Che cos’è la filosofia?

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Per rispondere alla domanda “Che cos’è la filosofia?” la cosa migliore sembra quella di rivolgerci alla Storia per vedere che cosa si è inteso, nei secoli, con la parola “filosofia”, come la si è praticata e a quali risultati si è giunti.

Ci dedicheremo, dunque, allo studio del pensiero dei filosofi del passato. Ma proprio in tale operazione si annida un’insidia.

  • Quale?

L’illusione (diffusa nelle nostre Università e nelle nostre Scuole) che la filosofia coincida con lo studio del pensiero dei filosofi del passato.

  • Perché non potrebbe essere così?

Il filosofo è colui che fa filosofia, giusto?

  • Direi di sì

Allora, se la filosofia coincidesse con lo studio del pensiero dei filosofi, un filosofo, in quanto fa filosofia, sarebbe qualcuno che studia il pensiero di un altro filosofo, giusto?

  • Così risulterebbe…

Ma, a sua volta, l’altro filosofo, in quanto filosofo, sarebbe qualcuno che studia il pensiero di un altro filosofo ancora, no?

  • Temo di sapere dove vuole andare a parare…

myse-300x168Il filosofo sarebbe qualcuno che studia il pensiero di qualcuno che studia il pensiero di qualcuno che studia il pensiero di qualcuno che studia il pensiero di qualcuno che studia il pensiero di qualcuno che studia il pensiero di qualcuno che studia il pensiero di qualcuno e così via all’infinito.

  • Ma non ci sarebbe nessun pensiero da studiare!

Precisamente. Evidentemente lo studio del pensiero dei filosofi del passato è storia della filosofia. E la filosofia vera e propria, allora, in che cosa consisterà?

  • Appunto nel pensare, da parte di un filosofo, ed esprimere le sue opinioni…

Su che cosa?

  • Sulla sua vita?

Certamente sulla vita (del resto, anticamente “filosofare” non era solo un modo di pensare, ma anche un modo di vivere), ma anche, in generale, su tutto… Tuttavia, per filosofare basta pensare ed esprimere opinioni su qualcosa?

  • Forse bisogna esercitare un pensiero critico.

E che cosa significa “critica”?

  • Criticare quello che pensano gli altri, contrapponendo loro le proprie opinioni!

Ma così si va al “muro contro muro” e non si riuscirà certamente a persuadere il nostro interlocutore di turno. Se, ad esempio, a una persona di sinistra dici: “Non sono d’accordo con te, io sono di destra” o a un credente in Dio dici: “Non sono d’accordo con te, io sono ateo”, l’altra persona cambierà idea? Difficile immaginarlo. Che dovresti fare per persuaderla?

  • Forse mostrare che le sue opinioni non “stanno in piedi”, non reggono…

Precisamente, “smontare” le sue “ipotesi” sul mondo, argomentando. Bisogna, insomma, partire dal suo punto di vista, non dal nostro. Vedremo meglio come questo sia possibile…

  • Ma non dovevamo limitarci, a scuola, a fare storia della filosofia?

Ed è proprio quello che faremo. Ma osserviamo il curioso paradosso in cui ci troviamo.

  • Quale?

Proprio per fare storia della filosofia dobbiamo fare filosofia!

  • E perché per fare storia della filosofia dovremmo fare filosofia?

Pensaci bene. È davvero possibile fare storia della filosofia?

  • Perché non dovrebbe esserlo?

Se la filosofia, almeno in uno dei significati della parola, è dialogo, allora essa è orale, è ora, è evento, non lascia tracce, certe, di sé. Anche se la filosofia, come oggi per lo più si ritiene, è pensiero, l’esercizio che consiste, da parte del filosofo, nel riflettere criticamente sulla propria vita, essa è ancora una volta dialogo, un “dialogo dell’anima con se stessa”, come Platone definisce, appunto, il pensiero. E ci imbattiamo nello stesso problema, anzi in un problema ancora più grave: se per ricostruire ciò che un filosofo del passato ha veramente detto possiamo basarci su eventuali testimonianze, come sapere che cosa egli abbia veramente pensato?

  • Che può fare allora lo storico della filosofia?

Può tentare di ricostruire un’immaginaria e variegata “filosofia” compatibile con un insieme non ben definito di scritti.

  • Perché parli di un “insieme non ben definito di scritti”?

Che, ad esempio, le sentenze oscure di Eraclito di Efeso siano “filosofiche”, non “gnomiche” od “oracolari”, è pura ipotesi che deriva da Platone.

  • Perché parli di “ricostruire un’immaginaria filosofia”?

Perché lo storico può solo, per così dire,  “soffiare” nelle parole morte che legge l “alito di vita” del proprio “spirito”.

