L’organismo vivente è una forma del tutto

chiocciola

Il vivente, come organismo, è lo stesso universo, è un tutto senza confini che non siano permeabili (la cute o la membrana cellulare). Inversamente non c’è universo che non coincida con un organismo vivente.

Ciò che soggettivamente appare come oggetto della percezione di un vivente oggettivamente è una nicchia ecologica con la quale il vivente è così intrecciato (accoppiamento strutturale) da implicarla in se medesimo.

Possiamo evocare al riguardo la nozione di “ecological organism-niche unity” introdotta dalla tradizione dell’autopoiesi  (cfr. ad es. l’articolo di H. Maturana, X. Dávila, X, S. Ramírez, Cultural-Biology: Systemic Consequences of Our Evolutionary Natural Drift as Molecular Autopoietic Systems. “Off. J.  Assoc. Found. Sci. Lang. Cogn.”, 2016, 21, pp. 631–678)

Tutti i viventi, come organismi, sono almeno embrionalmente coscienti di se stessi come universi, in modi diversi a seconda della loro complessità relativa.

Ad esempio l’universo di un’ameba potrebbe consistere in differenze di calore o in diverse forme di irritabilità, mentre il nostro universo è costituito da innumerevoli livelli di profondità, che comprendono anche p.e. i quark o la radiazione cosmica di fondo. Nondimeno si tratta sempre e comunque di universi coerenti con il loro modo di venire percepiti, di diversi modi nei quali l’universo diviene trasparente a se stesso (con il necessario corredo di indeterminazione).

Come apparirebbe l’universo a un’ameba, se essa fosse cosciente? Si può supporre che esso apparirebbe altrettanto semplice e indifferenziato come lo è la stessa ameba (vi si distinguerebbero a fatica regioni calde e fredde, umide e secche e poco altro). Si può supporre che l’universo appaia tanto più complesso quanto più complesso è l’organismo a cui appare. All’uomo, ad esempio, contraddistinto da un cervello organizzato con miliardi di nodi sinaptici l’universo appare, non solo e non tanto articolato in miliardi di galassie, quanto e soprattutto contraddistinto da diversi livelli di profondità (ordini di grandezza), ampiamente articolati e strutturati, dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo.

Perché l’universo prende coscienza di sé o si manifesta negli organismi viventi, verosimilmente in modo tanto più ricco, limpido e completo quanto più tali organismi sono sviluppati e articolati?

Il vivente, in quanto unità autopoietica, è organizzato cognitivamente in modo tale da fungere da “specchio” del tutto, in quanto esso stesso è un tutto (monade), anzi è l’universo stesso in una particolare prospettiva (questo perché non c’è un confine netto tra il vivente e il suo ambiente con cui intrattiene una relazione osmotica).

Per una [sorta di] risonanza morfica (come nelle trasmissioni radio) il tutto, che è uno, si riflette più compiutamente nelle parti (sorta di antenne) o, meglio, nei modi, in cui esso si articola, che meglio lo imitano o vi corrispondono.  Ecco perché il nostro cervello è così straordinariamente simile all’universo come ci appare.

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di Giorgio Giacometti