Dialettica significa etimologicamente “arte del dialogo”. Il dialogo a cui Platone fa riferimento non è che quello di cui maestro fu Socrate e che Platone stesso “imita” nei suoi Dialoghi scritti.
Ora, il dialogo filosofico, nella versione originaria e paradigmatica (esemplare) di Socrate, si sviluppa secondo i seguenti principali passaggi:
- Socrate si finge (ironia, cioè simulazione) ignorante riguardo un determinato problema (p.e. “che cos’è santo?”) e, quindi, finge di voler imparare dal proprio interlocutore
- l’interlocutore di Socrate è invitato a partorire (maieutica, cioè “arte del far partorire”) un’ipotesi, consistente non in casi particolari, ma nella definizione dell’idea (o essenza) di cui si dice “che cos’è” (p.e , nel dialogo Eutifrone, “santo è ciò che è caro agli dei”, così come si può definire “cerchio è il luogo geometrico dei punti equidistanti da un punto detto centro” e simili)
- anche mediante l’introduzione di ipotesi accessorie (p.e. “gli dei spesso litigano tra loro”), si ricerca (zétesis: ricerca, donde il metodo si chiama “zetetico”) se l’ipotesi di definizione regge o se, invece, cade in contraddizioni
- se si incontra una contraddizione, la via si rivela senza uscita (a-poria), l’ipotesi risulta confutata (élenchos: confutazione, donde il metodo si chiama “elenctico”) e occorre “partorirne” un’altra e sottoporla alla medesima indagine (distinguendo opportunamente, come fa Socrate nel Teeteto, tra l’arte di far partorire bambini e l’arte di far partorire ipotesi: solo quest’ultima deve distinguere tra fantasmi e verità)
Come si può osservare, l’indagine si svolge attraverso il discorso (in greco: lògos), dunque è puramente logica, senza includere osservazioni o esperimenti. Il “laboratorio filosofico” è, infatti, quello della nostra mente e/o del nostro dialogo.
Possiamo seguire, ad esempio, la ricerca della definizione del “coraggio” nel Lachete, significativamente aporetica, cioè tale da sfociare in a-porie, in vicoli ciechi, e da mancare il risultato auspicato.
Il dialogo, inoltre, per essere tale richiede che i due o più interlocutori siano sempre d’accordo (homologìa) – di qui i frequenti “Sì, certo”, “Senz’altro” ecc., degli interlocutori di turno di Socrate. Se manca l’intesa, per via di qualche incomprensione, la ricerca si ferma finché l’accordo non è ripristinato. La ricerca è comune e ha per scopo la verità, non la vittoria di uno dei due interlocutori, come avviene di solito nelle discussioni, in cui chi discute cerca di vincere sugli altri a “suon” di ragionamenti (attività praticata in Grecia dagli “eristi”, esperti nelle liti, èris, donde il nome “eristica” per l’arte retorica del vincere gli avversari attraverso il discorso).
Ora, ci dobbiamo chiedere:
- Perché, secondo Platone, l’arte del dialogo dovrebbe ricondurci al principio (o ai principi), laddove l’esercizio “logico-matematico” (come quello che sarebbe stato codificato da Aristotele mediante il sillogismo) manca l’obiettivo?