C’è sempre solo una coscienza (alla volta)

coscienza

La coscienza è sempre tale “una ogni volta” (ayam atma brahman). Non vi sono simultaneamente più coscienze (la mia e la tua, per esempio), ma sempre solo una alla volta.

Possiamo parlare al riguardo di una irriducibile asimmetria della coscienza.

Nei termini di Erwin Schroedinger:

La coscienza è un singolare di cui non si conosce plurale.
[cit. in Odifreddi, Il Vangelo secondo la scienza]

Posso vedere che ci sono 10 sedie in una stanza. Posso vedere che ci sono anche 10 uomini. Ma posso vedere o anche solo sapere che ci sono 10 “coscienze”? La coscienza può moltiplicarsi come gli organismi viventi? Posso vedere che ci sono altri 9 uomini in una stanza in cui ci sia anch’io. Ecco, questa è la coscienza. Una sola alla volta. Cordialmente denominata “io”. La coscienza è qualcosa solo per chi ce l’ha. Quella degli altri è solo supposta. (E può essere benissimo che questo valga anche per i gorilla).

Nella prospettiva della cosiddetta Gnosi di Princeton le “coscienze” diverse dalla mia, in quanto “vedute”, sono al loro rovescio (wrong side), appaiono come corpi.  È come se si trattasse di “esseri” che, nella mia prospettiva, furono o saranno “coscienti” (nel loro qui ed ora, nel loro right side) o, più semplicemente, sarebbero coscienti se fossero me. Adesso ci sono solo “io”, non inteso come individuo separato, ma come la coscienza che qui e ora l’universo prende di se stesso, nella “mia” prospettiva (che, tra l’altro, mi illude di esistere come individuo separato dal tutto).

Come scrive Ruyer degli “esseri diversi da me e altrove da qui”:

Essi, senza di me, sono pensiero nel loro qui-ora [non nel mio!]. Essi "dicono", proprio come me: "Io-qui-ora". Ogni essere "altrove" (per me che l'osservo nel suo rovescio, val a dire che ricevo le onde luminose che egli riflette), è [si intende: per se stesso, ma nel suo "qui-ora", non nel mio!] un "qui" nel suo dritto. [...] Gli esseri non sono altro che coscienze-io in riposo qui, ma non si vedono tra loro che come corpi, laggiù, come egli o tu in movimento. Io lo credo corpo, là, in movimento, ma egli è io, coscienza, qui, immobile, ed egli mi crede corpo qui (che è "altrove" per lui), in movimento, allorché io so bene che sono qui, cosciente, immobile. Le relazioni tra i pronomi, come tra il Qui e l'Altrove, come tra i corpi in movimento (e si può aggiungere come tra le direzioni), non sono reali che per una terza coscienza o per un dominio sovraordinato ecc. [Ruyer, pp. 64-65]

Insomma, qui e ora, esiste sempre solo una sola coscienza, che è come dire, appunto, che esiste una sola coscienza (immobile, eterna) alla volta.

La cosa può anche essere argomentata dal lato del tempo.  Non c’è un unico tempo che scorra inesorabile per tutti, ma tanti “tempi” quanti sono i “soggetti” per i quali “del tempo” scorre.

Tali sono le conclusioni a cui si può pervenire se guardiamo al tempo in una prospettiva relativistica: esso scorre con velocità diverse a seconda del sistema di riferimento che si assume, ma, soprattutto, come scrive Carlo Rovelli, “‘adesso‘ non significa nulla” [cfr. Carlo Rovelli, L’ordine del tempo, p. 41], nel senso che non è possibile istituire relazioni di contemporaneità tra eventi, ma ciascuno è contemporaneo, per così dire, solo a se stesso. Ma questo è come dire che il tempo scorre solo per la coscienza che se ne ha; e questa è “presente” solo a se stessa, isolatamente, senza alcun rapporto con altre presenze (gli “altri” sono per me sempre “passati” o “futuri”: mentre li guardo li vedo com’erano qualche nanosecondo fa – devo dare alla luce che proviene da loro il “tempo” di arrivarmi – , oppure li immagino come saranno “dopo”, ma non li posso vedere mai come sono “ora”).

Per avvicinarci a dimostrare che non esiste se non una sola coscienza alla volta si immagini il seguente esperimento mentale (apparentemente pulp).

