Quali le cause e i principi primi del cosmo? La questione della “natura”

cosmo

Se si registra del movimento, in quanto passaggio dalla potenza all’atto di qualcosa che, comunque, è, sorge il problema delle cause di tale movimento. Tale problema non è se non quello dei principi (se molteplici) o del principio (se singolo) di tutte le cose, posto che le cose sono molte  e si muovono.

In generale il principio è qualcosa che non si genera, non si distrugge (è ciò che fondamentalmente ogni cosa è, in questo senso immutabile come l’essere di Parmenide), ma – a differenza dell’essere concepito come immutabile – si trasforma in tutte le cose che conosciamo (ne rimane il fondamento, come l’elemento acqua resta a fondamento dei diversi stati in cui l’acqua si può trovare).

Oggi riconosciamo per lo più nell’energia questo qualcosa di costante che può assumere le forme più diverse, mentre fino al secolo scorso si pensava che fosse la materia (cfr. principi di conservazione della materia e dell’energia).

N.B. La ricerca del principio come causa del divenire è una ricerca fisica, poiché per natura (in greco physis) possiamo intendere tutto ciò che, essendo (la radice phy di physis è la stessa del passato remoto “fu” del verbo essere e del participio “futuro”), spontaneamente nasce {da cui, appunto na-tura], cresce e, infine, muore, ma essa ha anche un evidente risvolto etico.

Per sapere che cosa sia bene fare può essere utile o, forse, necessario sapere “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo” (come si dice anche oggi) contestualizzando, per così dire, il problema del nostro “bene” nel “cosmo” (in greco: “ordine” delle cose; esso stesso, forse, dotato di fini, come pensano p.e. gli stoici). A seconda, per esempio, che siamo o non siamo “anime” (immortali o meno), abbiamo o non abbiamo una destinazione ultraterrena e questo, ovviamente, fa la differenza anche sotto il profilo etico (cambia ciò che ci “conviene” fare – o è bene – nella vita).

Ecco, allora, l’importanza di chiedersi che cos’è la vita e che cosa sono le cose, quale ne è il principio (o causa prima), perché, insomma, sono quello che sono.

In generale, secondo l’interpretazione di Aristotele, i “primi filosofi” (i cosiddetti pre-socratici) avrebbero introdotto principi di spiegazione di ordine materiale, senza più ricorrere, per illustrare l’origine dell’universo, come si faceva prima, a soluzioni mitologiche (cioè a racconti i cui protagonisti fossero dei o semidei, come si usava fare fino ad allora, non solo in Grecia, con Omero ed Esiodo, ma anche in Egitto, Babilonia, India e Cina).

Possiamo considerare le ipotesi introdotte dai pre-socratici come le prime ipotesi scientifiche formulate da mente umana.

Il principio supposto da Talete, ad esempio, ossia l’acqua, ha caratteristiche molto interessanti. L’acqua è l’origine della vita e si può trasformare in ghiaccio e vapore, ossia può assumere forme molto diverse da quella liquida. Se per noi non è certo più il principio, ne rimane un’ottima immagine o modello. Come il principio, l’acqua si trasforma nei diversi stati che può assumere senza mutare la propria natura. La vita ne discende e non può svilupparsi in sua assenza (e la vita è la condizione. se non di esistenza dell’universo, certamente di conoscibilità dell’universo, attraverso la mente umana).

Anassimandro, discepolo di Talete, accortosi che l’acqua, essendo qualcosa di visibile, può solo essere un’immagine o un simbolo del principio, propone che il principio sia qualcosa di indeterminato, cioè di invisibile e informe, dal momento che esso deve dare luogo a tutte le forme. Possiamo anche intenderlo come infinito (à-peiron, letteralmente: senza limiti),  a condizione che lo pensiamo non tanto infinito per estensione, quanto, appunto, indeterminato. Le cose scaturirebbero dall’indeterminato per “darsi la pena reciprocamente”. Possiamo intendere la parola di Anassimandro (il primo testo filosofico che ci sia giunto) in questo senso: ciascun essere vivente si nutre di altri viventi e sopravvive a spese di altri: è quindi giusto che nel corso del tempo paghi la sua colpa (avere divorato un altro vivente) con una pena identica alla colpa: venire a sua volta mangiato; in generale, ogni cosa esiste “a spese” di altre cose (quelle che forniscono la materia di cui è fatta) e, a sua volta, si dispone a servire (morendo) per la formazione di altre cose, e così via all’infinito.

