Come abbiamo visto, nella prospettiva di Socrate/Platone e, fondamentalmente, dell’intera filosofia classica, la saggezza, intesa come sapere intorno al bene (ossia, molto concretamente, il fatto di sapere, di volta in volta, in ogni occasione, che cosa sia meglio fare), riveste la più grande importanza.
Dopo aver riletto il segmento di dialogo tra Socrate e Alcibiade, in cui, nell’Alcibiade minore, Socrate argomenta tale dottrina, discutila (cioè esprimi il tuo parere argomentato al riguardo), ricorrendo, se credi, anche ad esempi (a favore o contro) tratti dalla tua esperienza o dalla cronaca dei nostri giorni.
Nel dialogo tra Socrate e Alcibiade, riportato da Platone, è attribuita al primo la frase: “(…) il possesso delle scienze, quando non le accompagni la scienza del bene, poche volte è utile, anzi il più delle volte danneggia(…)”. Mi trova pienamente d’accordo, perché ritengo sia necessario saper fare buon uso delle nozioni che si apprendono ogni giorno durante il corso della propria vita. In altre parole, per esempio, un poliziotto o un agente dei servizi segreti sa precisamente come utilizzare una pistola o una mitragliatrice, ma deve essere in grado di valutare quando è opportuno utilizzarla (per rallentare o fermare un criminale, ecc.) e, viceversa, quando è meglio evitare per qualunque motivo che la situazione, in quel preciso istante, presenta (ad esempio, non cominciando a sparare ripetutamente se si trova in mezzo a una folla di persone innocenti).
Se, invece, s’impara qualcosa, ma non vi si accompagna la scienza del bene, si rischia di utilizzare quella conoscenza per fini negativi, recando danno agli altri e/o a se stessi.
Ottimo esempio. Tra l’altro l’esempio suggerisce molto bene che la “saggezza” è legata a quello che i Greci chiamavano “kairòs”, che si può tradurre con “occasione”, “opportunità”, “circostanza”. E’ difficile essere saggi perché, a quanto pare (soprattutto Aristotele rifletté sul punto), non basta a questo fine sapere “in teoria” che cosa bisognerebbe fare nelle diverse circostanze (a questo fine è sufficiente seguire “meccanicamente” le regole che si è giudicato fin dall’inizio buone, p.e. i 10 comandamenti ecc.), ma decidere, di volta in volta, in situazioni-limite nelle quali spesso si registrano conflitti tra doveri o principi (p.e. “non uccidere” talora può entrare in conflitto con “proteggi i tuoi cari” ecc.).
Secondo me la sapienza è qualcosa che hanno tutti e che poche persone riescono ad usare correttamente. Socrate nel dialogo ci fa capire che diverse volte è meglio essere ignoranti, mentre all’inizio Alcibiade voleva sapere ogni cosa.
Io penso che entrambe le opinioni siano giuste,ovvero , sapere molte volte è importante per arricchirci e farci conoscere tutto ciò che può far male o metterci in pericolo ma troppa sapienza può portare ad un comportamento scorretto, di finta superiorità e arroganza.
Mentre di solito le persone più ignoranti sono anche quelle più umili perchè riescono ad apprezzare a fondo tutto ciò che hanno.
Come altri, tendi a mescolare due diversi concetti: il sapere e la sapienza (cioè la scienza del bene). La tesi di Socrate è che non sempre il sapere è buono, se non si accompagna alla sapienza. Come può la sapienza portare a un comportamento scorretto? Se lo facesse, non sarebbe sapienza, nel senso di scienza del bene (chi la seguisse, non potrebbe agire male). Viceversa senz’altro sapere molte cose (senza la sapienza) ci arricchisce, ma, per restare nella metafora, chi è ricco può spendere molto male i suoi soldi, ad esempio in vizi che lo uccidono o in strumenti che danneggiano altri.
Secondo Socrate a volte è meglio essere ignoranti non perché si apprezzino di più le cose che si hanno, ma per evitare di usare male le proprie conoscenze.
Leggendo il brano proposto ho capito che spesso noi pensiamo di fare la cosa giusta anche se può non essere la stessa cosa per un’altra persona. Secondo me il sapere è sia una cosa negativa, sia una cosa positiva: ciò dipende dal punto di vista di ognuno di noi e dall’uso che viene fatto del sapere.