  • Che cosa intendi dire?

Prendi gli stessi Dialoghi di Platone, i primi scritti a venire universalmente riconosciuti e a presentare se stessi come filosofici. Essi possono significare cose diverse agli occhi di lettori diversi.

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Come direbbe Platone (nel dialogo Fedro, cfr. 1A, U3, T3, pp. 250-253): questi scritti non possono difendersi dalle nostre interpretazioni, né il loro padre può più venire loro in aiuto.

  • Ma accrescendo la propria cultura filosofica non si può essere più certi di avere inteso quello che Platone o altri veramente intese quando scrisse?

No. Non potendo più interrogarlo, dobbiamo rassegnarci a interpretarlo nel solo modo possibile.

  • Quale?

“Alitando su di loro il nostro spirito” ovvero: filosofando a nostra volta. Ecco perché, se fare storia della filosofia non è ancora fare filosofia, paradossalmente: per fare questa storia sembra necessario fare proprio filosofia!

  • Ma com’è possibile? Mi sembra una contraddizione bella e buona. Se per fare storia della filosofia devo fare filosofia, allora posso ben dire che, facendo storia della filosofia, faccio, appunto, filosofia!

La contraddizione è solo apparente. Altro è dire che “fare storia della filosofia” coincide col “fare filosofia”, altro è dire che “fare storia della filosofia” presuppone che si “faccia filosofia” (mentre se ne fa la storia, per intendere quello di cui si fa storia). Fare storia della filosofia rimane cosa diversa dal fare filosofia.

  • Spiegati meglio

Domandiamoci. Di che cosa intende tessere la storia lo storico della filosofia? Della filosofia o di altro?

  • Della filosofia

Ma se la filosofia è fondamentalmente “pensiero”, come si può tracciarne la storia senza intendere ciò che altri hanno pensato?

  • Sarebbe impossibile, certo.

Già,  ma come intendere ciò che altri hanno pensato se non pensando a propria volta alle stesse cose?

  • In nessun altro modo.

Ma come essere certi che quando pensiamo alle stesse cose, magari valendoci delle stesse parole che altri impiegarono, intendiamo davvero lo stesse cose?

  • In nessun modo, temo.

Infatti. D’altra parte “storia” significa “ricerca”, “ispezione”. Ispezionando le parole altrui, ricerchiamo quello che esse possono significare, ma non possiamo esimerci da farlo formulando ipotesi che derivano dal modo in cui noi stessi pensiamo.

  • Direi che sarebbe impossibile agire diversamente.

Pertanto a scuola ci occupiamo bensì di storia della filosofia, ossia di studiare il pensiero dei filosofi del passato, ma solo per farne modelli o esempi per imparare a fare filosofia nel presente, che è il nostro fondamentale obiettivo. Non importa, cioè, che cosa Platone o Kant abbiano veramente detto o pensato (impossibile da accertare), ma che cosa, attraverso le loro parole scritte, fatte reagire con la nostra esperienza di vita, possiamo imparare.

scacchi_mortePossiamo ricorrere alla metafora del gioco. Chi impara a giocare a scacchi, dopo avere studiato come si muovono i pezzi e le principali aperture, inizia ad applicare queste istruzioni giocando. Ma le sue prestazioni saranno ancora scadenti, almeno finché non comincerà a studiare strategia. Ora, il modo migliore di imparare le strategie è studiare celebri partite del passato, giocate dai più celebri scacchisti. Analogamente i filosofi del passato ci aiutano, col loro esempio, non a pensare (perché lo facciamo tutti) e neppure a filosofare (perché sappiamo fare anche questo, fin da bambini, quando ci chiedevamo il “perché” delle cose, anche se poi la scuola potrebbe avere mortificato questa innata curiosità), ma a migliorare le nostre prestazioni filosofiche.

Non bisogna, tuttavia, neppure illudersi. Studiare i modelli rappresentati dai filosofi del passato aiuta a diventare (più) filosofi, ma fino a un certo punto. Qui possiamo solo leggere “il libretto di istruzioni” piuttosto che giocare (per giocare c’è tempo tutta la vita). Quello che non possiamo fare a scuola, nella quale si devono perseguire precisi obiettivi didattici (come costruire nuove “competenze” logiche, critiche, linguistiche ecc.) e non strettamente filosofici, è vivere secondo quello che pensiamo (e venire anche giudicati/valutati per la coerenza o l’incoerenza tra quello che pensiamo e quello che viviamo), come avveniva nelle antiche scuole filosofiche (paragonabili agli odierni monasteri). A scuola la valutazione non può toccare la vita degli studenti, ma solo le loro prestazioni in qualche modo “misurabili” e circoscritte.