La spiegazione di Anassimandro può essere condivisa ancor oggi, ma rimane un po’ generica. Non ci dice molto del principio (ci dice più che cosa non è, piuttosto che che cos’è), ma, soprattutto, non spiega come (mai) dal principio siano scaturite e scaturiscano le cose. Da questo punto di vista sorge lo stesso problema che sorge col principio di Parmenide, l’essere, ma anche col principio di Talete (l’acqua) o di Anasssimene (l’aria). Supponiamo che da sempre esista un “cubo” fatto della materia del principio (qualunque essa sia). Ci resta da spiegare perché da questo “cubo” siano scaturite le cose. In altre parole ci manca un principio del movimento.

Altri autori introducono, quindi, come principi, non solo cause materiali (acqua, aria, fuoco, terra), ma anche cause del movimento (o motrici).

Questo genere di spiegazione è del tutto simile a quella scientifica moderna. Oggi la scienza cerca di spiegare tutto ricorrendo a una “sostanza” di base (quale possiamo considerare l’energia) e a “forze” fondamentali (quattro interazioni fondamentali, che si cerca di unificare). L’obiettivo sembra essere quello di spiegare tutto a partire da questi elementi semplici (“teoria del tutto”).

Segue una tabella nella quale per ciascun filosofo o scuola filosofica sono indicati a) il principio o i principi che supposero, dal punto di vista materiale, b) le eventuali cause motrici, c) altri aspetti peculiari; il tutto sulla base della ricostruzione offerta da Aristotele nel primo libro della (cosiddetta) Metafisica.

N. B. Bisogna, comunque, diffidare dell’interpretazione che Aristotele fornisce dei suoi precursori. Forse egli si serve di questa interpretazione per screditarli a vantaggio della propria filosofia. Altre testimonianze, infatti, ci suggeriscono che i presocratici ammettevano certamente principi materiali, tuttavia simultaneamente concepivano la materia come viva (ilozoismo [1], panpsichismo [2]). In questo modo essi non avevano bisogno di cause finali, ma neppure efficienti o formali. L’“acqua” di Talete poteva, ad esempio, assumere tutte le forme spontaneamente, senza bisogno dell’intervento di cause efficienti o motrici esterne. Quando Talete diceva: “tutto è pieno di dèi” attribuiva probabilmente all’acqua una natura divina al punto che si potrebbe dire che l’acqua di cui egli parlava non fosse esattamente solo il composto chimico che noi consideriamo tale (H2O). La loro prospettiva era forse ancora troppo religiosa o mitica, ma certamente non era insufficiente o parziale come Aristotele suggerisce.

filosofo o scuola principio materiale cause motrici aspetti peculiari
Taléte acqua
Anassìmene, Diògene aria [caldo, freddo][3] ; [raro, denso][4]
Eraclìto, Ippaso fuoco
Empèdocle acqua, aria, fuoco, terra amicizia, discordia
Anassàgora, [Ermòtimo] semi infiniti (omeomerie) intelligenza, bene, bello
Esìodo amore, desiderio
Leucìppo, Demòcrito pieno (essere)[5], vuoto (non essere) differenze: figura, ordine, posizione
Pitàgora e pitagorici, [Alcmeòne] numeri contrari, definizioni
Senòfane, Parmènide, Melìsso Uno, essenza unica (immobile) caldo, freddo negazione del movimento
[Anassimandro][6] [infinito]

Secondo Aristotele, dunque, i filosofi delle origini introdussero soprattutto cause materiali, come acqua, aria, fuoco, e, in qualche caso, cause motrici, come amore e odio. Nell’insieme possiamo designare questo genere di cause come cause meccaniche, perché corrispondono a quelle che spiegano il funzionamento di una macchina priva di intelligenza.