Ultimamente è molto diffusa l’idea che essere vegano/vegetariano migliora le condizioni di salute; quest’idea può essere giusta oppure sbagliata secondo il punto di vista di ognuno di noi. Quest’idea è anche dettata dal fatto che alcune persone pensano che uccidere gli animali sia sbagliato e che le proteine necessarie le troviamo in alcuni alimenti di origine vegetale, ma possiamo confutare questa tesi dicendo che l’uno è un’animale carnivoro che si è sempre nutrito con gli animali per soddisfare la fame. Probabilmente il giusto equilibrio è allevare gli animali mantenendoli in buone condizioni e non ostacolare il loro normale ciclo di vita tenendoli negli allevamenti intensivi.
Ritengo che un esempio di uso negativo del sapere è utilizzarlo per creare armi belliche. Oggi la Corea del Nord sta applicando le conoscenze di alcuni studiosi per costruire i razzi, come era già accaduto nella seconda guerra mondiale. Noi abbiamo potuto studiare le conseguenze di tale uso del sapere e possiamo dire che è negativo.
Al contrario, per sostenere la mia tesi, posso citare alcuni usi positivi del sapere partendo dai piccoli gesti quotidiani, come l’aiutare un compagno in difficolta`, arrivando a parlare dei medici che utilizzano il proprio sapere per guarire i pazienti. In questi casi il sapere diventa anche una forma di altruismo.
Per concludere posso affermare che il sapere può essere considerato “un’arma a doppio taglio”, infatti l’uomo non è in grado di capire da solo quando è bene utilizzarlo e quando è meglio essere ignoranti.
Nella tua risposta, anche negli esempi che fai, mescoli due diversi piani.
Il primo piano è quello esplicitamente presente nel brano dell’Alcibiade minore che abbiamo letto. Il sapere da solo (p.e. saper costruire ordigni bellici) può avere un uso negativo (cioè può essere usato a fin di male, evidentemente da chi non è saggio, non ha la scienza del bene). Il medico che guarisce usa il suo sapere a fin di bene, perché non solo sa guarire, ma anche vuole farlo, cioè sa che è bene farlo e lo fa.
Tuttavia, tu inserisci una seconda questione e, dunque, un secondo piano di discussione. E’ come se ti domandassi: “Ma come si fa a sapere se quello che per me è bene sia tale anche per l’altro?”. Ad esempio, i dirigenti della Corea del Nord non solo sanno fabbricare pericolosi razzi, ma pensano anche (cioè credono di sapere) che sia bene farlo.
Dici che noi ormai “sappiamo” che costruire questi razzi è sbagliato, ma che in altri casi è difficile sapere che cosa sia bene.
Questo è un problema che non tocca, però, il “teorema” di base, cioè che non basta sapere le cose, ma bisogna anche saperle usare (sapere quando è bene usarle).
Semplicemente, tu fai notare che questo “sapere intorno al bene” è difficile, forse impossibile da determinare “univocamente” (cioè nello stesso modo per tutti).
Ci dovremo interrogare a lungo sul problema se il bene sia relativo (dipende dal punto di vista di ciascuno) o assoluto (uguale per tutti).
Ti faccio, comunque, notare che la tesi di Socrate non è: “non basta avere conoscenze, ma occorre anche pensare o credere di usarle bene”. La tesi è: “non basta avere conoscenze, ma occorre anche sapere di usarle bene”. La parola “sapere” implica che quello che si sa sia vero assolutamente (altrimenti si userebbe il verbo “credere” o “pensare”).
Quindi si potrebbe concludere: Socrate ha senz’altro ragione di affermare che non basta avere conoscere, ma bisognerebbe sapere come usarle bene. Il problema è che questa “scienza del bene”, senz’altro fondamentale per evitare di commettere errori, potrebbe non essere raggiungibile da nessuno, se è vero che siamo condannati a vivere di semplici “opinioni” o “credenze” intorno al bene.
Io penso che l’ignoranza sia un male per l’essere umano.
L’ignoranza infatti , è l’arte del non conoscere , di non capire mai cosa ci sia dentro le cose e i fatti .
Ad esempio se l’essere umano non sfornasse figli a volontà , non saremmo il doppio di quello che dovremmo essere , non ci sarebbe la Fame , non ci sarebbe pertanto lo sfruttamento , e non ci sarebbe la disoccupazione .
