Letto questo articolo contenente un’interessante intervista a Nicola Zippel, come “esperto” di pratiche filosofiche (non di debate!) anche se non specificamente di “P4C” (Philosophy for children) mi permetto solo alcune osservazioni.
Senz’altro, come sostiene Zippel, “prima di mettere in discussione qualche pensatore, devi conoscere profondamente le sue idee, devi pensare come lui, con la sua testa (per imparare poi a pensare con la tua)”.
Prima della critica, c’è l’ermeneutica, che, tra l’altro, potrebbe durare una vita intera!
Ma la questione è un’altra. Lo studio dei filosofi, degli autori, è “filosofia”? No, è e deve essere “storia della filosofia”, attività di grande rilevanza culturale per introdurre nelle sinapsi preziose “considerazioni inattuali”, che ci difendano (difendano i nostri studenti) dai luoghi comuni del nostro tempo.
Ma non è esercizio filosofico.
L’esercizio filosofico, in prima persona, non consiste neppure nell’argomentare una tesi, meno che mai una tesi “assegnata”, come nel debate (attività “retorica”, che ricorda quelle delle “suasoriae” e “controversiae” di ciceroniana memoria).
L’esercizio filosofico, “dialogo dell’anima con se stessa” (nella versione platonica) consiste nel chiedersi i fondamenti di quello che si pensa, saggiarne la consistenza, sviscerarne eventuali incongruenze ecc.
Lo stesso Zippel propone di partire da se stesso, dal docente, dalla sua comprensione di questo o quell’autore. Evidentemente ciò ne fa qualcosa di vissuto e testimoniato, di vivo, dunque di attraente per gli studenti (e questo è senz’altro un buon consiglio).
Ma perché allora non interrogare i nostri stessi studenti, socraticamente, maieuticamente (ovviamente nelle occasioni in cui la cosa ha senso e certamente non tutti i giorni!)?
La mia esperienza mi suggerisce che le loro opinioni, senza che lo sappiano, sono radicate nella loro cultura (religiosa, politica ecc.), cioè in quella delle loro famiglie, delle loro cerchie amicali ecc. Attraversando la loro visione del mondo si può arrivare a Nietzsche, Freud, Agostino ecc., cioè a quei riferimenti impliciti, spesso assunti acriticamente e quindi in modo semplificato e riduttivo, che senza saperlo li “abitano”.
In questo modo, secondo me, si possono unire l’esercizio filosofico, come abito critico e autocritico, e l’evocazione, quanto mai necessaria, di segmenti della nostra cultura antica, medioevale e moderna che conferiscano profondità alla nostra
esperienza.
L’intervista a Nicola Zippel mi ha fatto riflettere ancora una volta sul senso del mio “insegnare filosofia” (attività impossibile, per certi aspetti) e mi è piaciuto condividere questa riflessione con
il viandante della Grande Rete.