La soluzione kantiana del problema del libero arbitrio

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Nella Critica della ragion pratica Kant risolve il problema del libero arbitrio, già impostato nella Critica della ragion pura, come segue.

In base alla Critica del 1781 possiamo distinguere tra fenomeni e cose in sé. Ora solo i fenomeni obbediscono a un rigido meccanicismo in quanto soggiacciono, tra le altre, alla categoria di causa-effetto. Ma le cose come sono in se stesse (dunque anche gli esseri umani come soggetti e non oggetti di conoscenza) potrebbero essere libere e svincolate da catene di cause ed effetti.  Tuttavia, questa osservazione non ci dice ancora se gli esseri umani siano effettivamente liberi o meno.

Nell’opera del 1788 Kant argomenta (senza poterlo dimostrare, non essendo più su un terreno strettamente scientifico) che il libero arbitrio esiste, sostenendo che, pur non potendo sapere se siamo o meno liberi, è ragionevole crederlo.

L’argomento fondamentale è il seguente.

Tradizionalmente si è ragionato: “se puoi, allora devi” (ossia: se sei libero, sei responsabile delle tue azioni).

Ma, poiché non si può dimostrare se si sia o meno liberi, questo modo di ragionare espone all’irresponsabilità (cioè permette ai meccanicisti-deterministi di autorizzarsi ad agire in modo irrresponsabile, come effettivamente facevano i “libertini” fin dal Seicento).

Kant invece ragiona: “se devi, allora puoi” (ossia: poiché hai doveri, si presume che tu sia abbastanza libero da potertene assumere la responsabilità).

Il “libero arbitrio” è, dunque, in Kant un “postulato pratico”, qualcosa che non posso dimostrare vero, ma che presuppongo quando agisco (come presuppongo i postulati di Euclide quando dimostro un teorema di geometria razionale).

Perfino il più acceso determinista si “adira” se qualcuno lo offende, presupponendo che costui avrebbe potuto fare altrimenti e che l’ha fatto “apposta”.

In generale morale e diritto presuppongono il libero arbitrio poiché questi “ambiti” si reggono sull’ipotesi che abbia senso lodare (o premiare) chi fa bene e biasimare (o punire) chi fa male.

di Giorgio Giacometti