Questioni di metodo in Galileo

Il sistema copernicano presenta diverse “incongruenze”, reali o presunte: mancata variazione periodica di parallasse stellare, mancata previsione di orbite planetarie ellittiche, mancati effetti percepibili della rotazione terrestre.

galileoGalileo (su cui è possibile fruire di questo film di Liliana Cavani) suffraga (difende) il sistema copernicano, a cui aveva “intuitivamente” aderito fino dagli anni ’90 del Cinquecento (come dimostra una celebre lettera a Keplero del 1597) essenzialmente in due modi:

  1. confutando il sistema aristotelico-tolemaico, attraverso le osservazioni rese possibili dal cannocchiale (1610, Sidereus Nuncius, cfr. anche sulla fasi di Venere la lettera a Paolo Sarpi del 1611)
  2. argomentando la possibilità della rotazione terrestre, attraverso l’esempio della nave (cioè della mancata percezione dell’eventuale moto rettilineo uniforme di una nave, 1632, Dialogo sopra i due massimi sistemi)

Come si può notare, Galileo non porta prove inconfutabili a favore dell’eliocentrismo, né propone esperimenti cruciali in tal senso, ma si limita a mostrarne la possibilità, accumulando una serie di indizi a favore.

Senza dubbio il sistema copernicano, almeno entro certi limiti (ignorando, ad es., il problema della mancata variazione di parallasse stellare e dell’ellitticità delle orbite planetaria), salva i fenomeni (e, dopo le scoperte di Galileo, mediate dal cannocchiale, li salva senz’altro meglio del sistema rivale, quello aristotelico). Ma Galileo non si accontenta di considerarlo una mera ipotesi matematica. Egli sembra attribuirgli fin dall’inizio un significato fisico.

Interessante è anche il fatto che Galileo “sdogana” l’uso degli strumenti “meccanici”, come il cannocchiale, disprezzati da diversi filosofi antichi (ma adoperati già ampiamente da “scienziati” come Archimede o Erone), nella ricerca scientifica.

Tuttavia anche qui va chiarito che il ricorso a questi strumenti è scientifico solo se è “critico”: se ricorro al cannocchiale per scrutare il cielo, devo sapere anche di ottica e non solo di astronomia. La cautela nel ricorso a strumenti che modificano la percezione dei sensi ha quindi un suo fondamento epistemologico, che, tuttavia, non dovrebbe impedire, alle giuste condizioni, il ricorso a tali strumenti.

A Galileo si attribuisce (erroneamente?) un metodo che può essere rappresentato come segue:

metodo-galileiano

Si tratta di un’interpretazione ottocentesca.

Si può anche notare come Galileo non applichi, almeno nella sua difesa dell’eliocentrismo, il metodo che gli viene solitamente attribuito, in quanto le osservazioni che compie si limitano a confutare il sistema aristotelico (mostrando l’affinità apparente tra cielo e terra), senza poter provare il sistema copernicano, semmai suggerendone la validità su basi indiziarie.

Inoltre l’argomento a favore della rotazione terrestre (che neppure prova il sistema copernicano, se non come possibile) è fondamentalmente logico, prescinde da osservazioni (che, anzi, testimonierebbero l’immobilità della Terra) ed esperimenti, e si basa sul presupposto della relatività del moto, grande intuizione di Galileo, che, tuttavia, il Nostro dà per scontata (e alla quale si lega il principio di inerzia).

In effetti possiamo rinvenire in Galileo piuttosto un approccio composito: in celebre brano del Dialogo sopra i massimi sistemi, Galileo ammette tranquillamente che una dimostrazione vera e propria debba essere a priori, cioè prescindere dall’esperienza, per avere valore assoluto (fisico in termini greci); tuttavia, l’indagine a posteriori, o empirica, è spesso, se non sempre, una guida utile per trovare quei “principi” (inizialmente solo semplici ipotesi) che, però, per essere riconosciuti tali, dovranno essere fondati altrimenti che sensibilmente.

Galileo insomma, “sa” che una “vera” dimostrazione non può avere fondamento empirico, ma deve essere a priori, come gli hanno insegnato Platone e Aristotele. Tuttavia, ritiene che in molti casi sia utile partire dall’esperienza, a posteriori, salvo poi consolidarla “dimostrativamente”.   Questo “consolidamento”, tuttavia, se deve avere valore “filosofico” (o “dialettico”, o “fisico” nel lessico di matrice greca ancora adoperato da Galileo) e non ridursi a una mera ipotesi “matematica”, non deve limitarsi a “salvare i fenomeni”, ma deve essere in qualche modo appunto a priori, logico. Lo stesso Copernico, secondo Galileo, come secondo Giordano Bruno, – cfr. quanto Galileo scrive a Pietro Dini – non può che avere inteso fisicamente e non solo matematicamente il suo modello di cielo.

