Riflettendo su quanto hai appreso dallo studio della Filosofia negli ultimi due anni, trovi ragionevole lo “strano” approccio di Hegel a “cose” come l’io o l’oggetto empirico (il “questo”)? Argomenta la tua risposta.
Riflettendo su quanto hai appreso dallo studio della Filosofia negli ultimi due anni, trovi ragionevole lo “strano” approccio di Hegel a “cose” come l’io o l’oggetto empirico (il “questo”)? Argomenta la tua risposta.
Io trovo ragionevole lo “strano” approccio di Hegel a “cose” come l’io o l’oggetto empirico (il “questo”) perché con il passare degli anni l’approccio ad essi è cambiato e, penso, che Hegel sia stato influenzato da ciò.
Non mi è chiaro il tuo pensiero. Di quali anni parli? Il passare di quali anni avrebbe accompagnato il cambiamento nell’approccio all’io e all’oggetto? Ti riferisci all’epoca di Hegel o alla nostra? E se anche l’approccio fosse cambiato, questo fatto che rapporto avrebbe con l’approccio dialettico di Hegel? Intendi suggerire che Hegel abbia voluto giustificare dialetticamente cambiamenti che si sono verificato storicamente? Questo potrebbe essere vero per il concetto di Stato (Hegel mostra l’insufficienza della concezione contrattualistica dello Stato quasi seguendo il filo dello sviluppo e della crisi degli ideali della rivoluzione francese), ma forse si applica meno al “questo”. Esso – questa l’argomentazione di Hegel – sembra individuale, invece è universale. Questo passaggio a quale “passaggio di anni” può essere associato? Forse al passaggio dalla nozione kantiana di “oggetto” come effetto della cosa in sé all’idea fichtiana che si tratti di un puro fenomeno? Ma in nessuno di questi passaggi si può riconoscere il dissolversi dell’apparentemente individuale nell’universale…
Io penso che il metodo di Hegel per arrivare a cose come “l’io” o il “questo” non sia affatto strano, poichè ci riesce in un modo originale e senza essere influenzato da filosofi passati.
Vale quanto ho scritto a Marco Fiorino
Secondo me il metodo di pensiero, se così si può definire, di Hegel non è strano ma bensì innovativo. Infatti, Hegel prende pochissimo spunto dai filosofi passati e questo lo porta a creare un metodo di concepire “l’io” o il “questo” tutto suo, in cui egli si rispecchia a pieno. Personalmente apprezzo questo metodo, anche se lo trovo di difficile comprensione
Non sempre l’originalità è segno di verità o di attendibilità. Essa potrebbe essere gratuita. In ogni caso il metodo di Hegel ricorda un po’ quello di Platone ed era stato accennato anche da Fichte e Schelling.
Io trovo curioso ed interessante lo”strano” approccio di Hegel a “cose” come l’io o l’oggetto empirico (il “questo”). In particolare mi trovo d’accordo con uno dei suoi pensieri il quale ci dimostra che pensando a fondo qualcosa, esso si rivelerà diverso da come appariva prima.
E perché sei d’accordo? Hai esperienza di questa “trasformazione”? Puoi fare qualche esempio?
L’approccio di Hegel è in certi sensi decisamente opposto ai filosofi passati come Aristotele : la logica aristotelica infatti si basa su il principio di non contraddizione e sull’utilizzo di sillogismi in cui il pensiero è diretto verso il risultato, la dialettica di Hegel invece si concentra sulle antinomie cioè sulle contraddizioni che sorgono nel processo logico.
Il processo deduttivo di Hegel può essere considerato, secondo il sottoscritto, come una simulazione di dialogo su una data materia in cui tutti gli interlocutori cercano contraddizioni nel pensiero d’altri e questo processo porta alla creazione di una teoria che, avendo preso spunto da opinioni e contraddizioni di tutti i partecipanti, può essere considerata generale.
Cogli aspetti fondamentali. Hegel, pur ammirando Aristotele (che riprende per quanto riguarda diversi “contenuti” del suo pensiero, come sottolinea spesso il manuale che avete in adozione), sotto il profilo del metodo si ispira a Socrate e Platone. Rimane il fatto che la sua resta, come opportunamente noti, una “simulazione” di dialogo (come erano anche i Dialoghi di Platone, che, tuttavia, invitava a praticare la filosofia oralmente nella sua scuola).