Premesso che dubito che lo sfruttamento e la disoccupazione siano legati al fatto che “l’essere umano sforna figli a volontà” (cosa, peraltro, che non vale più per i Paesi occidentali, dove anzi si registra un preoccupante calo delle nascite), se fosse vero, ciò dipenderebbe da una mancanza di saggezza, non ti sembra?, non da ignoranza. Infatti, nel tuo esempio, gli uomini “sanno” fare figli, ma non sanno che ciò (se tu hai ragione) non è bene. Ciò che manca loro è la scienza del bene, non il sapere in generale. Dunque il problema non è l’ignoranza, ma l’ignoranza del bene. Anzi, se gli uomini fossero così ignoranti da non sapere come si fanno i figli (se credessero, ad esempio, che i figli nascessero sotto i cavoli o portati dalla cicogna), il problema che tu sollevi si risolverebbe da solo…
A mio parere la sapienza conta fino ad un certo punto e dipende molto dalle circostanze in cui ci si trova. Ad esempio, penso che nell’ambito scolastico la sapienza conti molto a differenza, facendo un altro esempio, all’ambito famigliare dove penso ci siano verità che sarebbe meglio non sapere.
Potresti spiegarti meglio? Ammesso che nell’ambito famigliare “ci siano verità che sarebbe meglio non sapere”, chi sa questo ed evita di cercare di sapere queste verità non è forse saggio? Ma, se è così, allora la “sapienza” vale anche in ambito famigliare, non ti pare? Vale sempre.
Secondo me, essere saggi è una buona dote che nella gran parte delle situazioni che siamo dovuti ad affrontare, ci dice cosa è meglio fare. Alle volte però essere ignoranti riguardo ad un argomento può favorire la risoluzione di un problema. In generale la saggezza è molto utile perchè un uomo saggio può anche scegliere di essere ignorante per il risolvimento di una situazione altrimenti problematica. La saggezza quindi aiuta in ogni caso un uomo.
Contrapponi l’essere saggi all’essere ignoranti (“a volte però ecc.”). Ma nel testo di Platone la contrapposizione è tra chi ha e chi non ha la saggezza (o scienza del bene). Chi non è saggio può NON essere ignorante, ma avere tante conoscenze, che, tuttavia, sono inutili o nocive.
Come può l’ignoranza favorire la soluzione di un problema? In che senso? Puoi fare un esempio? E come si fa a “scegliere” di essere ignorante? In che senso? Intendi riferirti, ad esempio, al consumo di stupefacenti? Non voler sapere che cosa si prova, dunque evitare di sperimentarli, potrebbe essere davvero saggio. Ma ciò presuppone che si sia consapevoli dei propri limiti e delle proprie fragilità, questione che esula dalla questione proposta da Socrate. Nella prospettiva di Socrate non si tratta di evitare di conoscere le cose, ma di cercare sempre di accompagnare le conoscenze con la scienza del bene.
Socrate durante la amichevole discussione avuta con Alcibiade minore cerca, con tono garbato, quasi in modo ironico ponendosi insieme all’ opinione di Alcibiade, di confutarla apportando dovute spiegazione a proposito su quanto la sapienza sia importante e conveniente.
Socrate per giustificare la sua opinione spiega che la saggezza non sempre e un dono, anzi può danneggiare chi la possiede o chi sta accanto a questo, se non si la accompagna con un giusto senso del bene e del male.
A questo proposito, dopo aver letto il segmento di dialogo, sono della stessa opinione di Socrate, perché una persona saggia non sempre sa adoperare questo dono nel migliore dei modi, infatti nonostante uno abbia studiato e appreso tutto su un determinato argomento, quindi conoscendo ciò che si deve fare per non causare mali a se stesso o ad altri, non sempre la situazione studiata e identica nella realtà.
Perciò alla sapienza bisogna affiancare l’intuito ragionato, che in molti casi e una operazione inconscia che avviene nel nostro cervello, per superare ogni tipo di situazione anche se non apprese o vista mai prima.
Ovvio che l’intuito e una dote comune a tutti però è più o meno sviluppata, per esempio un bambino quando si trova a bruciarsi col fuoco per la prima volta anche se l’inconscio gli consiglia di allontanarsi per la presenza della temperatura molto alta, la curiosità prevale sulla prima procurandogli un danno, quindi concludo dicendo che dipende anche dall’età oltre che dall’esperienza.
Un altro esempio che potrebbe giustificare l’idea di Socrate è rappresentata da tutte quelle persone che lavorano nell’ambito sanitario (infermieri, anestesisti e dottori), che sanno sia come risolvere un danno all’organismo ma simmetricamente anche come procurarlo e quindi danneggiare in questo caso non più se stessi ma altri incorrendo in un reato penale, quindi in conclusione su ciò che ho detto gli studi e le conoscenze che apprendiamo in seguito devono essere sempre seguite in parallelo dal buon senso.
Mi sembra che tu abbia colto il punto e sia riuscito anche a proporre ulteriori esempi confermativi della tesi di Socrate (tratti del mondo sanitario).
Dovresti prestare, tuttavia, un po’ di attenzione alla forma.
