Sviluppo del movimento operaio dopo Marx

quarto statoLa crescente consapevolezza dei diversi interessi di classe, grazie alla diffusione del pensiero di Marx, fece sorgere a partire dagli anni ’60 dell’Ottocento, sul continente (in Gran Bretagna erano già sorte negli anni ’30), le prime organizzazioni sindacali (sempre meno legate ai singoli mestieri svolti dagli iscritti, e sempre più alla loro condizione di semplici salariati, dunque organizzate sempre più su base territoriale, come le italiane “camere del lavoro”), il cui obiettivo (anche attraverso il ricorso alla sciopero e alla lotta contro il “crumiraggio”) era quello di strappare sempre migliori condizioni contrattuali, mantenendo il massimo grado possibile di solidarietà, dunque di compattezza tra i lavoratori (pena, in caso di divisione, a causa dell’elevata offerta di lavoro, dovuta all’alta disoccupazione, la caduta verticale del costo del lavoro, dunque dei salari).

Poco dopo cominciarono a sorgere anche i primi partiti politici socialisti, socialdemocratici, operai (nel 1875 sorge il Partito Socialdemocratico Tedesco dalla fusione di due precedenti partiti di ispirazione sindacale l’uno e marxista l’altro, mentre in Italia occorre attendere il 1892 per vedere nascere il Partito Socialista Italiano, preceduto da altre formazioni di ispirazione anarchica e mazziniana), il cui obiettivo immediato era, anche attraverso l’ottenimento del suffragio universale, il varo di leggi di tutela dei lavoratori (giornata di otto ore, assicurazioni contro gli infortuni, per il caso di malattia, per la vecchiaia ecc.). Solo alcune componenti di tali partiti, di provata ortodossia marxista, avevano l’obiettivo “massimo” (da cui la denominazione di “massimalisti”) di servirsi del potere politico per espropriare coattivamente i mezzi di produzione così da redistribuirli ai lavoratori (cioè di collettivizzarli).

Curiosamente lo stesso Marx, nell’elaborare l’atto di indirizzo della prima Associazione Internazionale Socialista del 1864, distingue tra l’obiettivo finale (rivoluzionario) e gli obiettivi più limitati e immediati, volti a migliorare le condizioni dei lavoratori.

Qui si registra un paradosso. Nell’analisi di Marx il capitalismo era destinato a collassare perché il meccanismo economico che esso stesso aveva messo in moto avrebbe portato a una polarizzazione della società, destinata a dividersi tra una classe sempre più ristretta di capitalisti (alla fine di monopolisti, nella prospettiva ulteriore elaborata da Lenin) e una classe sempre più numerosa di proletari, sempre più sfruttati  e sempre meno capaci di acquistare i prodotti da loro stessi elaborati. La crisi del capitalismo, dovuta alla sovrapproduzione di merci che nessuno avrebbe più potuto comprare, avrebbe portato alla rivoluzione e all’espropriazione dei mezzi di produzione in mano ai capitalisti.

Paradossalmente, però, le stesse conquiste politiche e sindacali del movimento operaio, spesso guidato da esponenti marxisti, finirono per rendere meno drammatica la frattura tra classe operaia e classe borghese, conservando un certo poter d’acquisto ai salari degli operai e allontanando indefinitamente lo spettro della rivoluzione. Di tale situazione prese atto il “revisionista” Eduard Bernstein, quando(p.e. in I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia del 1899) proclamò decaduto l’obiettivo rivoluzionario che Marx aveva dato al movimento operaio e sostenne che si dovesse mirare soltanto a migliorare le condizioni di vita del proletariato attraverso riforme (e migliori contratti di lavoro) da realizzare  nel quadro dello Stato borghese.

Su tutta questa materia cfr. vol II, cap. 18, §§ 5-6. pp. 542-550.

Il manuale, in queste pagine, oltre a ricordare il ruolo nuovo assunto dai cattolici, soprattutto dopo l’enciclica Rerum novarum (cfr. p. 546) di Leone XIII (che pose la Chiesa a difesa dei diritti di operai e contadini, sia pure in un’ottica di collaborazione interclassista e, al fondo, conservando un approccio critico, di tipo tradizionalistico, nei confronti dei regimi liberali), segnala opportunamente come in questo periodo, anche grazie alla pressione dei gruppi socialisti riformisti, si assista a una estensione sempre maggiore del suffragio (dal quale, tuttavia, rimasero escluse le donne, nonostante le lotte femministe che iniziarono proprio in quest’epoca).

Altra questione solo accennata, ma rilevante, il sorgere di formazioni nazionaliste e reazionarie (come l’Action française di Charles Maurras) dalle quali emergeranno, nel Novecento, i grandi partiti reazionari di massa (cfr. pp. 546-47).