Oltre l’epistemologia… (Feyerabend e Quine)

FeyerabendPaul Feyerabend (nella foto), seguito, in questo, da Orman V. Quine, denuncia come non risolutive le ipotesi epistemologiche di Schlick, Hempel, Popper, Kuhn, Lakatos.

Non è possibile, infatti,

  1. né stabilire criteri di classificazione delle teorie, che, in un modo o nell’altro, consentono loro di poter definire criteri di progressività e preferibilità tra approcci;
  2. distinguere tra teorie scientifiche e teorie di carattere filosofico e religioso.

 

Serendipity

Consideriamo questo caso, evocato da Feyerabend: pur muovendo da un’ipotesi errata sulla forma della Terra Colombo scoprì l’America. Dunque, pur partendo da ipotesi errate si possono ottenere risultati validi.

Si tratta di un principio di  serendipity:  spesso si trova quello che non si cerca, ma se non si cercasse quel qualcos’altro che non si trova, non si troverebbe neppure questo qualcosa che non si cercava….

Di qui il motto di Feyerabend: anything goes (“tutto va bene”) e il suo anarchismo metodologico.

La maggior parte delle scoperte scientifiche si è prodotta per caso, senza rispettare dettami metodologici precisi. Altrettanto poco scientifica è stata la preferenza accordata da un’epoca o una cultura a una teoria piuttosto che a un’altra. Ciò che ha favorito il progresso scientifico, dunque, sono stati non tanto metodi euristici precisi o criteri di valutazione dei risultati raggiunti, epistemologicamente convincenti, quanto la ricchezza e la pluralità degli approcci contemporaneamente e contraddittoriamente messi in atto. A volte programmi di ricerca che sarebbero stati regressivi (come la credenza magica nell’azione a distanza tra corpi), si sono rivelati improvvisamente fecondi (Newton derivò da questa credenza l’intuizione della gravitazione universale) e viceversa.

Di qui il suggerimento di preservare il più possibile il pluralismo delle teorie, dei programmi e dei paradigmi, evitando di concentrare i finanziamenti pubblici e privati soltanto sulle linee di ricerca che appaiono, oggi, più promettenti (e, perciò stesso, più “scontati”, dunque meno capaci di generare, verosimilmente, scoperte sensazionali o davvero innovative),

 

Indistinguibilità tra asserzioni teoriche e asserzioni empiriche

Per Feyerabend, come poi per Orman V. Quine, una teoria non può neppure distinguere nettamente la sua “parte” teorica (la parte immersa dell’iceberg, secondo la metafora di Popper) e la sua “parte” empirica (la parte emergente dell’iceberg), ossia le leggi generali e le osservazioni relative ai fatti empirici che dovrebbero confermare o smentire le prime. Infatti, anche per esprimere quello che si osserva si ricorre al linguaggio e questo è sempre intriso di teoria.

Diverso è dire “questa matita cade” e “questa matita tende verso il centro della Terra”. Descrivo lo stesso fenomeno, ma già nella scelta dei termini che adopero alludo a un preciso paradigma interpretativo di riferimento che, implicitamente, dichiaro verificato.

Le esperienze, in altri termini, non sono direttamente verificabili o falsificabili, come sembra, perché anch’esse sono fondate su teorie e qualsiasi esperimento è sempre “impregnato” di teoria, sia che verifichi, sia che falsifichi. Tutta una teoria è “teoria”: non ha semplicemente riscontri empirici (non c’è fenomeno che non sia riconducibile e, insieme, non riconducibile a una teoria).

Per esempio: Galileo “vedeva” i satelliti di Giove attraverso il suo cannocchiale e, con ciò, “vedeva” che la teoria di Copernico era giusta. Il suo avversario aristotelico, invece, vedeva soltanto uno strano strumento che gli faceva “credere” di vedere oggetti che, necessariamente, non potevano esistere. Entrambi vedevano quello che volevano e potevano “vedere” soltanto sulla base dei loro paradigmi di riferimento.

È impossibile indurre qualcuno, soltanto su basi empiriche, a cambiare paradigma, perché troverà sempre ipotesi ad hoc funzionali alla conservazione del paradigma a cui (per ragioni culturali o religiose, come dice Kuhn), aderisce.

QuineQuine (nella foto) dimostra, in particolare, l’indistinguibilità tra giudizi analitici (le “verità di ragione” di Leibniz, consistenti in pure definizioni) e giudizi sintetici (le “verità di fatto” di Leibniz, consistenti in descrizioni empiriche, verificabili e falsificabili).

L’empirismo logico distingueva, come Kant, tra proposizioni analitiche o tautologie e proposizioni sintetiche o  empiriche. Le prime sono sempre vere e appartengono alla struttura logica di una teoria (coincidono, in sostanza, con le definizioni dei termini usati nella teoria). Le seconde possono essere vere o false e sono le sole che hanno bisogno di venire verificate.