Ad esempio non credo che tu volessi dire che “una persona saggia non sempre sa adoperare questo dono [cioè il “giusto senso del bene e del male”]”. Infatti questo “giusto senso” non è altro che la “scienza del bene” o, appunto, “saggezza”. Tu volevi dire, immagino, che “una persona che ha diverse conoscenze (ma NON la saggezza) non sempre ecc.”.
Curioso che tu chiami questa scienza del bene “giusto senso del bene”, “intuito ragionato”, “inconscio” ecc. Sembra che tu ritenga che la saggezza sia qualcosa di istintivo o di appreso in modo inconscio, non il frutto di un apprendimento consapevole, attraverso esercizi o meditazioni. Come mai? Se così fosse, l’attività filosofica (cioè di ricerca della saggezza o “sofia”) sarebbe inutile…
P.S. Socrate non risponde ad Alcibiade minore, ma ad Alcibiade, nel dialogo intitolato Alcibiade minore (per distinguerlo da un altro dialogo intitolato Alcibiade maggiore).
Concordo con il pensiero di Socrate sul fatto che la Scienza, se non accompagnata dalla saggezza, ossia la ricerca di ciò che è utile e meglio fare in ogni circostanza, può rivelarsi dannosa e distruttiva per l’uomo e l’ambiente in cui si trova, come spesso accade ai giorni nostri per quanto riguarda, ad esempio, l’inquinamento, il cambiamento climatico, le guerre e il proliferare del nucleare. Un uomo poco saggio spesso desidera cose che possono rivelarsi dannose e controproducenti.
Chiara Cernoia
Mi sembra che gli esempi che fai vadano nelle direzione giusta, ma forse sarebbe stato meglio esplicitarli. Ad esempio l’inquinamento è un effetto, non una scienza, così come il cambiamento climatico, e perfino le guerre e il proliferare del nucleare. Le scienze (conoscenze) corrispondenti che sarebbe meglio non possedere potrebbero essere: la scienza dei motori (a scoppio), fortemente inquinanti; le scienze relative alle attività industriali che favoriscono il cambiamento climatico (p.e. la chimica degli idrofluorocarburi, responsabili del “buco nell’ozono”); la scienza militare e la scienza nucleare.
Nel segmento di dialogo letto, Socrate ritiene che la conoscenza, se non accompagnata alla scienza del bene, sia inutile e spesso dannosa e che, in queste circostanze, l’ignoranza sia preferibile.
A mio parere ciò che dice Socrate è forse controproducente, poiché ritengo che lo stesso fatto di non conoscere la scienza del meglio sia in sé sintomo di ignoranza e che perciò in questi casi essere ignoranti oppure colti sia ugualmente utile. Consideriamo ad esempio un infermiere che conosce perfettamente tutte le procedure mediche che però ignora la scienza del bene, esso si ritroverà a non sapere quando e come dover mettere in pratica le sue conoscenze e sarà utile tanto quanto una persona che non sa niente di medicina, certo forse l’infermiere potrebbe trovarsi in grado di riuscire a danneggiare meglio un individuo grazie alle sue conoscenze, però rimarrebbe comunque incapace di riuscire ad utilizzarle in modo corretto e perciò sarebbe in parte ignorante. In conclusione ritengo che un uomo saggio non sia colui che conosce tante cose, ma colui che sa utilizzare al meglio le proprie conoscenze.
L’esempio dell’infermiere sembra confermare la tesi di Socrate, cioè, come giustamente scrivi, che “la conoscenza, se non accompagnata alla scienza del bene, sia inutile e spesso dannosa”. Perché tale tesi sarebbe “controproducente”? In che senso? L’infermiere dell’esempio sa tante cose, ma non sa servirsene bene, con effetti nocivi, proprio come prevede Socrate.
Riflettendo sulle parole di Platone e Alcibiade minore non sono arrivata a una completa conclusione, ma ho cercato di formulare un pensiero. Partendo dal presupposto che l’essere umano non è uno struzzo… Un piccolo esempio: quando non stiamo molto bene e sappiamo di avere qualcosa ma rifiutiamo di andare a farci controllare da uno specialista per paura del risultato, commettiamo un errore. Anche se la notizia può causare dispiaceri e preoccupazioni, porterà sicuramente alla ricerca di una cura. Nascondersi per paura di affrontare l’ignoto, riduce qualsiasi chance. Alla fine, dalle tante diverse informazioni dobbiamo selezionare a cosa credere. La nostra ignoranza é decisa dalle nostre scelte.
Dall’esempio che fai si direbbe che, talvolta almeno, l’essere umano si comporti da struzzo! Non ti sembra?
