusione.
“Tradusse” all’orientale praticamente ogni concetto cardine del sistema, interpretando come paralleli ed equivalenti concetti come rappresentazione e māyā, stato di affermazione della volontà e samsara, negazione della volontà e nirvana.