Di fatto, Galileo appare guidato da criteri essenzialmente razionali, pur controbilanciati dall’esigenza, tipicamente platonica, di controllare che le ipotesi introdotte siano aderenti ai fenomeni

Questo approccio può essere schematizzato come segue:

metodo-di-galileo

Galileo, cioè, “si innamora” di ipotesi (il sistema copernicano, il principio di relatività del moto ecc.) per la loro eleganza matematica o per altri motivi e cerca di fondarle razionalmente anche con esperimenti immaginari (per assurdo). Per convincerne gli avversari si appella a comuni esperienze (come quella della percezione del moto di una nave da parte di chi ne è a bordo) e, quando serve, a osservazioni (come quelle effettuate con il cannocchiale) o al “cimento” o esperimento (proprio o riferito da autori antichi).

Senza dubbio rifiuta di credere a un “mondo di carta“. Solo le “sensate esperienze” o le “matematiche dimostrazioni” per lui hanno valore.

Consideriamo il famoso “esperimento immaginario”, riportato nell’ultima grande opera di Galileo, i Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze,  con cui Galileo avrebbe dimostrato che due corpi, di peso diverso, rilasciati nello stesso istante, raggiungono il suolo nello stesso istante (in assenza di resistenze).

L’esperimento è immaginario perché era impossibile ai tempi di Galileo (ma, in fondo, anche oggi) eliminare del tutto la resistenza (facendo il vuoto). Si tratta, appunto, di una dimostrazione per assurdo.

caduta-graviSe uniamo (immaginariamente) i due corpi con una funicella dal peso trascurabile e proviamo a negare la tesi asserendo, ad esempio, che il corpo più pesante, come pensava Aristotele e i più sono intuitivamente portati a credere, cada più velocemente del corpo più leggere cadiamo in un’assurdità:

  1. i due corpi uniti, in quanto corpo unico il cui peso è la somma dei corpi iniziali (dunque maggiore del peso di ciascuno dei due), dovrebbero cadere a una velocità maggiore del corpo più pesante;

  2. ma se li consideriamo ancora come due corpi distinti dobbiamo altresì supporre che il più leggero, essendo meno veloce, legato al più pesante, più veloce, lo rallenti, sicché i due corpi uniti dovrebbero cadere a una velocità inferiore a quella del corpo più pesante.

Ma siccome è assurdo che i due corpi uniti cadano a due velocità diverse la tesi che volevamo negare (il principio di Galileo) deve essere necessariamente vera.

È un esempio di quelle che Galileo chiama “matematiche dimostrazioni”.

Sappiamo che in altri casi (p.e. per dimostrare il principio di inerzia) Galileo adotta “argomenti ex suppositione” (cioè “per ipotesi”) a cui, però, rivendica un valore assoluto, a prescindere dall’esperienza (spesso ingannevole). La dimostrazione del principio di inerzia è, infatti, necessariamente “razionale” (basata su un ragionamento ispirato dal comportamento di una sfera lasciata cadere lungo un piano inclinato con un angolo via via minore), non essendo possibile osservare in un tempo infinito il moto inerziale di un corpo lungo una retta infinita su una superficie del tutto priva di attrito e attraverso un mezzo del tutto privo di resistenza.

Galileo, del resto, prende le mosse da una ben precisa visione filosofica dell’universo, di matrice in parte pitagorica, in parte democritea, come si può evincere da celebri pagine del Saggiatore (1623).

Infine, Galileo è perfettamente consapevole (come Aristotele, si direbbe), che, nel mondo “reale” (“terrestre”, direbbe Aristotele), vi sono “interferenze” tali che i moti non si verificano mai esattamente come sono matematicamente previsti in teoria. Galileo propone di “fare astrazione” da queste interferenze per studiare i moti “in astratto”, salvo poi, nelle applicazioni pratiche, tener conto delle “interferenze” su basi meramente empiriche. Questo significa che, paradossalmente, Galileo non mira a “salvare i fenomeni” che in modo approssimato, fidandosi quasi più del ragionamento matematico che dell’osservazione empirica (non si dimentichi, del resto, che l’esperienza dei sensi suggerisce che Terra sia immobile al centro dell’universo!).

Come stanno, dunque, le cose?

È vero che un elemento di novità sembra rappresentato dal “cimento”, cioè dall’esperimento a cui, a volte, Galileo ricorre (“sensate esperienze”), accanto all’osservazione (p.e. degli astri).

