Le categorie

categorieConsideriamo un giudizio multiplo di questo genere:

“Socrate è uomo, è bruno, è alto 1 metro e 70, è qui, adesso, legge (un libro), è divertito, è più alto di Teeteto”.

Diciamo che Socrate (S) è una serie di cose, ossia diciamo o predichiamo di lui una serie di modi di essere.

Ma non sono tutti dello stesso tipo.

L’umanità è l’essenza di Socrate. Se Socrate non fosse uomo non sarebbe alcunché, mentre potrebbe cambiare tutte le altre caratteristiche (che, sotto questo profilo, sono dette accidenti, ossia indicano qualcosa di non necessario).

Come vedremo subito, inoltre, abbiamo scienza solo degli universali, ossia delle essenze e non degli individui. Quindi, propriamente, le altre “caratteristiche” sono accidentali non tanto rispetto a Socrate (di cui non abbiamo scienza), quanto rispetto all’essenza umana. Un uomo non è necessariamente bruno, alto 1 metro e 70 ecc. ecc. Egli può essere tutte queste cose (accidentalmente), ma non è necessario che lo sia. Il giudizio sopra scritto ci dice, in ultima analisi, che l’umanità (come insieme) può “interferire” con l’essere alto 1,70 m (come insieme) e con il leggere libri ecc. (mentre, ad esempio, non è possibile/naturale che un uomo sia alto un chilometro o abbia tre occhi ecc.), ma ci dice anche che non è necessario/naturale che ciascun uomo abbia quelle determinate qualità.

Ma se osserviamo meglio i 7 accidenti di Socrate non sono tutti eguali. Essi esprimono 7 “tipi” di predicati o modi di essere che Aristotele (aggiungendovi anche l’essenza) chiama categorie (ossia, appunto, predicati, in greco), e cioè:

qualità, quantità, luogo, tempo, azione, passione, relazione.

La sostanza o essenza risponde alla domanda “Che cos’è?” (non sarebbe corretto, ad esempio, rispondere a una tale domanda con “Socrate”, che risponde piuttosto alla domanda “Chi è?”, mentre lo è rispondere “Un uomo”), le altre categorie rispondono alle domande rispettivamente: “Quale o com’è?”, “Quant’è””, “Dov’è?”, “Quand’è?”, “Che cosa fa (è facente)”?, “Che cosa subisce (da che cosa è affetto)?”, “Che rapporto ha con..?”.

Si deve notare, in generale, che ciò che predichiamo delle essenze è sempre un modo di essere, anche quando non si tratta di un’essenza. Anche quando, infatti, un predicato è espresso da un verbo (tipicamente quando si tratta di azioni come “legge”) si tratta sempre di un’espressione riducibile a un modo di essere (p.e.: “è leggente” o “sta leggendo”).

N.B. Nei manuali si legge spesso che la prima categoria è quella della “sostanza”. In realtà tale termine, introdotto nel Medioevo (substantia), in quanto sinonimo di sostrato, corrisponde a ciò che Aristotele in greco diceva hypokèimenon: si tratta del sostrato materiale della forma (dunque è sinonimo di “materia”), non della prima categoria. Certo, talora Aristotele chiama “sostrato” anche il soggetto di una proposizione, in quanto “materia” qualificata dagli attributi che di esso si predicano, ma non usa mai tale termine per indicare, in generale, la prima categoria. Il termine che Aristotele adopera per indicare la prima categoria è “ousìa” che, sebbene tradotto spesso, appunto, con “sostanza” (per influenza degli aristotelici medioevali), si traduce meglio, etimologicamente, con “essenza” (“ousìa” deriva dal participio presente del verbo “essere” in greco, così come “essentia“, in latino, deriva da “essens“, participio presente del verbo “essere” in latino medioevale). La ragione per cui si è iniziato nel Medioevo a tradurre “ousìa con “sostanza” invece che, etimologicamente, con “essenza” è che Aristotele non adopera questo termine solo per significare l’essenza (universale) di una cosa (p.e. l’animalità di un animale), ma lo adopera anche per indicare questa cosa stessa (l’animale). Ora si è ritenuto che in questo significato l'”essenza individuale” (di fatto la “cosa”, di cui si predicano determinati attributi) fosse meglio resa da “sostanza” (in quanto “sostrato” appunto di determinate “qualità”). Ma ricordiamoci che Aristotele parla solo di “essenza“, cioè mette in luce che ciò di cui si parla è non tanto un “sostrato” di attributi, quanto l’essere stesso di qualcosa.

di Giorgio Giacometti