Il “parricidio” di Parmenide da parte di Platone

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2018-11-28 Tutto il giorno

In un brano del dialogo Sofista Platone commette il cosiddetto “parricidio” di Parmenide.

Dal momento che Parmenide, in quanto lontano “maestro” di Platone, poteva in un certo senso essere considerato un po’ come un “padre” per Platone, Platone, quando sente l’esigenza di “emanciparsi” da Parmenide, perché ha bisogno di considerare l’essere non uno, ma molteplice (frammentato nelle innumerevoli “idee”), deve commettere, metaforicamente, un “parricido” (uccisione del padre), nel senso che deve andare oltre e contro Parmenide (come quando si dice che un bravo allievo deve superare il suo maestro).

Leggi, dunque, il brano in questione e rispondi (nel box qui sotto) alle tre domande che lo corredano  e che per comodità riporto qui:

  • Perché, secondo Parmenide e lo Straniero di Elea, non è possibile parlare del non essere?
  • Quali le conseguenze aporetiche (cioè contraddittorie) del divieto di Parmenide di parlare del “non essere”?
  • Come è possibile, nella prospettiva platonica, esposta in questo dialogo, aggirare questo divieto?

Per aiutarti a rispondere e a contestualizzare il testo posso precisare quanto segue.

Il dialogo (che si svolge eccezionalmente tra uno Straniero di Elea, controfigura di Parmenide, e Teeteto, in assenza di Socrate) scaturisce dal problema del “falso”. Se, come dice Parmenide, posso pensare solo “ciò che è”, come faccio a pensare il falso, ad esempio che un cane “non è” una farfalla (o, il che è lo stesso, che è falso che un cane sia una farfalla)? Che significa che qualcosa “non è” un’altra cosa?

A questo fine gli interlocutori del dialogo esaminano le conseguenze del tentativo di pensare “ciò che non è”.

Sorprendentemente, il divieto di Parmenide di pensare ciò che non è (la seconda via del suo poema, che dovrebbe essere impercorribile) presenta qualche crepa, qualche contraddizione… che permetterà alla fine a Platone (attraverso il personaggio dello Straniero) di trovare un modo per intendere (pensare) il “non essere qualcosa”…

 

39 pensieri su “Il “parricidio” di Parmenide da parte di Platone

  1. Secondo Parmenide e lo Straniero di Elea non è possibile parlare del non essere perchè “non si può riferire a qualche cosa che sia compreso fra le cose che sono”, ossia, non potrebbe riferirsi a qualcosa di esistente.

    Ciò è contraddittorio perchè nella stessa frase sopraccitata il non essere è posto in relazione con “qualche cosa”, espressione solitamente usata per riferirsi alle cose che sono. Un’altra contraddizione emerge dalle espressioni “che non sono” e “che non è”: al non essere vengono infatti attribuite la molteplicità e l’unità, caratteristiche delle cose che sono e che pertanto, secondo Parmenide, non potrebbero essere adattate alle cose che non sono. Inoltre, dal momento che il non essere è falso, quindi impensabile e impronunciabile, non dovrebbe essere presente nel discorso in quanto inesistente. Lo straniero di Elea sta infatti attribuendo l’essere al non essere e ciò è aporetico.

    Lo straniero conclude quindi che il non essere non equivale necessariamente all’opposto dell’ essere, ma è qualcosa di diverso, aggirando così il divieto imposto da Parmenide.

  2. Parmenide e lo Straniero di Elea discutono sul “non essere” giungendo alla conclusione che non è possibile parlare del “non essere” perché parlando di questo si sottintende che è ciò che non è. Lo Straniero, per spiegare meglio questo concetto, fa l’esempio di una persona che viene interrogata su “ciò che non è” e che non può essere in grado di rispondere perché “ciò che non è” non si può riferire a qualche cosa che sia compreso fra le cose che sono.

    Le conseguenze contraddittorie del divieto di Parmenide di parlare del “non essere” sono che quando si parla di “non essere” non si parla di negazione dell’“essere” ma di un modo diverso di esprimere il concetto di “essere”.