Comunque sia, che cosa suggerisce l’esempio della persona che si rifiuta di farsi visitare? Che non è “saggia”, che non possiede la scienza del bene? Ma questa persona – si direbbe – “sa” fin troppo bene che sarebbe bene farsi controllare. Il problema è che ha paura. Paura di cosa? Di scoprire di avere qualche brutta malattia, suppongo.Il tuo esempio, dunque, sembra mettere in discussione l’ipotesi di Socrate, cioè che sarebbe importante avere la scienza del bene. Infatti, tale scienza, secondo il tuo esempio, sembrerebbe non bastare, se non si accompagna alla “volontà” di comportarsi di conseguenza. Il problema del rapporto tra “sapere” e “volere” è molto delicato e ne riparleremo senz’altro.
Altro discorso sembra suggerito dalla tua constatazione: “Dalle tante diverse informazioni dobbiamo selezionare a cosa credere”. Qui non si tratta più di chi ha paura di farsi visitare (costui rifiuta anche le poche, utili informazioni che potrebbe ricevere dal medico). Si tratta – mi sembra – del problema di arrivare a “conoscenze” attendibili a causa del cosiddetto “overload” di informazioni. Tuttavia, ciò non vale tanto o solo per la “scienza del bene”, direi, ma per qualsiasi “scienza”, non ti pare?
Che significa, infine, “La nostra ignoranza è decisa dalle nostre scelte?”. In che senso? E che rapporto ha questa tesi con quanto precede?
Secondo me, non sempre la saggezza conta come, infatti, possiamo leggere nel segmento di dialogo tra Socrate e Alcibiade dove Socrate afferma che Oreste non avrebbe mai ucciso la madre se non l’avesse riconosciuta, di conseguenza, in questo caso l’ignoranza sarebbe stata più utile.
Esatto, solo che ciò che non conta o si rivela perfino dannoso, secondo Socrate, non è la “saggezza” (= scienza del bene), che anzi è fondamentale, ma la “conoscenza”.
Personalmente concordo con Socrate quando afferma che la sapienza, senza la saggezza, possa rivelarsi una scienza dannosa; e quando essere a conoscenza della verità o di un certo esito non sia sempre,per certe persone, un bene. A volte infatti è meglio non essere a conoscenza di certi fattori o verità pressanti, come potrebbero essere quelle di un malato terminale in un ospedale; a volte infatti è meglio tenergli nascosti certi aspetti della malattia, qualunque essa sia, per non metterlo troppo a disagio e fargli trascorrere gli ultimi giorni in ansia costante; a volte è meglio mentire, a fin di bene, affinché possa vivere gli ultimi giorni il più spensierato possibile.
Nascondere la verità , in casi come questo, a mio parere , può essere considerato saggio.
Zucchiatti Letizia E.
Interessante il tuo esempio. Nel caso del malato terminale la conoscenza potrebbe essere nociva. L’ipotesi è che non sia abbastanza “saggio” da sopportarla. Alcuni, tuttavia, potrebbero preferire essere informati, ad esempio per “sistemare le cose” e lasciare le loro disposizioni ai cari che restano. Dunque, anche in questo caso forse la scelta dipende dal grado di saggezza attribuibile alla persona che potrebbe o meno conoscere le cose.
Nella prospettiva moderna si potrebbe pensare che più che dalla saggezza la scelta in questione sia legata al coraggio (saggezza e coraggio sono entrambi virtù, per gli antichi). Tuttavia, nella prospettiva di Socrate, tutte le virtù sono “scienza del bene”, dunque forme di saggezza. Ad esempio il coraggio (come dice Socrate nel dialogo Lachete) è la scienza delle cose che si devono osare e di quelle che si devono temere. Un saggio, ad esempio, non teme la morte perché ne ignora la natura, dunque non può esserne spaventato (così dicevano Socrate e i filosofi stoici).
P.S. Sapienza e saggezza sono considerate da Platone sostanzialmente sinonimi. Forse nella prima riga della tua risposta invece per “sapienza” intendevi “conoscenza”?
A mio parere, la saggezza nella vita è importante. Infatti avere la conoscenza adeguata, permette di porsi e di raggiungere obiettivi sicuramente più alti rispetto a chi guarda solo all’immediato presente. Concentrarsi solamente su un aspetto, trascurando il resto non risulta costruttivo, ma la vera saggezza sta nel comprendere il presente e volgere le proprie esperienze a un progetto concreto che le utilizzi nella maniera più adeguata.
Jari P.
