Filosofia indiana?

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2018-11-21 Tutto il giorno

Dopo aver letto questi testi del filosofo indiano Shankara rispondi (in un unico breve testo) ai due seguenti quesiti:

  • A quale religione e scuola di filosofia potresti ascrivere questo autore (sulla base della scheda che abbiamo seguito in aula)?
  • A quale prospettiva filosofica occidentale può essere avvicinato?

15 pensieri su “Filosofia indiana?

  1. Buonasera,
    non sono sicura che la mia risposta sia corretta..
    ma ad ogni modo, secondo me, la religione indiana a cui potrei ascrivere il filosofo indiano Shankara è l’induismo filosofico, articolato in dàrśana, come per esempio il Vedanta (monismo assoluto), punto di vista per cui ciascuno di noi è il Brahman e può solo riconoscerlo. Il testo parla proprio di questo Brahman, dicendo all’inizio che può avere due forme distinte: una determinata per le limitazioni mentre l’altra si presenta del tutto priva di quest’ultime. Emerge quindi che il Brahaman, per la filosofia indù non è altro che il Sè. La conoscenza e l’ignoranza vanno poste a livello di nome e forma , ma esse non sono attributi del Sé, ma sono immaginati in quest’ultimo.

    1. E a quali filosofie greche potresti associare questo estratto?
      Un consiglio: non dichiarare mai la tua mancanza di sicurezza al tuo “esaminatore” (anche se per ora sono solo un allenatore). Scrivi (o dì) quello che ritieni meglio e basta. Sarà semmai l’altro a valutare come non corretta (o parzialmente corretta) la tua risposta.

  2. Secondo me il testo letto nell’estratto che ci ha fornito può essere catalogato come appartenente alla filosofia orientale dell’ induismo, poiché è presente e centrale la figura del Brahman Atman. La filosofia induista riteneva che dietro un velo “primario” che ricopriva le cose si celasse la verità, che poteva essere raffigurata da un Dio impersonale o personale, e fondava le proprie basi sui libri sacri del Veda. Si articola inoltre lungo sei punti di vista chiamati darsana. Per certe considerazioni emerse, il pensiero presentato da Shankara può anche essere avvicinato alla filosofia occidentale del neoplatonismo con Plotino: infatti nel brano emerge che la conoscenza del Brahman può avvenire improvvisamente e senza alcuna mediazione, poiché ciascuno di noi è il Brahman, come per Plotino l’uno. Si può notare anche una certa appartenenza al dualismo cartesiano, quando nel testo si dice che bisogna eliminare le qualità grossolane per conoscere il vero Brahman.

  3. Secondo me, il filosofo indiano Shankara può essere associato all’induismo filosofico; in particolar modo, al punto di vista Vedanta dove ciascuno di noi è il Brahman e può solo riconoscerlo, improvvisamente, senza mediazione alcuna. Lo avvicinerei, per quanto riguarda le filosofie occidentali, al neoplatonismo.

  4. Premettendo il fatto che non sono riuscita a comprendere il senso totale del testo, intuisco il fatto che il filosofo indiano Shankara appartiene alla scuola di filosofia dell’induismo. Egli infatti parla del Brahman, vera verità dietro l’apparenza dei fenomeni. Significativo nel testo è il punto in cui spiega che “l’unico veramente reale è diversificato dall’illusione: analogamente la luna, che è unica, sembra multipla a colui il cui organo della vista è difettoso, la corda appare come un serpente”.
    Dal testo poi risulta come il filosofo creda come ciascuno di noi sia il Brahman (“il saggio fruisce, in quanto Brahman, di tutto ciò che vuole simultaneamente in un unico istante”). Si parla dunque di monimo che riconduce alla filosofia occidentale del neoplatonismo.
    Non ho compreso però tutta la parte del testo che riguarda l’ignoranza e la parte finale.

    1. Ottima analisi. Non serve comprendere interamente un testo (neanche a me è chiarissima la parte sull’ignoranza, sulla quale ho solo alcune ipotesi di lettura). La consegna richiedeva solo alcuni compiti, che hai pienamente soddisfatto.

  5. questo filosofo indiano potrebbe essere ricondotto al neoplatonismo e quindi a
    Plotino
    può essere avvicinato all’induismo poichè, come leggiamo nel terzo paragrafo <>, l’induismo filosofico crede che dietro l’apparenza dei fenomeni si celi la vera realtà, ebbe inoltre una profonda influenza nello sviluppo dell’induismo attraverso la sua teologia non dualistica.

    1. Hai colto nel segno. L’allusione alla teologia non dualistica di Shankara, tuttavia, suggerisce che non ti sia basata soltanto sull’analisi del testo, come richiedeva la consegna.

  6. E’ un filosofo induista come si può dedurre dal fatto che citi più volte la divinità impersonale Braham che esiste al di fuori dell’apparenza del mondo. E’ simile per molti aspetti a filosofi occidentali. Per esempio Platone credeva che tutto il momdo fosse pura illusione e che la verità, l’assoluto si celasse nel mondo delle idee, o come gli idealisti i quali affermano che tutto ciò che esiste è prodotto dalla nostra mente e quindi si avvicina molto al concetto di un Braham da noi pensato/concepito che è nient’altro che il sè, il tutto.

    1. Ottima analisi e ottimi accostamenti. Effettivamente certe forme di idealismo, come quello di Schelling, possono ricordare la prospettiva monistica del Vedanta.

  7. Il filosofo Shankara mi sembra profondamente influenzato dalla religione induista soprattutto per la dottrina del Vedanta, fondata anch’essa sugli antichi Veda, secondo la quale dietro l’apparenza dei fenomeni si cela la vera realtà.
    Può essere avvicinato probabilmente alle filosofia occidentale di Platone e dei suoi seguaci (Plotino per esempio) dove per esse la realtà visibile non era reale ma frutto di un’illusione o di una manipolazione del vero (fatta dal Demiurgo)

  8. 1)I testi in esame si possono ricondurre, a mio parere, all’Induismo, ed in particolare alla scuola di filosofia del Vedanta.
    Questo perché i testi parlano del Sè come il tutto, e l’autore afferma di essere il Sè e che questo Sè sia poi riconoscibile negli altri. Oltretutto questo Sè sarebbe la verità, mentre il mondo che ci circonda e le percezioni/sensazioni che ne derivano sono solo illusioni. Si potrebbe comunque ricondurre questi scritti alla dottrina del Mimamsa, molto simile al Vedanta, se non fosse che nei testi si parla di “calma serena, che sorge dal corpo, una volta raggiunta la luminosità suprema”, lasciando intendere che non vi è bisogno di nessun rituale o percorso da compiere per raggiungere l’illuminazione, ma che essa scaturisce autonomamente ed in maniera imprevedibile. Quest’illuminazione inoltre non può verificarsi grazie all’intelletto, che altro non è che un’immaginazione all’interno del Brahman proprio come lo è un albero o l’universo.
    2)A partire dall’analisi svolta nel punto 1 si può rispondere anche alla seconda domanda: questi testi si potrebbero ricollegare al Neoplatonismo, per questa visione del tutto che è in ognuno di noi e in ogni cosa, o per meglio dire ogni cosa è il tutto, solo che ci siamo dimenticati di esserlo e viviamo in un mondo che è solo illusione.

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