    Possiamo dare due diverse definizioni alla parola “essere”: la prima è “esistere” e la seconda è “avere una determinata qualità”. Ad esempio possiamo dire “l’albero è”, attribuendogli un valore esistenziale, e “l’albero non è un fiore” oppure “l’albero non è rosso”, dando esistenza al fiore che “non è” un albero e non attribuendo allo stesso determinate qualità. Questo spiegherebbe l’esistenza del “non essere”.

    Per aggirare il divieto del parlare del “non essere” non bisogna intendere il “non essere” come “non esistere” ma come “non avere determinate qualità”. Pertanto si attribuiscono alle cose determinate qualità.

    1. La prima risposta è corretta, mentre, rispondendo alla seconda domanda, di fatto rispondi alla terza, ti sei accorta? L’ulteriore distinzione tra uso esistenziale e predicativo del verbo essere è molto interessante, ma non è esplicita nel testo letto (si può perfino discutere che possa essere attribuita ai Greci! essa è piuttosto una riflessione di origine medioevale…). Questo vale anche della risposta finale alla terza domanda, a cui di fatto hai già risposto con la tua seconda risposta.

  3. 1. Secondo Parmenide e lo straniero di Elea non si può parlare di non essere poiché questi ultimi dissero: ” Quando diciamo non essere, ciò che non è, è chiaro che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere, a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso”, con questa frase lo straniero di Elea, inconsciamente confuta la opinione in precedenza espressa da Parmenide, fulcro della conversazione, non solo capendola ma anche identificando il “genere del non essere”. Questa conclusione si può capire meglio con l’esempio degli insiemi dei numeri dove, se un numero non è naturale non è obbligatoriamente complesso.
    2. In collegamento con la domanda che segue e che viene prima le conseguenze sarebbero che non si riuscirebbe più a identificare la differenza fra l’unità e la molteplicità, quindi fra il numero e il suo insieme.
    3. “Ma noi affermiamo che se uno vuole parlare correttamente non deve definirlo, né come unità né come molteplicotà, e neppure indicarlo con il “lo”, assolutamente, infatti anche questa denominazione ad esso verrebbe data sulla base dell’unità.”, nella prospettiva platonica dunque non dobbiamo per esempio definire i numeri naturali con quel nome e non dovremmo neanche dare il nome al determinato numero, perché se noci riferiremmo sempre all’unità di essere, che noi integriamo nel discorso in maniera inconscia.

    1. Eviterei di distinguere tra “conscio” e “inconscio”. In sostanza con la prima risposta tu rispondi alla terza domanda, se ci rifletti… La seconda risposta potrebbe forse centrare un “corollario” della risposta che avresti dovuto dare. La contraddizione consiste semplicemente nel fatto che per vietare di parlare del non essere si finisce per parlarne. Ovviamente anche la terza risposta è poco “centrata” (di fatto quella corretta è la tua prima risposta).

  4. Secondo Parmenide e lo Straniero di Elea non è possibile parlare del non essere, perché altrimenti si formerebbe un “essere”. Ciò significa che per parlare di quello che non è bisogna prima pensare cosa è il non essere, con questo pensiero si andrà a creare un soggetto del non essere, che però è diventato essere.
    Le conseguenze contraddittorie del parlare del non essere sono che, non è possibile parlare di ciò che non è se non è; per parlare del non essere si pensa indirettamente all’essere, come ho spiegato prima, quindi non è possibile parlare del non essere se non si parla dell’ essere, ma non è neppure possibile parlare dell’essere senza pensare al non essere.
    Nella prospettiva Platonica è possibile aggirare il non essere perché: “Quando diciamo non essere, ciò che non è, è chiaro che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere, a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso.”. Quindi si va a parlare comunque del non essere e si va anche a creare un non essere, che diventa l’essere del non essere.

    1. Risposta corretta. Attenzione, tuttavia, all’esposizione. Evita espressioni come “si va a parlare” (meglio: “si parla”) o “si va a creare” (meglio: “si presuppone che esista” o simili).

