L’empirismo logico e i suoi limiti


Schlick

Un modo di rispondere alla domanda epistemologica che scaturisce dalla crisi dei capisaldi del positivismo ottocentesco è quello dell’empirismo logico che, nella prima metà del Novecento, cerca, attingendo alle risorse di una logica rigorosa, di “salvare” l’istanza del positivismo, ossia l’idea che soltanto il sapere scientifico, purché logicamente riveduto e corretto, sia sapere in senso proprio. Non a caso questa corrente filosofica (che ha il suo centro a Vienna, da cui la denominazione di Circolo di Vienna o Circolo Ernst Mach) è chiamata anche positivismo logico o neopositivismo.

La radice di questa prospettiva si ritrova nella seconda metà dell’Ottocento nel pensiero di Ernst Mach.

L’idea centrale dell’empirismo logico è la seguente: hanno senso o significato soltanto le proposizioni che possano essere verificate empiricamente. Secondo la formula di Schlick:

Il significato di una proposizione è il metodo della sua verifica

Il che implica che la stragrande maggioranza dei discorsi (afferenti ad ambiti come religione, poesia, etica, politica ecc.) siano privi di senso. La stessa filosofia (anche quella neopositivistica!) è letteralmente priva di senso. Essa va intesa, dunque, non tanto come un insieme di affermazioni sulla realtà, ma come un’attività di critica (o purificazione) del linguaggio.

L’empirismo logico, pur essendo ancora implicitamente coltivato da molti “cultori” contemporanei della scienza (come coloro p.e. che si compiacciono di smascherare i falsi guaritori o i falsi maghi, le cui affermazioni non sono mai verificabili empiricamente), mostra immediatamente alcuni limiti.

  1. la stessa filosofia dell’empirismo logico si esprime in proposizioni (come la stessa formula di Schlick) che, dal punto di vista dello stesso empirismo logico, sarebbero prive di senso, perché non verificabili;
  2. le proposizioni che esprimono stati d’animo, valori etici, ipotesi metafisiche, di cui è ricco il linguaggio ordinario (p.e. “ti amo”, “non è giusto punire un innocente”, “Dio è amore” ecc.), sarebbero non solo prive di significato scientifico, ma, benché sembri a tutti noi di “intenderle” perfettamente, prive di senso in senso assoluto (sotto questo profilo il criterio di verificazione risulta troppo stretto);
  3. la scienza moderna, che l’empirismo logico pretende di “salvare” come il solo sapere degno di questo nome, non si basa solo su proposizioni “atomiche” (corrispondenti a singolari stati di cose) o su proposizioni che se ne possano derivare logicamente, ma anche (anzi soprattutto) su proposizioni universali (le leggi generali della scienza, come quella di gravitazione universale) che, in quanto tali, non corrispondono a nessuno stato di cose determinato (e, quindi, ancora una volta, risultano non verificabili);
  4. il criterio di verificazione appare troppo “largo” perché, per la caratteristica sottodeterminazione delle teorie scientifiche (uno stesso fenomeno può essere interpretato in molti modi diversi), il fatto che una teoria sia verificata (cioè sia compatibile con i fenomeni che si osservano) non ci dice ancora affatto che questa teoria sia vera (perché molte altre teorie, ancora sconosciute e in contraddizione con la teoria in questione, potrebbero “salvare” gli stessi “fenomeni”; cfr. il caso della teoria copernicana che riusciva, più o meno, a salvare gli stessi fenomeni di quella aristotelico-tolemaica);
  5. il criterio di verificazione appare, di nuovo, troppo largo, perché ammette come scientifiche proposizioni come “la sedia è marrone” o “il soffitto è grigio” o “questo tavolo è lungo un metro e mezzo” che nessuno si sognerebbe di inserire in un trattato di fisica o di altra disciplina scientifica (banalizzazione).

d Giorgio Giacometti