Non so in che cosa consista la “vera saggezza”, ma la questione era se la mera conoscenza, SENZA di essa, sia utile o dannosa.
Che cosa intendi, poi, per “conoscenza adeguata”? Se intendi lo stesso che “saggezza” ribadisci la tesi di Socrate (pur se non l’argomenti). Ma per “conoscenza adeguata” si potrebbe intendere “adeguata alle circostanze” o “alle richieste”. In questo caso la conoscenza di come si fa a costruire una bomba atomica sarebbe adeguata, ma nient’affatto “saggia” (probabilmente).
Se la saggezza viene intesa come sapere intorno al bene sono d’accordo sul fatto che più si sa più si può usare il nostro sapere per fare del male ma se non sai non puoi essere consapevole di star facendo del male. Infatti se prendiamo come esempio l’infermiera che uccide i pazienti, visto in classe, possiamo affermare con sicurezza che, sapendo più informazioni su specifiche reazioni chimiche, conosce la via più facile per uccidere qualcuno, ma se lei non sapesse nulla in questo ambito e iniettasse qualche sostanza che abbia una reazione chimica mortale ovviamente non sa che poteva uccidere quella persona perché non conosceva le informazioni fondamentali.
Se ho ben capito, la tua tesi è che anche l’ignoranza semplice, non solo l’ignoranza del bene, può essere nociva. In effetti questa è un’ulteriore tesi di Socrate, esposta in un altro testo (che, se avremo tempo, leggeremo). Socrate vi argomenta che è meglio chi sbaglia volontariamente di chi (come la “tua” infermiera) sbaglia involontariamente. Infatti, quest’ultimo non si può correggere facilmente (bisognerebbe insegnargli il mestiere), mentre il primo (p.e. un infermiere killer) si potrebbe facilmente rieducare, dimostrandogli che sbaglia…
Condivido il pensiero di Socrate che a volte sia meglio non conoscere interamente la verità che conoscerla in tutti i suoi particolari.
Sostengo questa tesi poiché credo sapere per intero alcuni avvenimenti possa causare sofferenza a colui che li conosce, cosa che non accadrebbe se questi avvenimenti non fossero conosciuti per intero.
Da questo pensiero parto per parlare di un fatto accadutomi parecchi anni fa: durante la mia infanzia avevo un gatto a cui ero particolarmente affezionato, da un giorno non lo vidi più tornare, i miei genitori mi raccontarono che era scappato. In realtà il gatto era morto e non avendolo saputo non ho sofferto molto per lui pensando che avesse trovato un posto migliore dove stare.
Altre invece credo per una valutazione migliore della situazione sia meglio conoscere i fatti per intero.
Molto interessante il tuo esempio autobiografico.
Apparentemente sembra un esempio che ha poco a che fare con la tesi di Socrate. Secondo Socrate certe conoscenze possono essere nocive, non perché, come nel tuo caso, possono fare soffrire, ma perché, in assenza della saggezza o scienza del bene, possono essere usate male.
Tuttavia, in un certo senso, questo è stato anche il tuo caso: se tu avessi saputo che il tuo gatto era morto, avresti usato male la notizia… “soffrendo”. Forse un saggio avrebbe preso “con filosofia” la morte del gatto, consolandosi con ragionamenti (che forse, però, “lasciano il tempo che trovano”), come: “Prima o poi doveva morire” oppure “Meglio così, era vecchio, avrebbe sofferto inutilmente” o simili.
A mio parere l’idea di Socrate è parzialmente corretta, in quanto la saggezza non accompagnata dalla conoscenza del bene porterebbe sicuramente a risvolti negativi, però non concordo sul fatto che al posto di una saggezza priva di principi positivi sia preferibile l’ignoranza, infatti credo che quest’ultima renda l’uomo vulnerabile e dannoso per la società. Per esempio se ci fosse una società completamente ignorante, non tenendo conto che per sopravvivere c’è la necessità di avere un minimo di conoscenze, un solo uomo potrebbe prendere il comando e grazie all’inconsapevolezza della gente sfruttare la popolazione ai propri fini.
Infine credo che la vera saggezza venga sempre accompagnata dalla conoscenza del bene poichè un uomo saggio sa sempre cosa sia meglio per lui e gli altri.
Premesso che la saggezza probabilmente, nel lessico di Socrate/Platone, non solo “si accompagna con” la conoscenza del bene, ma coincide con essa, mi sembra ragionevole pensare, come pensi tu, che l’ignoranza, in generale, non solo l’ignoranza del bene, possa essere un male. Ad esempio, se sapessi che è bene governare il popolo con giustizia, ma ignorassi se il tale uomo politico fosse giusto, rischierei di sostenerlo “in buona fede”, pur sapendo che cosa è bene (essendo saggio), ma, in realtà, sbagliando (se il tale uomo politico fosse un delinquente).