  5. Secondo Parmenide e lo Straniero di Elea non è possibile parlare del non essere poiché “ciò che non è” non si può riferire a qualche cosa che sia compreso fra le cose che sono, infatti dire che babbo natale non esiste non è corretto poiché per affermare ciò devo pensare che esiste. Secondo Parmenide ci sono due vie: quella dell’essere e quella del non essere, ma quest’ultima non si può percorrere poiché ciò che non esiste è impensabile da esprimere. Le conseguenze aporetiche di questo divieto di Parmenide sono che quando diciamo non essere, ciò che non è, è certo che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere, a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso difatti il non essere è l’esatto contrario dell’essere ed è possibile solo in relazione all’essere. In questo caso Platone ha ragionato facendo diventare ciò che non è il suo opposto ovvero ciò che è, e viceversa. Tuttavia lo Straniero afferma che quando noi diciamo “che non sono” attribuiamo ad esse l’essere di essere numericamente più di una invece quando diciamo “che non è” gli attribuiamo l’unita ma questo appena detto va in contraddizione con la teoria iniziale ovvero che non è giusto adattare ciò che è a ciò che non è ma soprattutto ciò che non è non deve partecipare né dell’uno né dei molti. Secondo Platone per aggirare il divieto posto da Parmenide quando diciamo non essere, ciò che non è, è chiaro che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere, a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso, così non adattiamo ciò che è a ciò che non è.

    1. La seconda risposta che dai anticipa la terza. La contraddizione (conseguenza aporetica) del divieto di Parmenide è più semplice: anche solo per vietare di parlare del non essere Parmenide (o chi per lui) finisce per parlarne.

  6. Per Parmenide non si può parlare del non essere in quanto ciò che non è non si può riferire all’insieme delle cose che noi comprendiamo che sono.
    Una contraddizione la troviamo nell’espressione “qualche cosa” perchè noi con qualche cosa indichiamo ciò che è.
    Per aggirare il divieto posto da Parmenide Platone diche che solo nominando ciò che non è lo identifichiamo come qualcosa non opposto all’essere ma solo diverso.

    1. Non è molto chiara la seconda risposta. La contraddizione consiste nel fatto che se vieti di pensare al non essere, mentre lo fai ci devi pensare, dunque ti contraddici.

  7. Per Parmenide e lo Straniero di Elea non è possibile parlare del non essere dal momento che quest’ultimo non esiste e se non esiste non abbiamo nessun’dea su di esso e se non abbiamo nessuna idea su di esso non possiamo parlarne. Sempre per Parmenide ci sono due vie: quella dell’essere e quella del non essere, ma quest’ultima non si può percorrere poiché ciò che non esiste è impensabile da esprimere. Le conseguenze contradditorie di questo pensiero di Parmenide sono che quando diciamo non essere ciò che non è, è certo che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso difatti il non essere è l’esatto contrario dell’essere ed è possibile solo in relazione all’essere. Come possiamo notare Platone ha ragionato facendo diventare ciò che non è il suo opposto ovvero ciò che è, e così viceversa. Tuttavia lo Straniero afferma che quando noi diciamo che “non sono” attribuiamo ad esse l’essere numericamente più di una invece quando diciamo che “non è” gli attribuiamo l’unita ma questo appena detto va in contraddizione con la teoria iniziale ovvero che non è giusto adattare ciò che è a ciò che non è ma soprattutto ciò che non è non deve partecipare né dell’uno né dei molti. Secondo Platone per deviare il divieto che ci viene posto da Parmenide quando diciamo non essere ciò che non è, è chiaro che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere e a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso, così come non adattiamo ciò che è a ciò che non è.

    1. Ti sei un po’ “intorcolato” a metà, nella seconda risposta, ti sei accorto? Hai anticipato troppo presto il riferimento al non essere come “essere diverso”. Non c’è contraddizione nel pensarlo così, anzi questa, almeno secondo Platone, è proprio la vita d’uscita. Per il resto la tua analisi è sostanzialmente corretta.

