Il “cogito” cartesiano

autopensiero

Cartesio, per fondare il nuovo sapere scientifico e per sfuggire al sospetto di cedere a una qualsivoglia autorità, introduce, dunque, il suo famoso metodo.

Tale metodo,  grazie all’appello a un’evidenza di ordine razionale, gli consente di risolvere il dubbio detto appunto metodico, concernente l’attendibilità dei sensi, di cui anche i Greci dubitavano perché considerati ingannevoli. Le idee chiare e distinte, p.e. le idee matematiche, corrisponderebbero alla realtà stessa delle cose.

Ma chi ci garantisce che le cose stiano proprio così? Se si trattasse ancora e sempre di “ipotesi” come nella prospettiva platonica e scettica?

Con questo dubbio iperbolico Cartesio giunge a dubitare anche dei contenuti della sua stessa ragione, introducendo l’ipotesi del demone ingannatore. Come possiamo escludere che un demone astuto ci inganni fin dalla nascita facendoci credere vero ciò che ci appare evidente senza essere, tuttavia, reale?

Con questo dubbio iperbolico Cartesio sembrerebbe reintrodurre la distinzione platonica tra un sapere ancora ipotetico (quello matematico), internamente coerente, ma di cui è lecito dubitare che “corrisponda” biunivocamente alla “realtà esterna”, e un sapere assoluto (quello “filosofico”). In effetti, il dubbio di Cartesio riguarda la questione se la geometria e le sue leggi, che a noi appaiono incontrovertibili, si applichino realmente alla natura o solo ipoteticamente e ingannevolmente.

cogitoLa soluzione del dubbio iperbolico è impostata a partire dalla celebre scoperta: cogito ergo sum (penso dunque sono). Di una cosa non posso dubitare, del fatto di pensare e, dunque, di essere una cosa che pensa.

N.B. Notare la modernità rivoluzionaria di questa scoperta. L’unica realtà che sfugge al dubbio (cioè che non può essere un semplice fenomeno) non è come per gli antichi Dio, il Principio, l’Idea platonica, l’Essere ecc., ma lo stesso soggetto filosofico. Al di sopra delle “matematiche”, quindi, non c’è il Principio che posso cogliere dialetticamente o altrimenti, ma ci sono… io stesso!

Possiamo rilevare che questa “scoperta” può essere vista come un’estremizzazione dell’antropocentrismo rinascimentale, secondo cui ciascuno di noi è, in qualche modo, il Centro di un universo infinito (Cusano,  Bruno). La differenza, tuttavia, consiste principalmente in questo: nell’approccio rinascimentale la scoperta del Centro in noi (o che noi stessi siamo) non esclude che il Centro sia anche ovunque e in Dio, mentre secondo Cartesio non c’è nulla di più certo della mia esistenza.

Come si passa dal “cogito” al superamento del dubbio iperbolico e alla giustificazione di tutto l’edificio del nuovo sapere (fisico-matematico) a cui Cartesio aderisce e che egli stesso, come scienziato, contribuisce a sviluppare?

In effetti, il rischio che il pensiero moderno corre, da Cartesio in poi, è quello di sfociare in una forma di radicale solipsismo (la dottrina secondo la quale “solo io esisto”, che ciascuno di noi può enunciare per se stesso), dottrina tanto indimostrabile, quanto inconfutabile. L’esistenza del mondo esterno e degli altri potrebbe essere frutto dell’inganno del demone malvagio che mi farebbe credere reale quello che sarebbe soltanto un sogno.

Per comprendere come la scoperta “cogito ergo sum” consenta di superare il dubbio iperbolico (il dubbio sulla verità delle conoscenze che ci appaiono evidenti, come quelle fisico-matematiche) occorre “passare” attraverso la prova cartesiana dell’esistenza di Dio e il riconoscimento della funzione di Dio in Cartesio.

 

di Giorgio Giacometti