Dal boom al Sessantotto

All’interno della fase storica della guerra fredda un momento significativo è rappresentato dagli anni Sessanta, che potremmo guardare come un periodo contraddistinto da un vento di libertà sotto diversi profili e, in particolare, i seguenti:

  1. libertà dal  bisogno (dalle ristrettezze economiche), apice del boom economico, iniziato già nella seconda metà degli anni Cinquanta, soprattutto in Italia e in Germania (su cui si può fruire di questa scheda video “muta” o di questo breve documentario)
  2. libertà dal dominio coloniale (decolonizzazione soprattutto dell’Africa, con le sue contraddizioni, all’insegna del cosiddetto terzomondismo e del movimento dei Paesi non allineati, guidato dall’Egitto di Nasser e dalla Jugoslavia di Tito, che mosse i primi passi già alla metà degli anni Cinquanta) [cfr. questa pagina]
  3. libertà dalla tensione internazionale (tentativi di distensione, sostanzialmente falliti, tra Usa e Urss, preceduti dalla destalinizzazione dell’Urss degli anni Cinquanta), che rese possibile in Italia dal 1963 l’esperimento del centrosinistra organico (per molti aspetti deludente), dopo gli anni del centrismo
  4. libertà da una concezione della religione cattolica fondata sul dogmatismo, il legalismo, la minaccia dell’inferno e una tradizione rigida e indiscutibile a favore di un ritorno alle Scritture, del dialogo ecumenico e interreligioso e di un confronto costruttivo con i valori del mondo moderno (Concilio Vaticano II)
  5. libertà dall’oppressione giuridica e sociale (movimento per i diritti civili, particolarmente dei neri e delle donne, ma anche dei cittadini di Praga e dei Paesi del socialismo reale)
  6. libertà nei costumi con particolare riguardo a quelli sessuali (movimento della contestazione studentesca del Sessantotto che si ricollega anche al punto precedente)
  7. libertà… dalla gravità terrestre (conquista della Luna, 21 luglio 1969, nel contesto della corsa allo spazio di Stati Uniti e Unione Sovietica)

Tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 del Novecento l’Europa fu attraversata da un processo di grande crescita economica, che in Germania e in Italia si configura come vero e proprio miracolo economico o boom.

Per comprendere bene questo fenomeno, che, in fondo, inaugura il nostro mondo attuale (al di là di certe innovazioni più recenti, come Internet, il cellulare, il computer, l’Italia degli anni ’60 è la nostra, con le sue auto private, con i suoi elettrodomestici, supermercati, vacanze al mare e in montagna, programmi televisivi ecc.), bisogna fare un passo indietro e comprendere come sia stata possibile la ricostruzione del Paese (e dell’intera Europa occidentale) nell’immediato dopoguerra (grazie soprattutto al piano Marshall, ma anche, per quanto riguarda l’Italia, alle premesse gettate dalle grandi imprese pubbliche messe in piedi già durante il fascismo, come l’Iri e l’Agip, poi divenuta Eni), quale fu il ruolo degli Stati Uniti non solo come ente finanziatore della ripresa, ma anche come modello di sviluppo (all’indomani della conclusione del conflitto gli Stati Uniti da soli erano responsabili di quasi i due terzi dell’intero prodotto mondiale; inoltre la società americana aveva già conosciuto negli anni ’20, prima della grande crisi, la diffusione dei beni di consumo che poi si diffusero in Europa occidentale nel secondo dopoguerra,  mentre i Paesi comunisti concentravano la loro produzione soprattutto nell’industria pesante e in quella militare, in Urss anche spaziale), quali settori furono trainanti (acciaio, automobili, ma anche tessile, poi la moda, gli elettrodomestici – l’Italia divenne in una certa fase il primo produttore mondiale di lavatrici -, macchine da scrivere, ecc.).