  8. Parlare del non essere per Parmenide non é possibile poiché solo il fatto di parlare del non essere si ammette che il non essere non può esistere. Infatti nominando noi gli diamo esistenza e quindi il concetto del “non essere” non risulta molto chiaro.
    Discutendo noi del concetto di non essere solo nominandolo ci contrariamo perché gli abbiamo dato una sorta di definizione quindi abbiamo fatto esistere il ciò che non é ma se il ciò che non é non esiste come abbiamo fatto a nominarlo? Queste due idee vanno dunque in opposizione.
    L’ultima domanda non la ho capita molto bene ma ho tentato di rispondere comunque:
    Lo straniero e Teeteto aggirano questo problema in questo modo: dimostrano che ciò che non é in realtà é e evidenziano inoltre il genere del non essere, vanno quindi oltre analizzando il ciò che non é andando perciò ad aggirare il divieto.

    1. Hai colto abbastanza bene quello che ti serviva per rispondere ai primi due quesiti (anche se l’esposizione lascia un po’ a desiderare, p.e. non si dice “ci contrariamo”, ma “ci contraddiciamo”; “contrariato” è uno seccato per qualcosa, mentre “contraddetto” è uno a cui è dimostrato che quello che dice è falso).
      Circa il terzo hai decisamente mancato la risposta o, per lo meno, essa è molto parziale. Certo, si è mostrato che anche il non essere è (in questo senso si è aggirato il divieto), ma, soprattutto, è come “altro” o “diverso” (da ciò che è).

  9. Secondo Parmenide e lo straniero di Elea parlare di non essere significa parlare del nulla che equivale a non parlare.
    Quindi non si può chiamare una cosa con ciò che non è perchè questa cosa non potrebbe essere messa in relazione con ciò che non è perchè essa è qualcosa che è.
    La conseguenza del divieto di Parmenide è che quando si prova a confutare il suo discorso si è costretti a parlare di cose che sono relativamente opposte ad esso.
    Per aggirare il pensiero di Parmenide bisogna, come fatto dallo straniero di Elea, dimostrare che ciò che non è invece è e che il non essere non può venire indicato con unità o molteplicità.

    1. No, la conseguenza del divieto è che quando si prova a seguire, sostenere (non confutare!) il suo discorso si è costretti a parlare di che non sono (cioè di cui è vietato parlare). Perché? Perché anche solo per vietare di parlarne si finisce per parlarne. L’aggiramento, infine, consiste nel pensare il non essere come essere altro o diverso.

  10. Secondo Parmenide e lo straniero di Elea non è possibile parlare del non essere in quanto , non essendo, non si può paragonare a qualcosa di esistente e quindi non è possibile nominarlo. Inoltre , il non essere, non è definibile neppure numericamente, quindi non sarebbe possibile parlare di esso ne come unità, ne come molteplicità:perciò è definito innominabile.
    La conseguenza contradditoria principale ( della quale non sono sicura) di questo divieto è il fatto che per porlo ,è stato necessario , da Parmenide, nominare l’essere ,e quindi attribuirgli un’unità (della quale era stato detto essere non corretto) , per questo motivo la sua tesi cade in contraddizione.
    Questo problema” è stato risolto”, nel dialogo Sofista, con l’affermazione: “Quando diciamo non essere, ciò che non è , è chiaro che non parliamo di qualcosa di opposto all’essere, a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso” la quale , come si può facilmente notare, afferma che con l’espressione “non essere”alludiamo ad un concetto diverso dall’essere, non per forza al suo opposto.

    1. Hai colto perfettamente il punto (nelle due ultime risposte), nonostante i tuoi dubbi.
      Nella prima risposta scrivi che il non essere “non si può paragonare a qualcosa di esistente e quindi non è possibile nominarlo”, ma il punto è che, se provassimo a nominarlo, ne faremmo qualcosa di esistente, il che è contraddittorio, quindi non possiamo nominarlo. Bisogna anticipare “per assurdo” l’ipotesi che lo si possa nominare per poi concludere che non si può fare perché finiremmo per conferirgli l’essere (più che “paragonarlo” a qualcosa di esistente).