  • Aristotele non si dimostra molto soddisfatto delle dottrine dei suoi illustri precedessori. Perché?

Se accettiamo l’interpretazione di Aristotele è chiaro che i principi dei presocratici appaiono inadeguati, in mancanza di altri criteri di spiegazione (come le cause finali di Aristotele o, più modernamente, principi di “evoluzione per selezione naturale” dei viventi e, magari, degli stessi “composti” chimici). Come spiegare, infatti, l’apparente ordine del cosmo, che susciterà l’ammirazione soprattutto degli stoici?

Aristotele non crede che bastino cause materiali e motrici per spiegare il cosmo, come ritenevano ad esempio gli atomisti. Il caso non può spiegare la generazione di esseri così complessi come i viventi e l’uomo. I predecessori, in altre parole, ricercarono solo la causa materiale, cioè ciò di cui le cose sono fatte, e, in qualche caso, quella del movimento, senza tuttavia, secondo Aristotele, riuscire a spiegare adeguatamente le molteplici forme delle cose e il loro divenire.

A questo scopo, secondo Aristotele, è necessario introdurre anche cause formali e cause finali.

La causa formale o forma (introdotta dal Platone e da lui denominata “idea”) è ciò che fa sì che una cosa abbia quella e non altra forma o essenza, a meno di non immaginare che essa sia il frutto del caso (come si dovrebbe ammettere se si introducessero solo cause materiali e meccaniche).

La causa finale è lo scopo che una cosa ha nell’ordine del cosmo, dunque il suo “significato” in relazione a tutte le altre cose.

Anche un biologo darwinista (evoluzionista moderno), che prescindesse dall’ipotesi che Dio abbia “ordinato” ogni cosa, non potrebbe fare a meno di “spiegare” le strutture dei viventi in termini di “funzioni”. Ad esempio, davanti a una pianta sconosciuta che presenta certe protuberanze, il biologo si chiederà quale ne sia la “funzione” (cioè, in ultima analisi, lo “scopo”). Il biologo, certo, potrebbe non attribuire a Dio (o a un’intelligenza superiore, come quella introdotta e poi trascurata da Anassagora) la “causa” delle protuberanze, ma ai meccanismi dell’evoluzione per selezione naturale. Ciononostante, le sole cause “materiali” (le sostanze di cui la pianta è fatta, come legno o acqua), così come le sole cause del suo “movimento” (l’energia che assorbe e che le permette di crescere), non sono sufficienti a spiegarne la “forma” (o struttura) e le funzioni (o “scopi”) delle sue parti.

[1] Da hyle (materia) e zoé (vita).

[2] Da pan (tutto) e psyché (anima).

[3] Sebbene Aristotele non lo ricordi esplicitamente, quando parla di “coloro che ammettono come principi caldo e freddo”, probabilmente si riferisce anche ad Anassìmene di cui sappiamo che spiegava sulla base di questi principi la rarefazione e la condensazione dell’aria, da cui sarebbero sorte tutte le cose.

[4] Anche l’allusione di Aristotele ai “pensatori che considerano come unica la sostanza che funge da sostrato e spiegano la derivazione di tutte le altre cose mediante la modificazione di essa introducendo il raro e il denso come principi di queste modificazioni” può essere riferita, tra gli altri, ad Anassìmene.

[5] Sappiamo che questo “pieno” sono gli atomi che si muovono nel vuoto senza scopo e  producono le cose meccanicamente. Questa dottrina sarà ereditata da Epicuro.

[6] Sebbene Aristotele nel testo esaminato non ne faccia menzione, per completezza, ricordiamo la tesi di Anassimandro, che operò a Mileto come Talete e Anassìmene.

di Giorgio Giacometti