Dal fenomeno all’oggetto

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Secondo Kant, dunque, il processo della conoscenza muove da “qualcosa” di inconoscibile, la “cosa in sé“, che, in modi sconosciuti, colpisce i nostri sensi e produce “sensazione“. Questa, tuttavia, per venire percepita deve trasformarsi immediatamente in un fenomeno che noi percepiamo all’interno di una sorta di “lavagna” (o “monitor”) spaziotemporale (le intuizioni pure di spazio e tempo), che siamo noi a generare e mediante il quale decodifichiamo e organizziamo in sequenze e immagini gli impulsi provenienti dall’esterno.

Dal fenomeno percepito dai sensi, si distingue, poi, l’oggetto che è costruito dall’intelletto, mediante particolari funzioni che Kant, ispirandosi ad Aristotele, denomina “categorie“. Queste (ad. es. quella di “sostanza e accidente”, che presiede alla struttura grammaticale “soggetto-predicato”) ci permettono di esprimere giudizi come: “La mela è sul tavolo”, “ritagliando”, per così dire, una sostanza (la “mela”) e un “accidente” (“essere sul tavolo”) da un insieme di fenomeni percepiti altrimenti indistinti.

Insomma, attraverso le intuizioni pure della sensibilità (come Kant chiama “spazio” e “tempo” soggettivi) si percepisce il mondo come insieme di fenomeni cangianti, mentre con le categorie vi isolano liberamente uno o più oggetti.

Seguiamo, ad esempio, ordinatamente, come si “costituisce” l’oggetto “fiore” con le sue proprietà e relazioni. Possiamo considerare una serie di “fasi”:fiore

  1. In primo luogo dobbiamo ammettere che qualcosa “esista” fuori di noi, qualcosa la cui sensazione genera nella nostra “mente” il fenomeno “fiore”: questo qualcosa, ancora privo di forma, dimensioni ecc., è la cosa in sé, di cui, però, non sappiamo nulla.
    Questo “qualcosa” deve esistere, come fonte delle nostre sensazioni (le “impressioni” di Hume), perché, come già aveva notato Hume, esse non possono essere frutto della nostra volontà (le “idee” che siamo in grado di fantasticare hanno un grado di evidenza molto minore degli oggetti che siamo “costretti” a percepire: a riprova dell’origine “esterna” delle nostre impressioni).
  2. In secondo luogo possiamo chiamare fenomeno l’immagine tridimensionale del nostro “fiore”, così come ci è restituita dalle forme pure (o a priori) dello spazio e del tempo. Si tratta di forme trascendentali (non metafisiche), perché sono condizione di possibilità dell’esperienza: se non si “riempiono” di materia sensoriale sono inutili (come un sistema di riferimento vuoto o una grammatica senza linguaggio).
  3. In terzo luogo si costituisce il vero e proprio oggetto “fiore” (da distinguere dalla cosa in sé o noumeno), così come esso è configurato in giudizi (corrispondenti a “pensieri”) quali: “il fiore è violetto” o “il fiore è alto 10 cm”: si tratta di una costruzione spontanea dell’intelletto (ossia della ragione in quanto si applica ai sensi) che seleziona liberamente certi elementi dei fenomeni, applicando loro le “categorie” e generando giudizi.

Si noti che mentre la sensibilità è ricettiva, perché non possiamo fare a meno di vedere quello (cioè il fenomeno) che vediamo, l’intelletto (ossia la ragione applicata all’esperienza) è spontaneo, perché possiamo organizzare liberamente il materiale empirico mediante il giudizio.

N. B. Kant chiama indifferentemente rappresentazione ciò che viene codificato sia dalla sensibilità (fenomeno) sia dall’intelletto (oggetto)

Io ho, insomma, una serie di immagini nello spazio e nel tempo e le interpreto tramite l’intelletto. Tale interpretazione genera gli oggetti empirici. Questi oggetti, tuttavia, finché restano empirici, possono essere costruiti diversamente da persone diverse, a causa della spontaneità dell’intelletto.

In quel fenomeno che io leggo come “famiglia”, ad esempio, tu riconosci “tre persone”. Tu attribuisci al moto della pallina A la causa del moto della pallina B; a me invece sembra che la causa sia stata un colpo di vento ecc.

di Giorgio Giacometti