Esserci: ovvero essere “in prospettiva”

Generalmente, quando ci si chiede che cosa intenda Heidegger (in Essere e tempo e altrove) con l’espressione “esserci” [Da-sein], si immagina che si tratti di un quasi-sinonimo di “coscienza” (il che è accettabile, ma solo in una determinata accezione di “co-scienza”), “individuo”, “essere umano” (il che è meno accettabile). Lo stesso Heidegger, a volte, sembra suggerire questa interpretazione, sebbene egli si sforzi di argomentare variamente il senso della scelta dell’espressione “esserci”.

Tuttavia, a ben vedere, l’esser-ci non è altro che la forma che l’essere, in generale, assume quando è percepito e concepito, ossia nel solo modo in cui esso è dato. “Ciò che è” è sempre qualcosa di determinato che appare ora, in un determinato modo e in un determinato luogo (“ci”, qui). Il “ci” di “esser-ci” è, dunque, il modo in cui l’essere si manifesta. In una parola: sempre in prospettiva.

Continua la lettura di Esserci: ovvero essere “in prospettiva”

Fede, speranza, carità

Coloro ([neo]platonici e vedantin) che affermano che saremmo tutti tutto o, per meglio dire, che sarammo tutti Uno, devono poi spiegare perché non ce ne accorgiamo. La tesi è che saremmo dimentichi di essere ciò che siamo. Chi evolvesse un’adeguata conoscenza (gnosis, jnana) conoscerebbe ciò che è essendo fino in fondo ciò che sa di essere. Egli dovrebbe compiere un atto di èkstasis da se stesso (dal modo in cui appare a se stesso, con un certo corpo e una certa anima) che, in pari tempo, sarebbe un atto di ènosis (unificazione) o samadhi con il Principio (Uno, Brahman ecc.) che egli veramente è.

Nella “condizione umana”, tuttavia, nella quale chi scrive queste righe, come chi le legge, versa, tale illuminazione non è data, se non come “concetto”, come “ipotesi”.

Che ci resta, dunque, da fare?

Continua la lettura di Fede, speranza, carità