Personalmente non considererei “strano” ‘approccio di Hegel, piuttosto lo definirei innovativo e differente dai grandi filosofi del passato. Hegel approccia “cose” come l’io o l’oggetto empirico da un punto di vista diverso, andando a fondo a questioni che nel passato erano state prese come assolute e non dimostrabili (per esempio gli assiomi di cui ci si serviva per spiegare il funzionamento dell natura e le leggi matematiche), trovando in loro antinomie ed incongruenze.
L’approccio di Hegel a cose come ”l’io” e il ”questo” è decisamente originale, anche se nel modo di utilizzare l’arte della dialettica può ricordare filosofi come Platone ed i neoplatonici. Egli dimostra come, soffermandosi a fondo su concetti che generalmente vengono considerati assoluti ed universali, possiamo trovare in essi antinomie, incongruenze e paradossi, che inizialmente, considerando l’oggetto solo da un punto punto di vista ”superficiale”, non sarebbero mai stati colti.
Apprezzo questo suo modo di fare filosofia, mettendo in discussione tutto ed interrogandosi su questioni che ai nostri occhi potrebbero risultare ovvie e scontate.
Interessante la tua idea che la filosofia, nella versione (piuttosto forte e classica) di Hegel e Platone, porti a mettere in discussione l’ovvio. Per quel che può valere la mia testimonianza, si tratta di una delle ragioni che mi hanno indotto a scegliere di occuparmi di questa disciplina…
Non definirei “strano” l’approccio che Hegel tenne riguardo “l’io” e l’oggetto empirico, in quanto egli affermò le sue teorie confrontandosi con filosofi precedenti, accogliendone o no il pensiero. Con il suo idealismo Hegel mostra una certa diffidenza nelle filosofie passate, infatti si è rivelato ostile ad alcune osservazioni degli illuministi, di Kant, dei romantici ed inoltre di Fichte. Prendendo in considerazione Kant e la sua teoria del fenomeno/noumeno, Hegel, in una breve nota che cita “tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale” elimina tale distinzione, ponendoli come un’unica cosa. Personalmente non saprei dire quale affermazione sia sbagliata o meno, in quanto la filosofia è sempre stata materia di dispute e confronti… quindi nemmeno l ‘approccio che Hegel tenne a proposito dei temi trattati può venir considerato, a parer mio, “strano”.
Se ben intendo secondo te l’approccio di Hegel non è più strano di quello di molti altri filosofi che lo precedettero (molti dei quali egli criticò). Tuttavia, la domanda era più diretta: tu adotti o adotteresti un simile approccio? si, no, perché?
Personalmente, mi trovo in accordo con quanto espresso da Hegel in merito all’ “Io” e alle “cose”,
Più tempo si impiega pensando ad un “qualcosa”, più sfaccettature si cercano, più questo sembra diverso da com’era inizialmente. Novità emergono con il passare del tempo. Un po’ come il cubo di Rubik: più movimenti compio su di esso, più questo dimostra delle caratteristiche differenti da quelle che mostrava in precedenza.
Tale ragionamento può essere applicato, secondo me, anche alle persone, ai rapporti, oppure a noi stessi.
In aggiunta, per quanto riguarda l’ ”Io”, concordo in merito al fatto che una persona può essere associata alla sua storia e al suo passato, in quanto il passato di ognuno di noi ci abbia arricchito di particolari insegnamenti che, con il passare del tempo, abbiamo accumulato e reso nostri.
Concludendo, trovo ragionevole e per nessuna ragione “strano” l’approccio di Hegel a tali argomenti.
Mi sembra interessante il paragone col cubo di Rubik. Come vedremo o forse già sai o intuisci, Hegel “applica” lo “sguardo” dialettico effettivamente “alle persone, ai rapporti, oppure a noi stessi” nel quadro del suo “sistema” complessivo (che tratta sostanzialmente di ogni argomento di qualche rilevanza).
Io non trovo “strano” il metodo di Hegel di concepire “L’io” o il “questo”. Lo ritengo molto sensato e intelligente perché va oltre il semplice ragionamento, analizza ogni singola “cosa” fino in fondo; persino a renderla differente da come la intendevamo ad inizio del ragionamento.