Tuttavia, leggendo con attenzione, Socrate (Platone) suggerisce che le conoscenze senza la saggezza possono essere nocive, cioè non lo sono necessariamente, ma soltanto rischiano di esserlo.
Secondo me la saggezza è un concetto relativo che dipende da persona a persona.
Io concordo con il punto di vista di Socrate che ha durante il dialogo con Alcibiade, perché a volte è meglio non essere a conoscenza di tutto e non bisogna fare domande a riguardo.
Nessun essere umano è più saggio dell’altro, però ognuno è saggio a modo suo e in contesti differenti.
Noi essere umani siamo tutti saggi dipende se utilizziamo la nostra saggezza e la coltiviamo invece di fregarcene.
La saggezza di un uomo sta nel vedere,saper riconoscere e discutere adeguatamente nei vari casi in cui si trova a saper argomentare in modo adeguato la sua tesi.
La tua risposta si svolge su due piani.
In primo luogo sei d’accordo con Socrate, anche se non mi è chiaro che cosa intendi quando affermi: “Non bisogna fare domande a riguardo” (A riguardo di che cosa? Di quello, sapendo il quale, si rischierebbe di sbagliare?).
In secondo luogo difendi una forma di “relativismo etico” (ciascuno è saggio a modo suo, ovvero, se intendo bene, la scienza del bene è soggettiva, perché lo stesso bene è soggettivo, cambia da persona a persona). In questo senso siamo “tutti saggi” (è all’incirca la tesi dei “sofisti”, pensatori coevi di Socrate, che proclamavano se stessi “sapienti”, come si può appunto tradurre “sofisti”). Infatti, chi non cercherebbe di realizzare ciò che di volta in volta gli sembra bene? Se il bene è soggettivo, è “automatico” ricercarlo da parte di ciascuno.
Tuttavia, se capisco bene, secondo te, a volte utilizziamo e coltiviamo la saggezza, mentre altre volte “ce ne freghiamo”. Non ti sembra che siano più saggi coloro che utilizzano la propria saggezza di coloro che se ne fregano? Ma allora non saremmo tutti saggi nello stesso modo (Lo stesso si ricava dalla tua ultima frase: ci può essere chi argomenta in modo adeguato e chi argomenta in modo inadeguato….).
In generale ci sarebbe da chiedersi se sia proprio vero che siamo tutti saggi. Se così fosse, non ci potrebbe mai pentire delle proprie scelte, riconoscere di avere sbagliato.
Se si vede la questione in prima persona, la conoscenza è in qualsiasi caso una cosa che ci crea dei vantaggi rispetto a persone ignoranti (che ignorano non che sono stupide), ma se si cambia il punto di vista (in terza persona) la saggezza è un arma nelle mani delle altre persone e io per preservarmi ho bisogno di informarmi. Molto spesso le persone utilizzano la loro intelligenza per scopi “malvagi” come nel caso della politica, dove lo scopo dei personaggi “importanti” è quello alzare la rabbia delle masse utilizzando anche false notizie. Un esempio della conoscenza mal usata è Adolf Hitler”, infatti si stima che il suo QI sia stato di 160(1% della popolazione mondiale), ma sappiamo bene come lo abbia utilizzato.
Non capisco. Mi sembra che secondo te sia sempre meglio conoscere e/o informarsi (“in prima persona”). L’esempio di Hitler suggerisce, però, che le sue conoscenze siano state usate male (in modo malvagio). Dunque vi sono casi nei quali sarebbe stato meglio non conoscere. Forse tu intendi dire che Hitler ha comunque avuto vantaggi dalle sue conoscenze, mentre le sue vittime sono state svantaggiate. Considera, però, che Hitler stesso ha fatto una brutta fine, il suo disegno non si è realizzato, ha “sbagliato i calcoli” ed ha fallito. Oppure: se tu sai come procurarti qualche sostanza che ti nuoce, ma non sai che ti nuoce, sei la prima vittima delle tue “conoscenze”. Si direbbe, dunque. che a volte anche “in prima persona” la conoscenza sia svantaggiosa… O forse intendi che, se uno usa male le sue conoscenze, mentre se ne serve, necessariamente crede (nella sua “prospettiva”, dunque “in prima persona”) di usarne bene, altrimenti non se ne servirebbe. In questo caso Socrate ti darebbe ragione (secondo lui, come vedremo, chiunque faccia qualsiasi cosa crede anche, necessariamente, che sia bene farla).
