L’identità di reale e razionale

reale_razionaleL’identità, affermata da Hegel, di reale e razionale può essere compresa sotto diverse prospettive.

  1. In senso forte l’identità di reale e razionale è intesa da Hegel in modo idealistico, ossia come riduzione di tutta la realtà a razionalità. La tesi idealistica, inaugurata da Fichte, ma fatta propria anche da Hegel, è, come sappiamo, essenzialmente la seguente: la “cosa in sé”, estremo baluardo di realtà non soggettiva, non esiste se non come “concetto” della nostra mente Tutta la realtà, in ultima analisi, si risolve in nostre sensazioni e in nostri concetti. Applichiamo l’idealismo, così inaugurato, alla natura: le leggi fisiche sono costrutti dello Spirito e non esistono se non nella nostra mente. Applichiamolo alla società: lo Stato non esiste se non nella mente degli uomini che lo concepiscono (infatti non ha forma né colore, non è un “oggetto” fisico, in tanto esiste, in quanto è pensato).
  2. Ma per Hegel il reale è razionale anche nel senso che ciò che si verifica realmente (ad esempio sul piano storico) ha sempre dalla sua una ragione, e, quindi, può essere giustificato. Anche la Natura obbedisce a leggi razionali, che “noi” siamo in grado di concepire (cioè, “lo Spirito” è in grado di concepire), mentre essa stessa ne è apparentemente inconsapevole. La società, altresì, è regolata da leggi positive (politiche e morali), che hanno una propria intima ragion d’essere, che noi non semplicemente conosciamo ma rendiamo vere realizzandole (ma restando sempre singolarmente liberi di trasgredirle, a differenza di quello che può fare una pietra verso le leggi naturali).

Questo concezione di Hegel è stata imputata di “giustificazionismo”: Hegel, affermando che il filosofo deve comprendere (nella sua intima razionalità) e non giudicare il reale (“la nottola di Minerva si leva sul far del crepuscolo”), giustificherebbe le peggiori evenienze storiche (la persecuzione delle streghe e degli eretici ecc.). Secondo Hegel, tuttavia, il “positivo” non emergerebbe se non dalla negazione del negativo: dunque quest’ultimo è necessario al progresso storico (“non tutto il male viene per nuocere”).

Nella storia opererebbe, inoltre, un'”astuzia della ragione” che farebbe sì che lo Spirito affermerebbe se stesso (i propri “valori”) attraverso azioni dirette a tutt’altro scopo (nella mente dei loro autori). Ad esempio Napoleone avrebbe agito per ambizione personale, ma, inconsapevolmente, avrebbe diffuso in Europa i valori dell’illuminismo.

di Giorgio Giacometti