Dividiamo una persona (viva) verticalmente – dopo averle praticato un’adeguata anestesia, ovviamente – lungo l’asse della colonna vertebrale in modo tale da ricavare dalle due metà così ottenute due persone vive e (una volta risvegliate dall’anestesia) coscienti (si immagini che gli sviluppi dalla medicina e delle tecnologie bioniche consentano di sostituire al lato organico amputato un semi-corpo bionico equivalente che consenta di preservare le funzioni vitali fondamentali).

Se questa persona fossi tu, “chi” saresti dopo la divisione? La persona di destra o quella di sinistra? Entrambe, certo, ma non potresti simultaneamente essere cosciente “in” entrambi i corpi (supponiamo che la metà di destra voli a New-York con la sua protesi bionica di sinistra e la metà di sinistra voli a Nuova Delhi con la sua protesi bionica di destra). Evidentemente “tu” saresti (rimarresti) uno solo dei due (supponiamo la metà di destra), mentre l’altro “te” sarebbe per te, appunto, un altro.

Poiché le due parti sono in ipotesi del tutto equivalenti (non c’è una ragione particolare per cui “tu” debba restare – supponiamo – nel corpo “di destra”), questo comporta alcune curiose conseguenze: da sempre “tu” sarai stato (supponiamo) il tuo lato destro; ossia ciò che è accaduto (la divisione chirurgica) non sembra che sia potuto essere alcunché di casuale, ma sembra essere stato per così dire, “già (in)scritto” nell’eternità virtuale della tua coscienza; la coscienza, infatti, non può non essere sempre solo “una” (la “tua”), del tutto indipendentemente dagli eventi che le occorrono; d’altra parte, verosimilmente un’apparentemente altra coscienza (di cui, però, tu non sei affatto attualmente cosciente) vive nel tuo lato sinistro e ha i ricordi di ciò che tu stesso hai vissuto nel corpo originario prima della divisione.

  • Questo esperimento mentale ricorda da vicino gli esperimenti effettivamente compiuti su persone alle quali erano stati separati gli emisferi sinistro e destro del cervello, rescindendo il corpo calloso. Si è visto, in questi casi di c.d. split-brain, che i “soggetti” interessati si comportavano come se fossero “abitati” da due distinte “coscienze”. Ad es. una parte di di una persona mostrava di riconoscere alcune parole visibili al solo occhio destro, mentre l’altra parte della stessa persona mostrava di riconoscere parole visibili al solo occhio sinistro (cfr. Hoffman, pp. 29-32). Ciò suggerisce che si possano dare due coscienza contemporaneamente.

Al contrario questi esperimenti suggeriscono proprio quello che suggerisce l’esperimento mentale che ti ho proposto. Immagina di essere una di queste persone soggette alla rescissione del corpo calloso. Quando fosse mostrato un oggetto al tuo occhio sinistro, “tu”, proprio “tu” lo riconosceresti o meno? Si dànno due possibilità alternative: o lo riconosceresti e ne potresti parlare attingendo alle risorse linguistiche del tuo emisfero cerebrale sinistro (connesso con l’occhio destro); oppure non lo vedresti e non ne potresti parlare. A vederlo sarebbe un’altra “persona” in te stesso di cui tu non saresti affatto cosciente, come dimostrano appunto gli esperimenti che tu hai evocato (ciascuna delle due “entità” nelle quali viene diviso un soggetto dopo la resecazione del corpo calloso non comunica direttamente con l’altra).

N. B. La dottrina della trasmigrazione dell’anima trova qui il proprio fondamento fenomenologico.

Tutto questo suggerisce, per la precisione, che un’eterna e unica coscienza “cosmica” può bensì moltiplicarsi, per così dire, “per gemmazione” in innumerevoli occorrenze di se stessa, ma in modo tale da non essere mai simultaneamente presente in più di una. Essa “inanella”, per così dire, nel suo filo, il tuo corpo intero, quindi il tuo lato di destra, e inanella, anche,  di nuovo (oltre a innumerevoli altre “creature”), il tuo corpo intero, quindi  il tuo lato di sinistra (senza che in nessuna di queste “occorrenze”, separate e fluenti in un tempo proprio, si “ricordi” dell’altra o possa percepirla).

