L’evoluzione mondiale dagli anni Sessanta alla fine della guerra fredda

Per contestualizzare e comprendere alcuni caratteristici eventi delle seconda metà del secolo scorso, con particolare riguardo alla situazione italiana,  quali la contestazione giovanile del Sessantotto, l’avvento del Centrosinistra in Italia e le connesse trasformazioni del diritto e del costume, la diffusione del terrorismo di destra e di sinistra (negli anni Settanta, detti “anni di piombo”), fino alla crisi del sistema italiano dei partiti “costituzionali” nei primi anni Novanta, è utile indicare i principali fenomeni, eventi e processi che interessarono il pianeta dagli anni Sessanta alla fine della guerra fredda.

Gli anni Sessanta sono spesso considerati l’epoca d’ora della “distensione” tra U.S.A. e U.R.S.S., i cui protagonisti sarebbero stati rispettivamente J. F. Kennedy e N. Chruscev. Se guardiamo a fondo, tuttavia, dobbiamo registrare una continuità nel c.d. equilibrio del terrore, culminato nella crisi dei missili di Cuba del 1662 e sfociato nella famosa guerra del Vietnam (1962-75) che tanti effetti ebbe non tanto sul piano strettamente militare, quanto su quello politico e culturale, favorendo quel vasto movimento auto-critico dell’Occidente che sfociò nella contestazione giovanile del ’68. Parallelamente a Est si registrò, dopo gli eventi di Budapest del ’56, la repressione della “primavera di Praga” del 1968.

Cfr. cap. 18, § 1: John Kennedy; il mito della “nuova frontiera”; § 2 fino a Il dialogo con l’Est escluso.

Gli anni Settanta si aprirono, invece, con la crisi petrolifera del 1973 (strettamente collegata alla guerra arabo-israeliana dello Yom-Kippur dello stesso anno, dal momento che i Paesi dell’Opec, esportatori di petrolio, in gran parte arabi, utilizzarono l’aumento del prezzo del greggio come arma politica contro l’Occidente, accusato di sostenere Israele), la quale non fece che far precipitare una situazione economica mondiale già debole rispetto al decennio precedente. Anche in questo decennio la guerra fredda proseguì senza esclusione di colpi (bassi) come dimostrò il colpo di Stato del generale Pinochet in Cile, sostenuto dagli U.S.A., che intendevano impedire il rischio dell’instaurarsi, per via democratica, di un governo “di sinistra” in America latina (quello del presidente socialista Salvador Allende): ciò indusse p.e. il “nostro” Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, negli anni successivi,  a proporre un “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana per prevenire il rischio (in caso di vittoria delle sole sinistre) di un colpo di Stato militare anche in Italia.

Cfr. cap. 21, § 2L’egemonia statunitense in America latina: il caso cileno; Dittature militari e instabilità istituzionale in America latina.

Cfr. cap. 20, § 1 Un nuova crisi generale (fino a Salari e occupazione ecc. escluso)

N. B. La crisi economica mondiale fu favorita anche dal venir meno della convertibilità del dollaro con l’oro, fissata nel ’44 con gli accordi di Bretton Woods e abbandonata nel ’71 dal presidente americano Nixon (la Federal Reserve americana non era più in grado da tempo di garantire effettivamente questa convertibilità).

Gli anni Ottanta vedono un generale “riflusso” o “ritorno all’ordine”,  contraddistinto dalla diffusa applicazione di politiche neoliberistiche e dall’egemonia esercitata in Occidente dai modelli neoconservatori di Ronald Reagan (U.S.A.) e Margareth Thatcher (G.B.).

Cfr. cap. 21, § 1.