La “falsa” caduta dell’impero romano nel 476

Per impostare correttamente lo studio della storia medioevale (che comincia convenzionalmente dopo il 476 d.C, data della presunta caduta dell’impero romano) bisogna comprendere bene il contesto religioso, culturale e politico all’interno del quale ci muoveremo.

Tradizionalmente ci si rappresenta l’inizio del Medioevo come effetto della caduta dell’impero romano nel 476 o, pensando di essere più precisi, della caduta dell’impero romano d’Occidente. Si può tuttavia validamente argomentare contro tale interpretazione.

L’impero romano non è caduto nel 476 e la sua porzione occidentale non costituiva un impero a sé (che potesse quindi cadere).

Che cosa è accaduto?

Per comprenderlo bisogna fare un passo indietro.

Il passaggio dalla repubblica all’impero durante l’età di Cesare e di Augusto può essere interpretato come la transizione (tipica di molti regimi anche successivi) da uno Stato dominato da una ristretta aristocrazia cittadina (il patriziato romano, la classe senatoriale) a uno Stato divenuto troppo vasto per essere gestito da pochi uomini e da una sola città, nel quale assumono un peso decisivo i militari, coloro che di fatto garantiscono a questa stessa aristocrazia la sopravvivenza. Il populus (parola di origine etrusca che significa non a caso sia “popolo” sia “esercito”) diventa protagonista. I primi “imperatori”, come dice la parola stessa, non erano “monarchi assoluti”, semidivini, come nelle monarchie orientali o nell’antico Egitto, ma generali vittoriosi (imperator è il comandante dell’esercito dotato di imperium, cioè appunto del potere del comando assoluto, senza appello, richiesto da ovvie esigenze militari). Cesare era il capo del partito dei populares. Tra gli atti tipici dei primi imperatori c’era la distribuzione di terre ai veterani ecc.

Ora le file dell’esercito si ingrossano sempre più di “provinciales” (come in tempi successivi si ingrosseranno sempre più di barbari). Molti degli stessi imperatori sono di origine provinciale. Si comprende, dunque, come mai nel 212 con l’editto di Caracalla la cittadinanza romana, prima riservata agli abitanti dell’Italia (dopo le guerre sociali) fino al Rubicone (confine esteso poi da Cesare alle Alpi, di qui i frequenti toponimi in onore di Cesare delle nostre regioni, come Forum Iulii (Friuli), Alpi Giulie, via Iulia-Augusta, Iulium Carnicum (Zuglio) ecc.), viene estesa a tutti gli abitanti dell’impero.

L’Italia cessa di essere il territorio metropolitano dell’impero (vedi cartina qui sopra), perde la propria centralità e identità politica, e diventa una provincia come le altre. Dopo la fase di anarchia militare del III sec., a cui si cerca di porre un argine con la riforma della tetrarchia di Diocleziano (autore anche dell’ultima grande persecuzione anticristiana, coadiuvata da filosofi pagani, come Porfirio, volta a bloccare la diffusione di una setta percepita come disgregatrice dell’impero, perché ostile alle sue divinità), Costantino compie due atti fondamentali:

  1. permette la diffusione del cristianesimo che francamente privilegia (vedendolo, all’opposto di Diocleziano, come un potenziale “collante” per l’impero) – editto di tolleranza del 313, concilio di Nicea del 325 -;
  2. trasferisce la capitale dell’impero a Bisanzio, ribattezzata Costantinopoli (o Seconda Roma). Con tale duplice atto egli rende possibile all’impero una sopravvivenza ben oltre la “fatidica” data convenzionale del 476.

Infatti, dopo l’inizio delle “invasioni barbariche” dell’Occidente (che si possono far cominciare nel 406, quando numerose tribù germaniche, in particolare di Franchi, varcano in massa il limes renano e invadono la Gallia, futura Francia), che cosa accade? Si costituiscono, sempre in Occidente, i cosiddetti regni romano-barbarici e in particolare: il regno dei Franchi (embrione della futura Francia), il regno dei Visigoti (embrione della futura Spagna, cfr. l’etimologia della regione della Catalogna da “Gotha-landia“), il regno degli Ostrogoti (che subentra al dominio di Odoacre in Italia), i regni anglosassoni nell’antica Britannia romana (la famosa “eptarchia”), responsabili della cacciata dei Britanni (popolo celtico) dall’Inghilterra (molti riparano in Armorica, ribattezzata Bretagna: da questa vicende nasce probabilmente la leggenda di re Artù).

Tuttavia tali pur traumatici eventi non possono essere considerati causa della caduta dell’impero romano nel 476. Per quale ragione?