Certamente, l’approccio è il classico approccio di critica formalizzato da Kant ma che in un qualche modo è sempre stato presente, anche l’argomento è un classico della filosofia affrontato sin dai tempi antichi da filosofi importanti, in quanto seguendo un processo per il quale per provare una cosa dobbiamo provare elementi contenuti nella prova stessa, retrocediamo fino ad incorrere necessariamente nelle questioni più basilari come l’oggetto e l’io.
Interessante il fatto che tu, a differenza di altri, accentui una certa continuità metodologica e anche dottrinale tra Hegel e i suoi precursori… Che cosa intendi esattamente con “processo per il quale per provare una cosa dobbiamo provare elementi contenuti nella prova stessa”? Infine, senz’altro l’io e l’oggetto sono questioni basilari in filosofia, specie moderna, tuttavia, in Hegel, almeno nel testo che vi ho offerto in lettura, non si tratta tanto di “fondamenti” di altri concetti, quanto di concetti immediatamente problematici, che sono, cioè, discussi per se stessi. E il modo in cui vengono discussi, per quanto forse meno originale (e “strano”) di quello che sembra, è senz’altro diverso da quello che avrebbero seguito altri filosofi, per esempio Aristotele o Cartesio (che sarebbero stati senz’altro più lineari, seguendo un approccio induttivo o deduttivo).
Lo trovo ragionevole, avendo Hegel rielaborato e sviluppato ulteriormente dei pensieri già noti (ad esempio quelli di Platone). Per di più questo suo atteggiamento lo porta a contestare punti di vista che si stavano instaurando al suo tempo, come ad esempio l’idealismo di Fichte.
Noto che avete ricevuto una formazione filosofica fondamentalmente “storicistica”, ossia siete stati educati a valutare i diversi “sistemi” o le diverse proposte filosofiche immergendole immaginariamente nel loro contesto storico-culturale. In questa prospettiva, certamente non appare strano, ma del tutto ragionevole, che un autore sviluppi quanto già implicito o accennato dagli autori precedenti (o, viceversa, sia intelligibile in contrapposizione rispetto ad essi). Tale lettura storicistica, tuttavia, non ci dice molto dell’intrinseca validità o invalidità delle singole proposte (per noi, oggi).
Secondo Hegel il nostro io, come l’io delle cose, è frutto di un percorso storico e di una riflessione critica su di esso, sarebbe dunque interessante, al fine di verificare questo metodo, studiare il percorso storico che l’ha generato.
La fenomenologia dello spirito presenta alcuni aspetti alquanto caratteristici, primo fra tutti l’idea della storia che compie dei “salti qualitativi”, una storia zibaldone di eventi ognuno legato a quello che lo precede, una storia newtoniana, dinamica, che si evolve fra azioni e reazioni.
Secondo argomento di questa analisi del metodo hegeliano è lo strumento che essa usa per evolversi: la dialettica.
L’analisi di quest’ultima forse meglio di qualsiasi altra cosa potrà avvalorare la tesi di Hegel: da Platone a Kant, sia come strumento ultimo della scienza che come mistificatore della conoscenza, la dialettica rimane intrinsecamente legata alla filosofia occidentale lungo tutto il suo corso storico.
Socrate, primo fra tutti, utilizzava l’arte della dialettica nella suo forma più giovane, la maieutica: egli usava il dialogo al fine di dimostrare il “sapere di non sapere”, come strumento per confutare tesi. Da questa base si sviluppa il pensiero platonico che però, come mostrerà Aristotele, partirà con la convinzione che l’uomo ha delle reminiscenze di ciò che è il sapere: delle basi sulle quali la ragione può costruire, attraverso le regole della dialettica, conoscenza e scienza, in tal modo dalla confutazione di una tesi Platone deduce la verità della tesi ad essa opposta.
Tralasciando l’irrisolvibile dibattito se, come diceva Protagora, “di tutte le cose è misura l’uomo” o, come sostenuto da Platone, “Dio è misura di tutte le cose”, troviamo la critica di Aristotele alla dottrina delle idee: la necessità di dare un oggetto alla scienza che è, tanto per Platone, quanto per Socrate e per Aristotele stesso, la ricerca dell’universale, non porta ad ammettere idee separate, ma solamente il carattere universale delle cose, che da Aristotele a Kant sarà riassunto nelle categorie.
Tesi a cui segue la critica dal carattere prettamente logico chiamata “argomento del terzo uomo”.
