Si direbbe, se neppure l’argomentazione per assurdo, sempre a rischio di incorrere in antinomie, appare conclusiva, che il principio (la verità non meramente ipotetica) sfugga sempre. Quale, allora, il senso ultimo dell’esercizio dialettico, che, pure, Platone suggerisce come metodo per raggiungere il Principio? Difficile dirlo.
Si potrebbe intenderlo come un esercizio di purificazione della mente. La dialettica ci aiuterebbe a non confondere le nostre opinioni (dòxai, da cui l’espressione dogmi) con la verità, riconoscendovi soltanto ipotesi. Forse, una volta purificati, la verità potrebbe apparire, improvvisamente, per una specie di illuminazione, come si esprimono alcuni platonici, o per estasi (Plotino).
Lo stesso Platone, nella sua VII Lettera, parla dell’argomento della sua filosofia come di
una conoscenza che non si può in alcun modo comunicare, ma s'accende come fiamma da fuoco che balza: nasce all'improvviso nell'anima dopo un lungo periodo di discussione sull'argomento e una vita in comune, indi si nutre da sé medesima.
D’altra parte, nella Repubblica, poco dopo il passo, che conosciamo, sulla linea della conoscenza, Platone introduce il celebre mito della caverna. Il Sole che il filosofo coglie, uscendo dalla caverna delle illusioni, è una metafora del Principio. Esso illumina e fa vivere tutte le cose, ma, se osservato, è accecante, appare nero.
In altro passo della Repubblica si dice che il principio (rappresentato dal Sole) è al di là dell’essere e della conoscenza.
Il Principio, quindi, nella prospettiva platonica, a differenza che per gli scettici, è un presupposto irrinunciabile, anche se inesprimibile.
Il Principio (l’idea del Bene, la sola che meriti di essere davvero conosciuta per mettere in ordine la propria vita) è inesprimibile (o ineffabile), dunque anche incomunicabile1, perché, appena cerco di dirlo, cado (prima o poi) in aporia (vicolo cieco). Come dirà Cusano nel XV secolo d. C., il Principio (Dio) può anche essere concepito come coincidentia oppositorum (coincidenza dei contrari); ma non nel senso che qualsiasi cosa io dica, essendo destinata a generare contraddizioni, sia il Principio; piuttosto nel senso che il Principio è qualcosa che trascende o supera la mente umana; la quale, quando cerca di afferrarlo, cade in contraddizioni. In questo senso il Principio può essere espresso solo attraverso metafore (come quella del Sole o dell’Uno), immagini (cioè in forma poetica), ma non può mai venire dimostrato razionalmente (attraverso la diànoia, il pensiero discorsivo, argomentativo). Semmai, in certe condizioni, dopo che ci si sia purificati mentalmente, il Principio può, forse, venire colto dal noûs, cioè dall’intelligenza o dalla mente, in modo immediato, intuitivo (al di là del principio di non contraddizione).
Perché, allora, non rinunciare alla pretesa di afferrare il Principio? Non potrebbero avere ragione gli scettici? Ma gli scettici cadono, a loro volta, in aporia. Affermare che niente è vero è contraddittorio, se si pretende che questa stessa affermazione abbia senso (cioè sia vera). In generale, anche solo per negare che essa esista, io devo presupporre la verità. Questa parola (“verità”) deve avere un senso, anche se, poi, la mia tesi fosse che nulla di quanto affermiamo o crediamo di conoscere è “vero”. La ricerca, anche scientifica, ha senso solo se si presuppone che ci sia qualcosa di vero da cercare e qualcosa di falso da correggere, altrimenti tanto varrebbe starsene immobili. Forse, però, la verità è un presupposto della ricerca e della vita stessa, ma, come il Sole di Platone, sebbene illumini le altre cose e le renda conoscibili (anche solo approssimativamente o ipoteticamente), non può essere direttamente osservata, senza accecare.
1 Questa natura sfuggente del Principio spiega anche perché, forse, Socrate fosse costretto a ricorrere all’arte maieutica e non potesse insegnare direttamente al proprio allievo quello che egli sapeva (ammesso, naturalmente, che il suo non sapere fosse solo una simulazione). Il discepolo di Socrate avrebbe potuto arrivare al Principio (cioè alla verità) soltanto “camminando sulle proprie gambe”. Il maestro non poteva sostituirlo.