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Dirigente e filosofo

Inizia da oggi la mia nuova esperienza di dirigente scolastico del IV° Istituto Comprensivo di Udine.

Quella di lasciare l’insegnamento della filosofia e della storia al liceo Marinelli non è stata una decisione facile. Ringrazio mia moglie e mio figlio di avermi sostenuto in questa scelta.

Anche il passo indietro che ho dovuto compiere dal mondo della consulenza filosofica mi è costato molto. Non si tratta solo delle mie dimissioni da presidente di Phronesis, Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica, ma anche e soprattutto della rinuncia a esercitare, sia pure in forma occasionale, l’attività professionale di consulente filosofico.

Ho trovato, però, una scuola molto accogliente, ancora più di quanto immaginassi quando ho espresso la mia preferenza per essa.

Di una cosa posso rassicurare i miei amici, conoscenti ed ex studenti: se ho smesso di insegnare filosofia non smetterò mai di praticarla come forma di vita!

Mi aiuterà più di ogni altra cosa a tirare fuori il meglio dalle cose, dalle persone e da me stesso.

Forse.

***
Ed ecco il mio messaggio alla comunità educante dell’Istituto Comprensivo IV° di Udine.

Ho assunto l’incarico di Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo IV° con entusiasmo, condividendo fin dall’inizio i valori e gli stili di lavoro descritti nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa e testimoniati nell’agire quotidiano da docenti, alunni, assistenti amministrativi, tecnici e collaboratori scolastici.

Mi sono anche reso subito conto della notevole opera di rilancio dell’Istituto nel suo complesso e di valorizzazione dell’identità di ciascuno dei suoi “storici” sette plessi, compiuta dal mio predecessore, dott. Guido Zoncu, che saluto con stima e riconoscenza.

Intendo operare nel solco da lui tracciato, valendomi dello staff costituito da validissime docenti collaboratrici e assistenti amministrative, rafforzando i rapporti con il territorio, le diverse realtà associative, culturali, istituzionali, che con la scuola hanno intrecciato legami fitti e fecondi.

Certo, al centro della scuola non possono che esserci, in ogni caso, loro, gli alunni e le alunne, con – alle spalle – le loro famiglie, con le quali è sempre più urgente stringere una rinnovata alleanza educativa, in un contesto sociale ed economico segnato tanto da opportunità quanto da rischi per una crescita sana ed equilibrata.

Da “filosofo” per formazione e attitudine non posso dimenticare che, se il fine della vita è la felicità, questa è in gran parte frutto del proprio impegno, di quella che in passato si sarebbe detta la propria “virtù”. Ecco, perché incontrando le diverse classi, ho esortato alunni e alunne a mettersi in gioco, anche quando magari, a volte, possono fare capolino la stanchezza, la distrazione, la noia; a non demordere nel perseguire gli obiettivi di apprendimento assegnati ai diversi gradi scolastici; soprattutto: a rafforzare le fondamentali “competenze di cittadinanza” che costituiscono un traguardo fondamentale della scuola dell’obbligo.

Ho suggerito ad alunni e alunne di vivere la scuola proprio come un “gioco” (del resto i latini la chiamavano ludus). Come altri giochi, la scuola è fatta di regole: rispettandole, possiamo vivere un’esperienza molto stimolante. A differenza di altri giochi, la scuola ha però un “valore aggiunto”: ci regala la capacità di vivere meglio, con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente che ci circonda.

A noi operatori della scuola il compito di rendere questo “gioco” sereno, favorendo un clima di collaborazione, di fiducia e di rispetto, in modo che ciascuno e ciascuna possa sentirsi a proprio agio e possa crescere insieme con gli altri seguendo il proprio personale ritmo.

A qualche settimana dall’inizio dell’attività didattica non posso che concludere con un saluto e un augurio: “Buon anno scolastico a tutti e a tutte”.

Un’abissale angoscia

La prospettiva cosmoteandrica, a sfondo (neo)platonico, che su questo sito vado via via delineando è vivacemente contrastata, in me stesso, da due fondamentali ostacoli:

  1. la resistenza che il dominante paradigma meccanicistico offre, quando, ad esempio, invoca a proprio vantaggio i risultati di secoli di successi sperimentali, a fronte delle difficoltà ad accertare “scientificamente” visioni alternative (un esempio di tali difficoltà è offerto del desolante spettacolo di un premio Randi, tristemente ben lontano dall’essere vinto da qualcuno…)
  2. la paura (il sospetto) che il paradigma alternativo che propongo sia solo il frutto del mio disperato desiderio di “senso”, anzi di salvezza

E se questi due ostacoli, in radice, fossero il medesimo?

Se l’ipotesi cosmoteandrica  fosse valida, come dovremmo, infatti,interpretare questo doppio ostacolo?

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Esserci: ovvero essere “in prospettiva”

Generalmente, quando ci si chiede che cosa intenda Heidegger (in Essere e tempo e altrove) con l’espressione “esserci” [Da-sein], si immagina che si tratti di un quasi-sinonimo di “coscienza” (il che è accettabile, ma solo in una determinata accezione di “co-scienza”), “individuo”, “essere umano” (il che è meno accettabile). Lo stesso Heidegger, a volte, sembra suggerire questa interpretazione, sebbene egli si sforzi di argomentare variamente il senso della scelta dell’espressione “esserci”.

Tuttavia, a ben vedere, l’esser-ci non è altro che la forma che l’essere, in generale, assume quando è percepito e concepito, ossia nel solo modo in cui esso è dato. “Ciò che è” è sempre qualcosa di determinato che appare ora, in un determinato modo e in un determinato luogo (“ci”, qui). Il “ci” di “esser-ci” è, dunque, il modo in cui l’essere si manifesta. In una parola: sempre in prospettiva.

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L’autore del sito

Giorgio Giacometti, filosofo consulente e docente di filosofia, nato a Udine nel 1965, si è laureato in Filosofia presso l’Università di Padova nel 1989 con…