Non bisogna dimenticare al riguardo, però, che:

  1. spesso Galileo sembra considerare l’esperimento qualcosa di aggiuntivo, diretto a persuadere coloro per i quali la dimostrazione matematica appare insufficiente (una sorta di prova da portare davanti al tribunale dei suoi inquisitori reali o potenziali, più che davanti al tribunale della ragione) oppure ad aiutarlo a cogliere la verità in forma, tuttavia, non ancora dimostrativa;

  2. la stessa tradizione platonica esigeva che le ipotesi matematiche introdotte a scopo esplicativo “salvassero i fenomeni” (cfr. teoria di Eudosso), dunque fossero compatibili con le osservazioni;

  3. diversi esperimenti di Galileo o sono immaginari oppure sono citazioni di esperimenti effettivamente realizzati in età ellenistica dalle fonti di Galileo (Erone ecc.), almeno secondo la tesi di Lucio Russo.

Galileo, inoltre, insiste sul valore “fisico” e non puramente “matematico” delle sue “modellizzazioni”, non diversamente, del resto, da Aristotele.

È proprio questo suo cosiddetto “realismo” a condurlo, durante il processo del 1633, allo scontro con l’autorità ecclesiastica (Bellarmino gli aveva suggerito, nel 1616, di limitarsi ad assumere il “sistema copernicano” come mera ipotesi matematica, secondo la teoria platonica della “linea della conoscenza”). Possiamo, quindi, arguire che Galileo ritenesse di poter dimostrare le sue ipotesi “dialetticamente” e non solo “matematicamente”, ricorrendo, appunto, ai cosiddetti “esperimenti immaginari” (che spesso non sono altro che, più o meno occulte, “dimostrazioni per assurdo”).

Che possiamo dire? Galileo è effettivamente riuscito a dimostrare il sistema copernicano? In effetti egli ne ha dimostrato la possibilità e recato numerosi indizi a favore.

Per la definitiva dimostrazione dell’ipotesi che la Terra giri intorno al Sole (sia pure lungo un’orbita ellittica, come voleva Keplero, e non circolare, come pensavano Copernico, Bruno e Galileo) bisogna aspettare la misurazione della sia pur piccolissima variazione di parallasse stellare determinata appunto dalla rivoluzione della Terra intorno al Sole, ad opera di Bessel, nel 1838.

Aveva dunque ragione Bellarmino, come ha suggerito recentemente il filosofo della scienza Paul Feyerabend, a consigliare a Galileo di limitarsi, prudentemente, in assenza di prove, a sostenere il sistema copernicano soltanto sul piano matematico, senza impegnarsi sulla sua verità fisica (realismo)? Forse sì, se non fosse che Bellarmino non forniva  a Galileo questo suggerimento per ragioni epistemologiche o scientifiche, ma perché convinto del valore letterale di certi passi biblici (in particolare del libro di Giosuè) da cui sembrava potersi ricavare che fosse il Sole a girare intorno alla Terra e non viceversa.  Paradossalmente, dunque, da un lato Galileo avrebbe forse fatto bene a non scambiare un’ipotesi, quella copernicana, per una verità certa, dall’altro lato la Chiesa del suo tempo avrebbe fatto altrettanto bene a non scambiare un’interpretazione della Bibbia (in questo caso letterale) per una verità teologica, ignorando secoli di interpretazioni allegoriche (ispirate p.e. a Origene), laddove il senso letterale fosse stato trovato non plausibile, come lo stesso Galileo sosteneva che si dovesse fare nelle sue celebri “lettere copernicane” (in particolare nella lettera a Maria Cristina di Lorena e nella lettera a don Benedetto Castelli).

Naturalmente la Chiesa avrebbe fatto anche bene a non ostacolare la diffusione degli scritti di Galileo e a non processare lo stesso Galileo per le sue opinioni scientifiche, anche se eventualmente erronee, minacciandolo addirittura di tortura. Tuttavia, bisogna ricordare che nell’epoca della Controriforma e delle guerre di religione (ma in effetti anche prima, durante il Medioevo), la diffusione di un’opinione eretica veniva considerata più pericolosa di quanto oggi si ritenga pericolosa la diffusione di una falsa informazione in campo sanitario (ad esempio fake news sulla presunta nocività di certi vaccini): infatti, se false informazioni sanitarie possono compromettere la salute del corpo, false informazioni teologiche e filosofiche potevano compromettere – così almeno si credeva – la salute dell’anima (e la sua salvezza ultraterrena).

Cfr,  su Galileo questa breve scheda video. quest’altra un po’ più lunga e parte di questa puntata di Visionari.

di Giorgio Giacometti