Il criterio dell’evidenza e la nuova nozione di “idea”

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Ma come verificare le premesse del procedimento razionale in cui consiste il metodo cartesiano?

In una prospettiva classica, p.e. platonica e aristotelica, queste premesse sembrano destinate a rimanere semplici ipotesi, a meno che un’intuizione intellettuale o un atto di intelligenza (di cui, però, non tutti sarebbero capaci) non riuscisse a riconoscervi principi (o assiomi).

Funzione analoga a tali atti di intellezione sembrano assolvere, in Cartesio, quelle che egli chiama idee chiare e distinte. Sono esse a garantire quell’evidenza (razionale, non empirica) che costituisce uno dei 4 passaggi fondamentali del metodo.

Al riguardo va fatta la seguente fondamentale precisazione. L’idea, a differenza che per Platone, è per Cartesio ciò che è per noi ancor oggi: non un’essenza eterna, ma un’immagine della mente, cioè un concetto.

Niente di strano: poiché il fondamento caratteristicamente moderno della conoscenza (se non dello stesso essere, come sarà poi nell’idealismo), ovvero il suo “subiectum“, siamo noi stessi (già Galileo aveva paragonato il grado di evidenza a cui la mente umana può pervenire a quello a cui perviene la stessa mente di Dio). Quelle idee, dunque, che i (neo)platonici immaginavano “abitare” nell’intelligenza divina (la seconda ipostasi di Plotino, dopo l’Uno o il Principio assoluto) secondo Cartesio “abitano” la nostra mente umana (immagine di quella divina).

Cartesio distingue in particolare tra

  1. Idee innate: di ragione, legate alle regole logiche e geometriche;
  2. Idee avventizie: derivate dall’esperienza;
  3. Idee fattizie: frutto di immaginazione, fantasia;

Di queste idee solo le innate, in quanto chiare e distinte, hanno i caratteri dell’evidenza (originaria, o conseguita per dimostrazione) che permette di fondarvi il sapere.

N. B. L’integrazione di evidenza, come criterio della conoscenza, e procedimento razionale (analisi e sintesi) rappresenta un superamento della critica scettica di ogni conoscenza possibile (tropi di Agrippa). Infatti, il regresso all’infinito nella catena della dimostrazioni, denunciato dagli scettici, appare interrotto all’altezza degli assiomi autoevidenti dai quali tutto può essere dedotto ma che, in quanto evidenti, non hanno bisogno di essere dedotti da nient’altro. Il criterio dell’evidenza consente di evitare anche di passare attraverso le dimostrazioni per assurdo e le loro aporie.

L’evidenza di cui si parla è, tuttavia, razionale, non empirica, altrimenti sarebbe soggetta alla variazione e all’errore (non sfuggirebbe a quello che Cartesio denomina “dubbio metodico“).

Inoltre, le idee innate, contraddistinte da tale evidenza (“chiarezza e distinzione”), non solo, secondo Cartesio, “salverebbero i fenomeni”, ma ci farebbero conoscere la realtà stessa dietro le apparenze; una realtà costituita dalle qualità primarie o oggettive dei corpi (le grandezze fisico-matematiche fondamentali, come spazio, tempo, peso e le loro combinazioni), di cui quelle secondarie o soggettive (empiriche, apparenti) sono derivate (p.e. colore, suono, odore ecc.).

Cartesio può quindi sviluppare il suo nuovo metodo scientifico su basi soggettivistiche. Ciò che mi appare evidente – o è risultato della combinazione (composizione) matematica di verità evidenti – è vero, ossia non solo è coerente ai miei occhi (nella mia mente), ma corrisponde punto per punto a qualcosa di reale in natura (altrimenti Dio mi avrebbe fornito di una ragione ingannevole, il che è assurdo).

Per dimostrare quest’ultima tesi (la logica-matematica con cui si articola il metodo avrebbe una valenza ontologica, si riferirebbe alla realtà stessa) Cartesio deve superare il celebre dubbio iperbolico, grazie al “cogito“.

 Con ciò Cartesio giustifica la trasformazione tipicamente moderna di quelle che per i Greci erano semplici ipotesi in principi (auto-evidenti) sui quali fondare il solido edificio della nuova scienza (principio di inerzia, principio della conservazione della quantità di moto, principio di conservazione della materia ecc.). Per ritornare a un approccio più critico alla scienza occorre attendere l’epistemologia (filosofia della scienza) del Novecento.

 

di Giorgio Giacometti