Buonasera,
dopo una accurata rilettura e riflessione sulla parte del discorso da lei assegnato
credo che l’ignoranza sia la cosa migliore poiché un uomo non può conoscere tutto e conoscendo delle piccole cose senza comprenderle interamente aumenta la sua ignoranza e risulta più ignorante di una persona che i focalizza su un singolo argomento.
Non colgo il nesso. L’uomo che conosce piccole cose senza comprenderle ed è, quindi, secondo te, più ignorante, in quanto tale, è un uomo migliore? E perché lo sarebbe? O intendi che sia migliore la persona “che si focalizza su un singolo argomento” (ignorando, immagino, gli altri)? Mi sembra che si tratti di due tipi di ignoranza: il primo sa superficialmente tante cose, il secondo ne sa bene solo una e ne ignora molte altre. Quale di queste “ignoranze” è migliore? E perché, in generale, l’ignoranza sarebbe migliore?
Essere saggi è fondamentale, infatti la saggezza ci aiuta a prendere decisioni corrette e più appropriate secondo il proprio modo di pensare e le proprie esperienze, tendendo a scegliere la soluzione che volge verso il bene. Essere saggi significa anche cercare di capire gli altri senza giudicare. Un esempio di saggezza mal usata è la guerra nei paesi orientali, infatti è inutile cercare di imporre un sistema che non coincide con una propria cultura; sarebbe invece saggio accettare la diversità tra le popolazioni e cercare di conviverci.
Molto interessante, anche se forse non si trattava di ricercare in che cosa consistesse la saggezza, ma soltanto se essa (qualunque cosa sia), sia necessaria per servirsi correttamente delle proprie conoscenze; anzi, se queste conoscenza, in assenza della saggezza (= scienza del bene), siano ancora utili o non rischino di diventare dannose.
Sono d’accordo, comunque, che essere saggi implichi (non proprio “significhi”, perché forse essere saggi significa anche altro…) “cercare di capire gli altri senza giudicare”, e anche “accettare le diversità tra popolazioni”. TUttavia, da “filosofi”, dovremmo argomentare perché le cose stiano così (altrimenti si scivola nel “senso comune” o nei “luoghi comuni”, politically correct, ma non adeguatamente giustificati).
P.e. se qualcuno sostenesse che è maglio imporre a tutti la propria religione, perché questo permetterà poi di condividere i proprio valori ed evitare incomprensioni (qualcosa di simile pensò p.e. re Luigi XIV di Francia quando, con l’editto di Fontainebleu, nel 1685, impose anche ai protestanti la conversione al cattolicesimo – ed era sostenuto da fior di intellettuali, che scrissero poderosi libri, come il vescovo Bossuet, per esempio…), come replicheresti?
Io penso di non essere in grado di discutere un brano di questa rilevanza, perché ho alcuni punti interrogativi in merito, però mi sento in grado di affermare che la descrizione della “città senza valore” è, più che mai, di attualità nel nostro tempo, perché rispecchia la società nella quale viviamo nei caratteri descritti.
Provando, comunque, ad evidenziare un commento personale sulla “scienza del meglio”, posso convenire sul fatto che la riflessione su cosa è meglio o giusto fare sia di grande importanza, ma allo stesso tempo di nota complessità e probabilmente per quest’ultimo motivo, spesso e volentieri, si lascia incompiuta, tralasciando i motivi di interesse personale.
Le chiedo di non pubblicare questa risposta, per favore, come molto probabilmente anche quelle che seguiranno, grazie.
Forse la questione da esaminare era più semplice.
Sei d’accordo o no che a volte sapere certe cose possa essere dannoso se non si sa se sia bene o meno servirsi di tali conoscenze?
Il testo dell’Alcibiade minore è complesso solo dal punto di vista retorico. Esso include esempi ed è svolto in forma dialogica. Ma sotto il profilo strettamente logico si può ridurre alla questione appena richiamata.
Una questione ulteriore, che anche diversi tuoi compagni hanno sollevato, è la seguente: “E’ possibile o meno conseguire tale conoscenza del bene o saggezza?” e ancora: “Il bene è lo stesso per tutti o dipende dal punto di vista?”. Ma tale questione esula dal testo. Anche se il bene fosse “soggettivo” (cioè dipendesse dal punto di vista di ciascuno) rimane vero che, se p.e. tu usi male (dal tuo punto di vista) le tue conoscenze, poi te ne penti (dunque anche in questa prospettiva, che, come vedremo, non è quella socratico-platonico, rimarrebbe vero che è importante sapersi servire bene delle proprie conoscenze).