  1. L’impero romano comprendeva anche la porzione orientale che includeva anche la nuova capitale Costantinopoli, rimasta intatta.
  2. Quando, nel 395, alla morte di Teodosio il Grande (che, nel 380, aveva fatto a tempo a imporre il cristianesimo come religione di Stato), l’impero era stato “diviso” tra i suoi due figli Arcadio e Onorio, la divisione tra Oriente (assegnato ad Arcadio) e Occidente (assegnato ad Onorio) aveva svolto una funzione puramente amministrativa, non diversamente dalla divisione in quattro sezioni al tempo della tetrarchia di Diocleziano (fine del III sec.). Non si trattava, cioè, della nascita di due distinte entità politiche, ma soltanto di una separazione “di comodo” legata alla difficoltà di controllare da parte di un solo imperatore territori tanto vasti. A riprova di ciò si può ricordare che le leggi restavano comuni alle due “sezioni” (e verranno poi fissate definitivamente nel 528 e ss. nel Corpus iuris civilis ad opera dell’imperatore Giustiniano che, tra l’altro, “libererà” l’Italia, l’Africa settentrionale e parte della Spagna dai barbari), così come la moneta, la lingua ecc. (il latino rimane lingua ufficiale dell’impero fino al 610). Dunque la perdita delle regioni occidentali (e dell’antica capitale, Roma), passate di fatto ai barbari, per quanto dolorosa, non comportava la “fine” dell’impero, neppure dell’impero d’occidente, perché non esisteva alcuna entità politica con questo nome.
  3. Nel 476 Odoacre depone certamente l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo, (come in precedenza altri capi militari di origine barbarica – o meno – avevano deposto altri imperatori), ma si proclama “patrizio romano” e, mandando le insegne imperiali a Costantinopoli, mostra formale obbedienza all’unico imperatore rimasto, Zenone (dunque almeno formalmente l’Italia rimaneva parte dell’impero, non diversamente dagli altri regni romano-barbarici i cui sovrani, in genere, si consideravano “foederati” o “dediticii” rispetto a Roma, secondo una prassi “pattizia” risalente al IV sec.).
  4. La religione ufficiale in tutti i territori dell’impero, compresi quelli caduti sotto il dominio dei barbari, rimaneva quella cristiana , organizzata dalla Chiesa cattolica (cioè universale) sulla base dei dogmi fissati nei concili di Nicea (325), Costantinopoli (381), Efeso (430) e Calcedonia (451). È vero che per qualche tempo i nuovi padroni germani continuarono ad aderire a una versione “eretica” della fede, l’arianesimo, ma a poco a poco anche costoro si convertirono (prima i Franchi, con Clodoveo, nel 498, il che favorì la precoce fusione dell’elemento germanico con quello gallo-romano, gettando le basi della nascita del popolo e della lingua “francese”; poi i Visigoti con Recaredo nel 587; infine i Longobardi, subentrati in Italia agli Ostrogoti, dopo la parentesi “bizantina”, a poco a poco, a partire dal regno della regina Teodolinda, nell’VIII sec.).

Se la data del 476 non può essere considerata una cesura significativa, da quando dovremmo fare iniziare il Medioevo? Ogni “periodizzazione” contiene qualcosa di arbitrario (non ci sono eventi, per quanto drammatici, che possano far cambiare improvvisamente il modo di vivere delle persone da un momento all’altro, giustificando il “salto” in una nuova epoca), tuttavia sembra più ragionevole seguire i suggerimenti dello storico Henri Pirenne che propone come epoca della “svolta” il VII sec. Per quale ragione?

Come accennato nel 610 l’imperatore Eraclio decide di adottare come lingua ufficiale dell’impero il greco invece del latino (era la lingua di fatto più diffusa tra i parlanti dei territori rimasti all’impero, Grecia, Asia minore, Siria, Egitto ecc., eredi degli antichi regni ellenistici, poi romanizzati; oltre che la lingua della liturgia cristiana e nella quale si leggeva la Bibbia). Anche se i Romani d’Oriente continuarono fino alla caduta di Costantinopoli nel 1453 a chiamarsi appunto “Romàioi” cioè Romani in greco e non Bizantini (come li chiamiamo noi a seguito di una proposta di uno storico francese dell’Ottocento), possiamo considerare questa “svolta” culturale come il segno dell’inizio di un progressivo allontanamento del mondo che ruotava intorno a Costantinopoli dall’Occidente (il quale si avviava lentamente sulla strada che l’avrebbe portato a Carlo Magno e al feudalesimo), allontanamento che culminerà con lo scisma d’Oriente del 1054, quando la Chiesa cattolica romana si separerà definitivamente dalla Chiesa ortodossa greca (ancora oggi separate).

