La Critica della ragion pratica

Kant_Kritik_der_praktischen_Venunft_1788

Nella Critica della ragion pura, pubblicata da Kant nel 1781, la ragione di cui si tratta è la ragione teoretica. La filosofia teoretica è la filosofia che si occupa della conoscenza (da “theorêin” che in greco significa “contemplare”, ma con gli occhi della mente, termine da cui deriva “teoria”).
Kant vi svolge soprattutto un’analisi critica delle strutture pure della ragione e in generale, del soggetto (le forme pure della sensibilità e i concetti puri dell’intelletto), esercitando la ragione stessa (portando, come scrive Kant, la ragione davanti “al tribunale di se stessa”). La critica, dunque, si rivela come un’autocritica della ragione, che mette in discussione l’autosufficienza della ragione (nella sua “purezza” o solitudine). La ragione, infatti, nel suo uso scientifico, richiede – come dimostra Kant in quest’opera – anche il ricorso all’esperienza.

La Critica della ragion pratica (1788), invece, ha per obiettivo l’uso pratico della ragione, ossia concerne il ruolo della ragione nel determinare il nostro agire (prassi). Il suo campo d’indagine è dunque quello tradizionale dell’etica.
Mentre nella Critica della ragion pura Kant criticava l’uso puro della ragione, considerandolo insufficiente a generare scienza, nella Critica della ragion pratica, viceversa, Kant dimostra come l’uso puro della ragione, in quanto pratica, nel senso di un esercizio della ragione che, nel determinare il nostro comportamento, resta  libera dai condizionamenti provenienti dai sensi, sia indispensabile se si vuole che il nostro agire abbia un valore morale.

 

di Giorgio Giacometti