“Dietro” a Platone, dietro, cioè, all’intuizione che si possa avere scienza solo di “ciò che è” (o dell’essere) e non di ciò che diviene e/o appare, si staglia la figura di Parmenide di Elea (fine VI sec. a. C.); una figura eccezionale, nel senso che è l’unico pre-socratico a cui, come Platone segnala nel citato passo del Teeteto (in cui si critica la dottrina di Protagora), non si può in alcun modo attribuire, neanche parzialmente, la teoria secondo la quale “tutto scorre”:
Tutto ciò che noi diciamo che è, diviene perché muta luogo, si muove, si mescola con altro; e perciò non è corretto dire che è, perché niente mai è, ma sempre diviene. E i su questo punto tutti i sapienti, ad eccezione di Parmenide, bisogna dire che concordano: Protagora, Eraclito, Empedocle e i poeti più grandi.
Ma in che cosa consiste la sua dottrina fondamentale?
Per scoprirlo prova a misurarti direttamente con i frammenti che ci rimangono del poema di Parmenide, U1, cap. 3, t1-3, pp. 62-65.
Dopo aver letto tali testi, possibilmente senza consultare il manuale o altre fonti (altrimenti è troppo facile, immagina che si tratti di un gioco, quale effettivamente è, un gioco della mente), prova
- a isolare la tesi fondamentale di Parmenide (che cosa sostiene fondamentalmente Parmenide?)
- a cercare di individuare qualche argomentazione più o meno esplicita a suo sostegno negli stessi testi di Parmenide (perché secondo lui le cose starebbero in un certo modo? da che cosa lo capiamo o ricaviamo?)