Se però viene meno l’idea di una conoscenza come innata nell’uomo, si pone il problema di come sia possibile conoscere, cadendo nell’aristotelico regresso all’infinito, poiché per dimostrare ogni nostro giudizio vanno poste premesse che necessitano a loro volta di essere dimostrate.
Per fuggire da questa “anarchia concettuale”, Aristotele afferma la capacità dell’intelletto di cogliere l’essenza delle cose, non distanziandosi quindi molto dalla distinzione ad opera di Platone fra la ragione (che usa premesse come principi) e l’intelletto che, sempre sulla base di ipotesi, usa queste stesse premesse solamente come scalini fino alla conoscenza di un principio anipotetico.
Ciò che quindi è fondamentale nella filosofia di Aristotele è, oltre alle regole della logica, il riaccordo fra lo studio dell’essenza delle cose e le cose stesse, con l’allontanamento dall’iperuranio platonico.
L’intelletto come base della conoscenza e le cose come oggetto di questa sono i due principi che, dal mondo ellenico, attraverseranno la storia influenzando diverse correnti di pensiero: da una parte con la facoltà intuitiva di Spinoza, capace, a differenza della capacità discorsiva della ragione, di cogliere il suo oggetto immediatamente e dall’altra con lo la rivoluzione scientifica e l’empirismo; fino ad una svolta di due filosofi: Hume e Kant.
Questi due pensatori, dalle riflessioni filosofiche quasi antitetiche, sono considerabili il Platone e l’Aristotele del settecento, oltreché i teorici della fenomenologia dello spirito.
Il primo, empirista inglese, rappresenta l’idea dell’uomo e delle cose in costante mutamento, e contiene nella sua filosofia il concetto della credenza, della conoscenza dell’essere per come ci appare. Kant, al modo di Aristotele, rifiuta la filosofia di Hume, in particolar modo rivalutando l’importanza delle categorie di causa e sostanza e distinguendo l’essere per ciò che è, il noumeno, e per ciò che viene percepito, per la sua forma sensibile, il fenomeno. Parallelamente ponendo un limite al sapere umano, fra ciò che è il conoscibile tramite le categorie e i sensi e ciò che supera la ragione, nel quale la logica cade nella dialettica, ove si presentano i paradossi e gli aristotelici regressi all’infinito.
Hegel, sulla base del pensiero idealista e delle fichtiane leggi dell’io, nega il noumeno e, sulla base della filosofia di Hume, crea una realtà che muta si costantemente, ma in base al nostro io.
Dunque, di fronte a questo millenario evolversi della filosofia, il passo avanti effettuato da Hegel consiste nell’utilizzare ciò che i filosofi prima di lui applicavano per trovare uno schema che servisse a descrivere le cose, il mutamento dialettico, per definire le cose stesse.
La filosofia è una scienza che si pone domande e riflette sul mondo e sull’essere umano.
E’ una forma di conoscenza che non si accontenta di valutare i soli fatti, ma vuole sapere anche le ragioni di questi, con l’individuazione delle cause e attraverso le spiegazioni del perché si sono sviluppati.
E’ stata definita come l’insieme dei principi, delle idee, delle convinzioni sui quali una persona o un gruppo di persone fondano la propria concezione della vita.
ad esempio Platone considerava la filosofia come una modalità per giudicare la polis, Aristotele invece la considerava come metodo per arrivare alla semplice e pura conoscenza.
Kant, con il suo idealismo trascendentale, pone dei limiti su osa l’uomo può o non può conoscere.
Quindi non mi stupisco delle considerazioni che Hegel fa sull’ “io” e su “il questo”.
Anche perché l’ “io” e “il questo” rappresentano per Hegel il metodo attraverso il quale arrivare alla conoscenza.
Hegel individua la dialettica quale metodo filosofico per eccellenza attraverso il quale ci si può interrogare su “il questo” e l’ “io”.
Mi piace che siate stati formati a intendere la filosofia come tu la intendi. Sotto questo profilo, certamente, anche se può apparire bizzarro ad alcuni, il pensiero di Hegel è certamente “classico”.
E “come la metti” col regresso all’infinito implicato in ogni tentativo di definizione (a cui tu stessa alludi) e l’esigenza di trovare (non si cerca qualcosa che si sa di non poter trovare) “una definizione universale”?