Sola gratia, sola fide, sola scriptura

Martin Lutero e Jan Hus

    Martin Lutero e Jan Hus

Come abbiamo visto, il cristianesimo, fin dalle origini, viene bensì interpretato in chiave filosofica, ma, in quanto (creduto) frutto di una rivelazione divina, testimoniata da Scritture, si distingue da una filosofia pura per una serie di caratteristiche dottrine.

La Riforma protestante, sotto il profilo filosofico, rispetto alla tradizione cattolica, accentua la specificità e irriducibilità del cristianesimo alla filosofia, mettendo in primo piano il ruolo decisivo, per la salvezza dell’anima, della fede, rispetto alle opere (rispetto dunque anche alla sfera etica, filosoficamente trattabile); una fede, fondata sulla sola Scrittura, fede intesa, a sua volta, come dono immeritato che alcuni possiedono per grazia divina.

Il movimento riformatore, almeno nei suoi massimi esponenti, si distingue dai precedenti movimenti ereticali medioevali, generalmente di tipo “pauperistico” (con l’eccezione del movimento neo-gnostico dei catari dei primi del XIII sec.), per una serie di “innovazioni” teologiche peculiari (per la verità in parte anticipate dai movimenti inaugurati da Wyclif e Hus), che si trovano già tutte in Lutero e che vengono riprese a approfondite da Calvino, quali le seguenti dottrine:

  1. libero esame della Sacra Scrittura (di fatto una lettura prevalentemente letterale, soprattutto del Vangelo) come esclusiva fonte dottrinale (sola scriptura); da cui conseguono (nella lettura di Lutero e Calvino):
  2. salvezza o giustificazione per sola fede (sola fide) e non tramite le opere (di misericordia o di penitenza);
  3. totale gratuità di tale giustificazione immeritata (sola gratia), come insegnava Agostino (contro Pelagio e la filosofia pagana);
  4. adorazione del solo Cristo (solus Christus), piuttosto che della Vergine e dei Santi;
  5. sacerdozio universale (sicché tutto si gioca nel rapporto diretto tra ciascun cristiano e Dio, senza alcuna mediazione da parte di gerarchie ecclesiastiche, cui – fin dalle originarie 95 tesi pubblicate da Lutero nel 1517 – è negato qualsivoglia potere di rimettere colpe o pene e che devono essere sottoposte alla potestas civile);
  6. riduzione dei sacramenti fondamentalmente al battesimo e all’eucaristia (concepita come luogo della “consustanziazione” – cioè coesistenza – del corpo e del sangue di Cristo con il pane e il vino, in Lutero, o come mero ricordo dell’unico, originario sacrifico di Cristo, in Zwingli e Calvino, laddove la dottrina cattolica la considera luogo della “transustanziazione” – cioè totale trasformazione – del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo).

Su Lutero cfr. questa puntata di Passato e Presente o quest’altra de Il tempo e la storia.

Calvino accentua una dottrina, già presente in Lutero e connessa a quella della grazia: la dottrina della predestinazione di coloro che saranno salvati (e della corrispondente predestinazione di coloro che saranno dannati).

Il che implica la negazione del libero arbitrio (su cui insiste soprattutto Lutero), inteso non come libertà di indifferenza (di scegliere se p.e. andare a destra o a sinistra), facoltà ammessa (come argomenta Melantone), ma come libertà di scegliere tra bene e male (siamo condannati a fare il male, a causa del peccato originale, se la grazia di Dio non ci soccorre).

Melantone, l’amico e seguace di Lutero, in modo molto efficace argomenta come non sia possibile costringere (con la mera volontà) il proprio “cuore” a seguire i comandamenti di Dio (o della ragione filosofica), se si è preda delle passioni, a meno che non soccorrano altre passioni contrarie o, appunto, la grazia di Dio.

Si possono approfondire questi temi per quanto riguarda il luteranesimo su questa antologia degli scritti fondamentali del padre della riforma e del suo principale seguace.

Calvino, dal canto suo, mette l’accento sui segni della grazia che contraddistinguerebbero i veri credenti (i membri della vera chiesa invisibile dei predestinati o “eletti”): fondamentalmente il successo nella propria attività professionale concepita (come in San Paolo) come vocazione, ciò a cui siamo chiamati da Dio.

Tale prospettiva, nell’analisi che ne farà il sociologo Max Weber, costituirà la premessa dello sviluppo di una cultura “capitalistica”, ossia di un atteggiamento rivolto da un lato a produrre ricchezza e beni (piuttosto che a compiere “inutili” opere di carità o di misericordia), dall’altro lato a non ostentarli attraverso il lusso, ma nell’accumularli per produrne sempre di più “a gloria di Dio”.

N.B. 1 Non si deve pensare che i riformati, perseguitati dai cattolici, dove riescono a conquistare il potere, come nella Ginevra di Calvino, siano più tolleranti dei cattolici, nei confronti di coloro che giudicano eretici, magari perché ispirati dal principio del “libero esame” della Bibbia…

Michele Serveto, ad esempio, sostenitore dell’unicità di Dio (antitrinitarismo), viene condannato al rogo a Ginevra nel 1553, suscitando il plauso di Calvino stesso (si crede da parte di molti, come Calvino, che l’eresia, in quanto perde l’anima di coloro che vi aderiscono, sia peggiore dell’omicidio, che si limita a offendere soltanto il corpo di chi lo subisce) e la timida contrarietà di Sebastian Castellion che nel suo De haereticis an sint persequendi osserva come uccidere un uomo non sia mai colpire una dottrina, ma sempre solo uccidere un uomo.

N. B. 2 Un’altra considerazione che possiamo fare riguarda la critica dei riformati al principio di autorità, tradizionalmente riferito al magistero della Chiesa e, in Occidente, in caso di divergenza tra vescovi, ad esempio in occasione di un concilio, al Papa di Roma.

Come sappiamo, l’appello a tale principio, che significa, per cattolici e ortodossi, la valorizzazione non solo della Scrittura, ma anche della Tradizione della Chiesa (considerata guidata e illuminata dallo Spirito Santo), ha una giustificazione: quella di evitare che l’ambiguità delle Scritture, moltiplicata dalla pluralità delle interpretazioni (letterali e/o allegoriche) a cui esse si prestano, favorisca la frammentazione della fede e, in ultima analisi, la dissoluzione del cristianesimo come religione.

In un certo senso la storia del protestantesimo conferma tale preoccupazione: registriamo nei secoli una proliferazione di sette, guidate da divergenti interpretazioni delle Scritture o dalla valorizzazione di aspetti diversi delle medesime.

di Giorgio Giacometti