Oppure supponi che siano nati non uno, ma due universi perfettamente identici in tutto e per tutto e non comunicanti tra loro. In uno dei due ci sei tu, nell’altro c’è una persona identica in tutto e per tutto a te. Tu, però, puoi essere cosciente soltanto in un universo, nel nostro, non in quello gemello, nel quale c’è bensì un altro, identico a te, che, certo, è cosciente, ma del quale tu non sei cosciente (come non lo sei di me e degli altri miliardi di esseri umani – per tacere di altri viventi eventualmente dotati di coscienza – presenti nel nostro universo). Poiché i due universi sono in tutto e per tutto identici, non vi è nulla che spieghi perché tu sia cosciente di esistere qui e non altrove. Infatti, non essendovi alcuna differenza, per ipotesi, tra i due universi, non vi è alcun tratto nel nostro che possa spiegare perché tu sia cosciente di esistere qui e ora: il nostro stesso universo, infatti, a parità di tutto, potrebbe contenerti senza che tu abbia una coscienza “in prima persona”: potresti, infatti, avere una coscienza che come quella che tu attribuisci agli altri, ma che non sperimenti direttamente. Dunque la ragione per cui tu sei cosciente di esistere qui e ora rimane oscura (non può esserci una spiegazione semplicemente fisica di questo fenomeno).

Se la coscienza è una sola, quella che chiamiamo coscienza, considerandola per lo più un attributo di questo o a quell’organismo vivente (me o te), propriamente è la coscienza che l’universo ha di se stesso o, identicamente, è il modo in cui l’universo appare a se stesso qui e ora (in una determinata prospettiva temporale e spaziale).

[Chi è, dunque, cosciente di che cosa? O, inversamente, a chi tutto si manifesta o appare qui e ora?

Modernamente si suppone che la coscienza sia un attributo, neppure essenziale (può cessare e riprendere dopo il sonno o una qualsiasi altra “perdita di conoscenza”), di un organismo vivente, a parità di tutto il resto (ciò che esiste non muterebbe per il fatto che se ne sia o meno coscienti).

Sebbene la coscienza sia essenzialmente legata alla vita (vedi oltre), essa, in quanto una, è sempre solo coscienza che l’universo ha di se stesso o, come si può anche dire, il modo in cui (tutto) ciò che è c’è.]

  • Ma “io” che “fine faccio”? Se esiste “ogni volta” solo una coscienza e questa – supponiamo – è la tua, “dove” sono io? O “quando” sono io?

Immagina un “film” come questo.

Se o quando si dà la “mia” coscienza dell’universo, per cui in una posizione nel cosmo di coordinate a, b, c ecc.  l’universo si riflette ed assume determinate caratteristiche esplicate (certe dimensioni, certe proprietà ecc.), si dà una prospettiva (anche in senso letterale) in cui tu esisti solo come “oggetto” di cui faccio esperienza e a cui attribuisco una “coscienza” per analogia con quella che sperimento in me stesso (ma, in effetti, senza farne affatto esperienza). Poiché si dà coscienza solo se se ne ha esperienza, la coscienza che ti attribuisco, in questo “primo” universo, è effettivamente illusoria, anche se fa parte del gioco.

Se o quando si dà la “tua” coscienza, le parti si invertono.

Di fatto si dà soltanto una coscienza alla volta, come si dà un universo alla volta.

Tutto si ripete all’infinito da infinite prospettive, ma non si danno mai contemporaneamente prospettive (coscienze) diverse anche solo per il fatto che il “tempo” si dà solo come dimensione interna a ciascuna prospettiva (esso è relativo, interno alla coscienza, non assoluto, esterno).

Lo aveva perfettamente colto, del resto, Leibniz:

E così come una medesima città, se guardata da punti di vista differenti, appare sempre diversa ed è come moltiplicata prospetticamente, allo stesso modo, per via della moltitudine infinita delle sostanze semplici, ci sono come altrettanti universi differenti, i quali tuttavia sono soltanto le prospettive di un unico universo secondo il differente punto di vista di ciascuna monade.[Monadologia, 57]

Lo ribadisce, di nuovo, Erwin Schroedinger (di cui cito ora per esteso il passo già evocato all’inizio di questa pagina):

La sola possibilità è di accettare l'esperienza immediata che la coscienza è un singolare di cui non si conosce plurale; che esiste una sola cosa, e ciò che sembra una pluralità non è altro che una serie di aspetti differenti della stessa cosa, prodotta da un'illusione (il maya indiano); la stessa illusione è prodotta da una serie di specchi, e allo stesso modo Gaurisankar e il monte Everest risultano essere la stessa vetta vista da differenti vallate.
[cit. in Odifreddi, Il Vangelo secondo la scienza]

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di Giorgio Giacometti