  11. Secondo Parmenide non possibile parlare del “non essere”, perché ciò che “non è” non è pensabile, in quanto, se proviamo a pensare a qualcosa che “non è”, necessariamente pensiamo ad un’altra cosa. Infatti, se immaginiamo un non quadrato, pensiamo a un’altra figura, per esempio un triangolo. Inoltre non possiamo neppure pensare al “non essere”, poiché il pensarlo o il parlarne automaticamente gli attribuirebbe determinatezza. Quindi, per Parmenide, si può parlare solo di ciò che “è” e in senso assoluto, senza fare differenze.
    La contraddizione (o aporia), nella quale incorre Parmenide, consiste nel fatto che vietare di parlare del “non essere” significa automaticamente parlarne.
    Nella prospettiva platonica, che viene espressa in numerosi dialoghi, Platone suggerisce che “non essere qualcosa” vada inteso nel senso di “essere altro o diverso” e quindi esclude il “non essere assoluto”, che non può essere concepito, mentre invece possiamo concepire tutti i contrari e le differenze dell’essere.

    1. La prima risposta è corretta e ricca di informazioni, ma manca un po’ di efficacia. Bastava aggiungere, qua e là, che il non essere finisce, se pensato, per essere. Ad es. “necessariamente pensiamo a un’altra cosa [che è]”, “gli attribuiremmo determinatezza [dunque non faremmo qualcosa che è]” ecc. (in parentesi quadre le aggiunte che avresti potuto fare per essere più efficace).
      Buone invece le ultime due risposte.

  12. Secondo Parmenide e lo Straniero di Elea non è possibile parlare del non essere poiché non si può pensare ad esso e nemmeno definirlo, questo divieto porta a delle contraddizioni che risaltano nel momento in cui si deve identificare il non essere, infatti per dimostrare la tesi bisogna definirlo come “ciò che non è” e si devono attribuirgli alcune caratteristiche che risaltino la sua differenza con l’essere, ma cercando di mettere in luce questa differenza si ottiene una relazione con il suo opposto, cosa non possibile. Tutto ciò porta alla affermazione di Platone secondo la quale il non essere non è l’opposto non identificabile dell’essere , ma è solamente qualcosa di diverso che può essere considerato come unico. Questo porta a una ripartizione dell’essere a favore della dottrina delle idee di Plaone .

    1. La risposta è sostanzialmente corretta, ma poco efficace comunicativamente. Il lettore non capisce bene perché non si possa pensare e definire il non essere, né perché per dimostrare la tesi “si ottiene una relazione con il suo opposto”… (di che cosa, quale?). Insomma, è un po’ “faticoso”… Non sarebbe stato più semplice dire: 1. non si può parlare del non essere perché, se ne parlo, lo faccio essere qualcosa (quello di cui parlo), 2. vietare di parlarne comporta la contraddizione che consiste nel fatto che, anche per vietare di parlarne, finisco col parlarne. La terza risposta è più chiara In che senso, però, affermi che il non essere può essere considerato “unico”? Anzi, si “frantuma” nelle molteplici idee, come suggerisci alla fine, o no?

  13. 1 Non è possibile parlare del non essere secondo Parmeniude e lo straniero di Elea perchè il non essere non può esistere poichè pensando a che cosa sia l’essere automaticamente ‘prendiamo atto’ che di che cosa sia il non essere.
    2 l’idea nel quale in non essere esiste ,e l’ idea nel quale tutto ciò che non è non esiste , vanno pertanto in contraddizione .
    3 dimostrano che tutto quello che non è , esiste ,
    Ho provatolo stesso a rispondere alle tre domande nonostante non abbia compreso fino in fondo il seguente testo.

    1. 1. No, non è questa la ragione. “Pensando a che cosa sia il non essere automaticamente lo faccio diventare qualcosa che è”, avresti dovuto scrivere.
      2. Non ci siamo. La contraddizione consiste nel vietare di pensare il non essere… finendo, così, per pensarlo!
      3. “Tutto quello che non è può essere pensato come altro o diverso da qualcosa che è”…sarebbe stata la risposta corretta…
      Hai fatto bene a provarci. E’ così che si fa! Bravo.