Va anche notato come il boom italiano sorprendesse tutti (prendesse quasi “in contropiede” economisti, intellettuali e politici) e non fosse propriamente “voluto” da nessuno; non dalla sinistra egemonizzata dal Partito Comunista che guardava più al modello di sviluppo sovietico, basato sull’industria pesante, e che diffidava della diffusione presso la classe operaia di quei beni di consumo (frigoriferi, televisori, lavatrici, utilitarie ecc.), che, migliorando significativamente le condizioni economiche delle famiglie lavoratrici, avrebbero allontanato sine die prospettive di tipo rivoluzionario; non dalla stessa Democrazia Cristiana, partito dominante delle diverse coalizione centriste fino ai primi anni ’60, che, a propria volta, guardava con sospetto, dal punto di vista etico e culturale, alla diffusione di stili di vita consumistici che, allentando i tradizionali vincoli familiari e di vicinato, rischiavano di allontanare le persone dalla sfera religiosa e dai valori civili e sociali di cui la Democrazia Cristiana si voleva interprete.

In Italia la nuova situazione economica favorì, innanzitutto, la ricerca di nuove soluzioni politiche come quella del Centrosinistra. L’ingresso al governo dei socialisti, a loro volta allontanatisi dai comunisti, ancora legati al modello sovietico, col beneplacito degli Stati Uniti, fu guardato all’epoca come una grande occasione per modernizzare il Paese e farlo progredire; in effetti, molte speranze furono deluse, ma nel corso degli anni si conseguirono certamente alcuni importanti risultati: un crescente impegno dello Stato nell’attività economica (specialmente nel campo delle infrastrutture, p.e. dell’energia), la riforma del diritto di famiglia con l’effettiva realizzazione di quella parità uomo-donna già prevista dalla Costituzione, con la legge sul divorzio e sull’aborto, l’abolizione dei manicomi ecc.

Gli anni Sessanta sono spesso considerati l’epoca d’ora della “distensione” tra U.S.A. e U.R.S.S., i cui protagonisti sarebbero stati rispettivamente J. F. Kennedy e N. Chruscev. Se guardiamo a fondo, tuttavia, dobbiamo registrare una continuità nel c.d. equilibrio del terrore, culminato nella crisi dei missili di Cuba del 1662 e sfociato nella famosa guerra del Vietnam (1962-75) che tanti effetti ebbe non tanto sul piano strettamente militare, quanto su quello politico e culturale, favorendo quel vasto movimento auto-critico dell’Occidente che sfociò nella contestazione giovanile del ’68. Parallelamente a Est si registrò, dopo gli eventi di Budapest del ’56, la repressione della “primavera di Praga” del 1968.

Se negli Stati Uniti questa contestazione era più strettamente legata, oltre che a questa guerra, che toccava direttamente i giovani, ai problemi dell’università americana (elitaria, autoritaria, conservatrice ecc.), in Europa e, soprattutto, in Italia, pur attingendo motivi dall’esperienza americana, la contestazione assunse un  carattere più marcatamente “rivoluzionario”, cercando di saldarsi alle lotte operaie del periodo e ispirandosi alle teorie di Marx e di Freud, soprattutto in quella peculiare fusione e rielaborazione che, negli stessi anni, proponeva la Scuola di Francoforte (in particolare Herbert Marcuse). L’obiettivo era abbattere tutte le forme di autoritarismo e di oppressione, esercitate tanto dalla classe economicamente dominante quanto dalle istituzioni (famiglia, chiesa, scuola ecc.) repressive degli istinti dell’uomo, in particolare di quelli sessuali. Nonostante alcune ambiguità e contraddizioni (come quella, sottolineata da Pasolini, determinata dal fatto che i giovani protagonisti della “rivoluzione” appartenevano, paradossalmente, a quella stessa classe dominante borghese che volevano combattere), il Sessantotto dispiegò nel tempo i suoi effetti non tanto in campo politico, giuridico o economico (molte istituzioni, come le scuola e l’università, conservarono molte caratteristiche che avevano anche in precedenza, in particolare il fatto di essere fondate su regole piuttosto rigide e, nel caso di scuola e università, su sistemi di valutazione unidirezionali), quanto nel campo del costume e della cultura, nel quale si registrò una diffusa liberalizzazione negli atteggiamenti e nei comportamenti.