Il 622 è la data della fuga di Maometto (Muhammad) dalla Mecca (égira), anno dal quale i musulmani iniziano a contare la loro era (come i cristiani contano dalla nascita di Gesù). Nel giro di meno di un secolo gli Arabi, ispirati dalla nuova religione dell’Islam, conquistano tutti i territori “romani” (bizantini) a est dell’Asia minore (attuale Turchia), dunque Egitto, Siria, Palestina ecc., cancellano l’impero persiano (che aveva tenuto testa ai Romani per secoli), si espandono nell’Africa settentrionale occidentale (Maghreb) e sottraggono perfino la Spagna ai Visigoti. Il Mar Mediterraneo diventa il luogo della razzie dei pirati saraceni (musulmani). Viene meno l’unità della civiltà mediterranea sia sotto il profilo religioso che culturale (nelle regioni cadute sotto il dominio islamico l’arabo, la lingua del Corano, subentra al greco e al latino come lingua ufficiale).

Il Papa, vescovo di Roma, suprema autorità morale dei cristiani, isolato sempre più da Costantinpoli (ma senza ancora rompere ufficialmente con l’impero d’oriente!), intimorito dall’avanzata musulmana e direttamente minacciato dalla pressione dei Longobardi, tenderà sempre più a guardare ai Franchi (i primi barbari a convertirsi al cattolicesimo e a fondersi con i latini) come alla sola ancora di salvezza. Inizia il percorso che culminerà con la proclamazione di Carlo Magno nel natale dell’ 800 imperatore dei romani (oltre che re dei Franchi e dei Longobardi). Tuttavia, anche tale evento, caricato successivamente di grande valore simbolico, non comportava una rottura completa con l’Oriente. Infatti, Carlo Magno prima prese a pretesto il fatto che sul trono di Costantinopoli vi fosse una donna, Irene, per farsi riconoscere imperatore (come se mancasse una legittima autorità imperiale e il trono fosse vacante), poi propose a Irene stessa di sposarlo (per legittimare se stesso come imperatore romano). Anche se non se ne fece nulla e anzi vi furono scontri militari episodici tra i due “imperi”, questi fatti suggeriscono come vi fosse ancora una diffusa consapevolezza dell’unicità dell’impero e che quello d’Oriente fosse considerato l’erede legittimo dell’impero romano. Tale consapevolezza non tramontò neppure al tempo degli imperatori sàssoni (del Sacro Romano Impero, cioè dell’impero rifondato da Carlo Magno in Occidente) che, nel X secolo, intrecciarono il loro destino con principesse di Costantinopoli come Teofano e tentarono, soprattutto con Ottone III, di ristabilire la capitale a Roma.

Anche la storia dell’arte testimonia di questa persistenza della cultura “romana” nell’Occidente barbarico. Quale stile, infatti, prevale in Occidente e, in particolare, in Italia anche durante la dominazione dei Longobardi e dei Franchi? Lo stile cosiddetto “bizantino”!

Per quale ragione nei libri di storia si enfatizza la (presunta) caduta dell’impero nel 476 e si dà importanza alla storia dei regni barbarici e, in particolare, alla figura di Carlo Magno, come se egli rifondasse un impero che aveva cessato di esistere da secoli (mentre, come abbiamo visto, era “vivo e vegeto” in Grecia e Asia minore)? La cosa si spiega così: i principali studi storici dell’Ottocento e del Novecento fiorirono in Francia e in Inghilterra, Paesi che si riconoscevano nella tradizione dei regni costituiti dai barbari e cercavano, in qualche modo, di celebrare le proprie origini nell’Alto medioevo barbarico, sottovalutando l’apporto dei cosiddetti “bizantini” spesso considerati con un sottile disprezzo (come se si fosse trattato di una civiltà statica, immobile, al tramonto ecc.); l’impero d’Oriente cadde sotto i colpi dei Turchi nel 1453 e nessuno Stato attuale (con la sola parziale eccezione della Grecia) può esserne considerato erede. Dunque non vi è una tradizione nazionale di studi storici che abbia interesse a valorizzare le vicende di questo impero.

Puoi seguire tutte queste vicende sotto il profilo geopolitico su questa mappa dinamica (dall’anno 299, ossia dal tempo di Diocleziano).

Sulla caduta dell’impero romano d’occidente cfr. anche questa puntata di Passato e presente (Rai).