La filosofia nasce dalla meraviglia

Dopo esserci chiesti in che senso la filosofia sia necessaria e sia utile, domandiamoci in che senso essa, storicamente, sia sorta dalla meraviglia o, forse, perfino dall’angoscia (e possa, in ciascuno di noi, sempre di nuovo risorgere) e che rapporto essa abbia con il mito e la religione che la precedono (anche in ciascuno di noi), cfr.  il fondamentale testo del Teeteto di Platone (U1, cap. 1, t1, p. 22) e quello della Metafisica di Aristotele (U1, cap. 1, t2, p. 23) riportati nel manuale.

Circa la questione dell’emergere della filosofia dal mito a partire dalla meraviglia che, tipicamente, i Greci iniziarono a provare (intesa anche come sgomento, dubbio radicale, ansia di verità mai prima provata), possiamo riflettere sull’interpretazione che ne offre Emanuele Severino: la filosofia comincerebbe a ricercare la verità (la sophìa, intesa come il saphés, ciò che è in luce, trasparente, chiaro) allorché il mito non è più giudicato convincente, cioè, nelle parole di Severino, non costituisce più un “rimedio” adeguato all’angoscia che ci deriva dal dolore e dalla morte.

Altri si discostano da questa lettura esaminando con attenzione il contesto in cui Aristotele enuncia la celebre ipotesi secondo la quale la filosofia scaturirebbe dalla meraviglia.

N.B. Il fatto che la filosofia nasca della meraviglia potrebbe giustificare indirettamente il fatto che essa sia sorta in Grecia (terra di rapida evoluzione civile, attraversata da variegate influenze culturali e religiose, che, per così dire, passavano, incuriosivano, senza “fissarsi”). Ecco un quadro sintetico della storia della filosofia greca. Cfr. anche il manuale U1, cap. 1, §§ 1-3, pp. 9-12; §§ 5-8, pp. 16-19.