Secondo Quine non è possibile in nessun modo sapere se una determinata proposizione sia analitica o sintetica. Quella che sembra una proposizione sintetica (p.e. f = am), dunque oggetto di possibile controllo empirico, può essere presa da altri autori come una definizione (nell’esempio della forza: da Mach, che considera la forza tautologicamente identica al prodotto della massa di un corpo per la sua accelerazione) e viceversa.

Non è detto che tutti siamo d’accordo col dizionario che suggerisce che “scapolo” sia una persona “non sposata”. Dunque la proposizione “tutti gli scapoli non sono sposati” è tautologica, dunque necessariamente vera, solo per coloro che dànno un determinato significato all’espressione “scapolo”. Ma come facciamo a sapere che significato dà ciascuno di noi alle espressioni che usa?

Per saperlo dovremmo, di nuovo, fare un controllo empirico, relativamente a quello che ciascuno di noi intende con ciascuno termine. Ma anche i controlli empirici non possono essere esaustivi. Se qualcuno, indicando un coniglio, esclama “gavagai”, non sapremo mai esattamente che cosa intenda dire (“coniglio”, “ecco un coniglio”, “oddio un coniglio” ecc.). Per la precisione ogni termine e ogni proposizione si può intendere solo nel suo contesto, fatto inizialmente di tutti gli altri termini e proposizioni di una lingua.

 

Indistinguibilità logica tra teorie scientifiche, filosofiche e religiose

In base queste considerazioni di Feyerabend e Quine anche il cristianesimo o la filosofia di Aristotele potrebbero essere considerati una teoria “scientifica”, nel senso che implicano una prospettiva sul mondo le cui conseguenze empiriche si intrecciano con le rispettive fondamenta teoriche senza soluzione di continuità.

Quine (che è un fisico) arriva a sostenere che gli dei dell’Olimpo assolvevano la medesima funzione dei nostri atomi. Gli uni e gli altri, infatti: sono invisibili, immaginati da mente umana, “servono” a spiegare i fenomeni a cui assistiamo, sono o non sono “falsificabili” a seconda del punto di vista che si assume (se un certo evento sembra “smentire” l’esistenza di Zeus, che sarebbe dovuto intervenire, si può sempre introdurre un’ipotesi ad hoc per spiegare questo mancato intervento; esattamente quello che avviene nel caso che qualche fenomeno sembri falsificare l’ipotesi atomica).

 

L’incommensurabilità

Le riflessioni di Feyerabend e Quine conducono al principio dell’incommensurabilità tra teorie e paradigmi, condiviso anche da  Thomas Kuhn.

Poiché i concetti di cui si vale una teoria sono definiti dalla teoria stessa, è impossibile confrontare proposizioni apparentemente opposte di teorie rivali: p.e. la proposizione newtoniana “la massa di un corpo non varia al variare della sua velocità relativa” non si contrappone, come sembrerebbe, alla proposizione relativistica “la massa di un corpo varia al variare della sua velocità relativa”. Il termine “massa”, infatti, ha due significati diversi nelle due teorie. Come dire: la massa newtoniana si comporta in un certo modo e la massa einsteiniano in un altro. Ciascuna delle due teorie va considerata come un tutto.

 

L’olismo

Questo modo di vedere conduce rapidamente all’olismo, sostenuto soprattutto da Quine.

Ogni concezione, scientifica o meno, è un tutto (hòlon), fatto di parti (le proposizioni) ciascuna delle quali ha il suo senso solo alla luce di tutte le altre (secondo quanto anche Kuhn presuppone, quando parla di incommensurabilità tra paradigmi). Dunque è impossibile falsificare parzialmente una teoria o confrontarne le singole proposizioni con quelle di altre teorie.

UranoQuando la conseguenza empirica di una teoria sembra non verificarsi (esempio della soluzione dell’anomalia presentata dall’orbita del pianeta Urano), non sapremo mai se:

  • in effetti la conseguenza si è verificata, ma noi non avevamo inteso correttamente il senso dei termini con cui era stata espressa;
  • della prevista conseguenza non si è verificato solo l’aspetto relativo al tempo o al luogo del suo verificarsi, ma la conseguenza stessa altrove o in altro tempo si è verificata;
  • la conseguenza prevista non si è verificata affatto, ma la teoria che la prevedeva resta vera perché è possibile spiegare con un’ipotesi ad hoc l’errore previsionale (nel caso del pianeta Urano la vicinanza della massa di un altro pianeta ancora da scoprire: Nettuno);
  • la conseguenza prevista non si è verificata affatto e non ci sono ipotesi ad hoc convincenti, dunque la teoria che la prevedeva va abbandonata.

d Giorgio Giacometti