  14. 1)Preso dal testo: “ciò che non è non si può riferire a qualche cosa che sia compreso fra le cose che sono”
    2/3) Mi scusi prof ma per me il brano non è molto chiaro e di conseguenza non sono riuscito a capire minimamente il significato di questo, nonostante io lo abbia riletto più volte.

    1. D’accordo, ti credo. Ne riparleremo in aula. Anche la prima risposta non è del tutto esauriente. Enunci la tesi, ma la domanda era “Perché accade questo?”.

  15. -Secondo Parmenide e lo Straniero di Elea, non è possibile parlare del non essere perché il non essere corrisponde al nulla. Solo l’essere esiste e il non essere non è pensabile e quindi non è esprimibile a parole e dunque non esiste.
    -Le conseguenze contraddittorie del divieto di Parmenide di parlare del “non essere” sono date dal fatto se il non-essere significasse non esiste, allora non potrei dire che una cosa “esiste” e insieme “non esiste”.
    -E’ possibile aggirare questo divieto con Platone che modifica profondamente il concetto stesso di non essere, esso non è più il nulla, ma viene a costituirsi come il diverso, come un’altra modalità dell’essere. Se ad esempio una cosa esiste non è tutte le altre e pertanto ciò non implica una contraddizione tre essere e non essere.

    1. Le prime due risposte avrebbero potuto essere un po’ più chiare ed efficaci…

  16. Secondo parmenide non è possibile parlare del non essere perchè parlando di qualcosa che non è in realtà esiste e non può non esistere.
    Noi parliamo del non essere facendo intendere che sia qualcosa che esiste, perche parlandone ne diamo una spiegazione,secondo Parmenide questo non è possibile e sono due idee contraddittorie.
    Nella prospettiva platonica parlare del non essere è possibile, nel testo lo straniero e teeteto ci fanno caapire che ciò che non è in realtà è e quindi si riesce ad aggirare questo divieto.

    1. Non hai colto alcuni passaggi importanti.
      Intanto, per quanto riguarda la prima risposta, è vero che alla fine “parlando di qualcosa che non è, in realtà esiste e non può non esistere”, ma nel senso che il fatto stesso parlarne fa esistere questo qualcosa (andava precisato meglio). Ti è poi sfuggito, in sede di terza risposta, l’interpretazione platonica del non essere come essere diverso.

  17. a) Secondo Parmenide e lo Straniero non è possibile parlare del “non essere”, dato che quel discorso si basa sull’ipotesi che è ciò che non è. Infatti affermano che “ciò che non è” non può riferirsi a qualche cosa che sia compreso fra le cose che sono.
    b) Non ho capito bene il testo
    c) “Quando diciamo non essere, ciò che non è, è chiaro che non
    parliamo di qualcosa di opposto all’essere, a ciò che è, ma solo di qualcosa di diverso.” Con questa motivazione Platone aggira il divieto di Parmenide

    1. Hai colto abbastanza bene ciò che ti serviva per rispondere alla prima e alla terza domanda. Per quanto riguarda la seconda ci torneremo in aula. Molti di voi hanno fatto fatica a capire il cuore dell’argomentazione di Platone.

  18. Per il “sofista”, figura che si rivelerà sfuggente e che agli occhi di molti appare simile al “filosofo”, o addirittura al politico, lo Straniero di Elea si ritroverà a dover affrontare il tema del non essere e compiere un parricidio ai danni di Parmenide: il sofista, infatti, con i suoi discorsi falsi e ingannevoli, fa apparire come essente ciò che non è, contravvenendo in questo modo al monito di Parmenide: “Ciò che non è non devi forzare ad essere”. Vengono così affrontati i quesiti che erano rimasti irrisolti nel Teeteto e nel Parmenide, dialoghi aporetici a cui si fa esplicito riferimento in vari passaggi della discussione:dimostrando dialetticamente l’esistenza del non essere, Platone supera le aporie di questi due dialoghi, riguardanti l’essere e l’errore, definendo il non essere come modalità dell’essere, come diversità (“essere altro da”). Tutto ciò che è, che partecipa dell’essere, risulterà anche non essere – e così anche le idee saranno identiche a se stesse, ma diverse le une dalle altre, poiché l’una non sarà l’altra; la realtà trascendente pertanto si articolerà in una molteplicità di enti, dei quali l’uno non sarà l’altro. L’essere è dunque una molteplicità, mentre il non essere è infinito.

