6 pensieri su “Pregi e limiti del fallibilismo

  1. Popper introduce il principio di falsificabilità come criterio di demarcazione tra discorso scientifico e non scientifico. In base a questo criterio una teoria è scientifica se chi l’ha elaborata sa specificare che cosa dovrebbe accadere perché la teoria sia confutata.
    Tale approccio ha diversi pregi. Innanzitutto permette di salvare le parti puramente teoriche delle teorie scientifiche; inoltre, mentre per verificare empiricamente una teoria dovrei fare infinite osservazioni, per falsificarla è sufficiente una sola osservazione.
    I quattro tipi di controllo, introdotti da Popper:
    – confronto logico delle conclusioni tra loro;
    – indagine della forma logica;
    – confronto con altre teorie;
    – controllo della teoria;
    presentano però alcuni limiti, in quanto, se in una teoria falsa aumentano le conseguenze vere, aumentano anche le conseguenze false ed inoltre, più semplicemente, noi non abbiamo le capacità per definire una teoria più vera dell’altra e non è possibile contare il numero di errori contenuti in una teoria.
    Quindi, secondo me, da un lato la teoria di Popper risolve alcune lacune degli empiristi ma dall’altro introduce delle definizioni inconsistenti.

    1. Hai anticipato le critiche a Popper di cui abbiamo, in parte, parlato oggi in aula, cogliendo effettivamente alcuni punti deboli del fallibilismo. Non direi, tuttavia, che le definizioni di Popper sono inconsistenti, a meno che tu non ti riferisca specificamente alla sua teoria della verisimilitudine esposta nel tuo penultimo capoverso.

  2. Il fallibilismo consiste nel credere per vera un’affermazione fino al momento in cui essa non fallisce e non risulta più vera. Questo approccio può essere scientifico fino al memento in cui risulta impossibile da confutare anche in linea di principio, qualunque controllo empirico si effettui, allora essa non risulterà più scientifica il che non rende questo metodo del tutto scientifico ma piuttosto dogmatico poi ad un certo punto non resta che credere che sia vero finché non succederà qualcosa che lo confuti.
    Questo metodo però ha anche dei pregi ed è infatti utile per spiegare o piuttosto dare per vero “parti” puramente teoriche delle teorie scientifiche, non direttamente soggette a controlli empirici.

    1. Non è molto chiaro. Mi sembra che nella tua analisi si confondano due piani: quello del fallibilismo, cioè della teoria di Popper, e quello delle teorie scientifiche che esso discute. Il fallibilismo, come tale, è una teoria filosofica (epistemologica) e non è un “approccio scientifico”. Il fatto che sia inconfutabile (empiricamente) non fa problema. Che cosa è allora, secondo te, dogmatico? Il fallibilismo stesso? Ma non può succedere alcunché che lo confuti (empiricamente, almeno; le critiche che gli sono rivolte sono di carattere teorico o storico-culturale). Viceversa la singola teoria scientifica può essere soggetta a confutazione empirica. Che cos’ha di dogmatico? Insomma, secondo me, hai confuso questi due piani o non ti sei espressa in modo efficace.

  3. Personalmente trovo molto interessante l’approccio di Popper alla scienza. Penso che, in generale, applicare il “dubbio” alle nostre opinioni, osservazioni, credenze, valori ecc. sia il modo più efficace per stabilire se esse/i siano da confermare o al contrario da “eliminare”, e questo criterio applicato alla scienza risulta essere convincente. Permette di enunciare teorie universali senza dover essere vincolati all’osservazione dei fenomeni e cerca non solo di determinare se una teoria è scientifica o meno ma anche quanto è scientifica e quanto è vera rispetto alle altre. A mio parere il problema, (se così si può chiamare, perché in fin dei conti non è un vero problema, visto che la teoria di per sé regge comunque) è determinare ciò che è vero (in definitiva, non rispetto alle altre teorie. Qualcosa che possiamo dare per assodato) e ciò che non lo è. Potrei formulare due teorie sullo stesso fenomeno che attribuiscono al suddetto fenomeno cause completamente diverse, pur essendo entrambe verificate a livello di calcolo e, perché no, di osservazione. E allora come distinguiamo qualcosa di vero, di “ottenuto” da qualcosa che invece è solo apparentemente vero? E sopratutto, è possibile farlo? Oppure esiste la concreta possibilità di credere a qualcosa che in realtà è falso? La risposta che al momento mi sono dato è quella di rimanere sempre aperto mentalmente, ed essere pronto ad accettare dei cambiamenti. Il dubbio esiste, ma poiché in qualche modo col mondo bisogna relazionarsi accetto queste teorie (che sono comunque molto, molto plausibili, c’è da dire).

    1. Ottima riflessione. Un’altra soluzione, rispetto la tua, sarebbe quella di “tornare” al convenzionalismo di Poincaré e Duhem: non è importante che una teoria sia “vera”, basta che sia compatibile con i fenomeni e funzioni!

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