  19. L’essere è e non può non essere.
    Il non essere non è e non può essere.
    Il non essere non esiste perché secondo Parmenide è impensabile: pensare il non essere significa non pensare, esprimere il non essere vuol dire non parlare. Se non esiste il non essere esiste solamente l’essere. Se esiste solo l’essere e non esiste il non essere, allora l’essere è ingenerato, increato, eterno e imperituro, altrimenti prima non era, ma il non essere non è concepito quindi deve essere sempre esistito. L’essere non ha né inizio né fine. L’essere è unico e immobile perché se fosse concepibile il movimento vuol dire che l’essere non sarebbe più da qualche altra parte. L’essere non si trasforma perché altrimenti non sarebbe più quello che era prima. L’essere non è infinito, ma è finito, completo, non gli manca nulla.

  20. Secondo Parmenide, non è possibile parlare del non essere perché per farlo è necessario riferirsi a qualcosa che esiste, cosa che risulterebbe impossibile.

    -…STR.: Ma questo però è chiaro: che “ciò che non è” non si può riferire a qualche cosa che sia compreso fra le cose che sono…

    Vietando di parlare del non essere, si genererebbe un paradosso secondo cui chi presumerebbe di dire “non essere” non starebbe, in realtà dicendo nulla. Risulterebbe, inoltre che il non essere diventerebbe completamente inclassificabile, data la sua inadattabilità a venir legato a qualsiasi aspetto riguardante qualcosa che è, per esempio il numero. Facendo così si verrebbe a creare una situazione secondo cui qualcosa di impensabile, impronunciabile e inesprimibile, per essere negato, debba prima essere riconosciuto come unico, cosa impossibile.

    Il “parricidio” servirebbe ad evadere questo divieto, e Platone ci è riuscito arrivando alla conclusione che bisogna ammettere l’esistenza del non essere ideandolo come qualcosa di diverso dall’essere vero, ma non necessariamente il suo esatto opposto.

  21. 1Secondo Parmenide non è possibile parlare del non essere perchè non si può far essere ciò che non è, e quindi non si può parlare di una cosa che non esiste. Secondo lo straniero invece non è possibile parlare del non essere in quanto per farlo bisognerebbe attribuirgli un significato come se esistesse, ma affermiamo che se uno vuole parlare correttamente non deve definirlo, né come unità né come molteplicità.
    2Le conseguenza contraddittoria del divieto di Parmenide di parlare del “non essere” e che anche per solo negare l’esistenza del non essere bisogna definirlo come qualcosa che è.
    3Per aggirarlo bisognerebbe semplicemte non pensare e non parlare del non essere, ma ciò è impossibile perché se io mi impongo di non parlare e di non pensare una cosa è inevitabile che io ci pensi.(mi scusi ma non capisco in che senso “aggirare questo divieto” quindi probabilmente la mia risposta sarà sbagliata.)

  22. Secondo Parmenide e lo Straniero di Elea, non si può parlare del non essere perché per semplicemente parlare di qualcosa esso stesso deve essere, infatti non è possibile parlare di qualcosa che non esiste, non possiamo dargli ne denominazione ne pronunciarlo ne pensarlo.

    Le conseguenze contraddittorie del divieto di Parmenide di parlare del “non essere” sono che parlando di “ciò che non è” è come se non parlassimo e quindi si crea una contraddizione.

    Nella prospettiva platonica esposta in questo dialogo si può aggirare questo divieto non considerando “ciò che non è” come opposto all’essere ma come una cosa a se.