L’Italia tra Caporetto e il Piave

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2018-11-20 Tutto il giorno

Dopo aver letto il quadro storico che emerge dalle pagine a cui si rinvia nell’introduzione al modulo su imperialismo e prima guerra mondiale, leggi (o rileggi) il cap. 5 del libro L’Italia del Piave di Daniele Ceschin (lo puoi scaricare da questa pagina protetta da password) che dovrebbe aiutarti a ricordare i passaggi più rilevanti della conferenza dell’autore del 19 novembre.

Rispondi, a questo punto, al seguente quesito:

  • Quali aspetti del “fronte interno” italiano, nel periodo che va dalla rotta di Caporetto alla riscossa del Piave (ottobre 1917 – novembre 1918), ti sembrano storicamente più rilevanti (o perché forieri di effetti nel periodo immediatamente successivo o, all’opposto, perché “rimossi”, cancellati dal ricordo e meritevoli, pertanto, oggi, di rimemorazione)?

7 pensieri su “L’Italia tra Caporetto e il Piave

  1. Durante la conferenza di oggi, nella presentazione del libro L’Italia del Piave di Daniele Ceschin sono spiccati vari aspetti meno risaputi ma non per questo di minor importanza:
    con un calcolo approssimativo dei morti della prima guerra mondiale si può dire che ne siano morti circa 53 al giorno un dato che ci porta molto a riflettere data anche la condizione dei soldati (gli elmetti vennero usati solamente nell’ultimo anno di guerra)
    Udine fu la capitale italiana della guerra infatti dal friuli furono circa 150000 le persone che migrarono in altri paesi italiani
    Ma cosa portava i soldati a continuare a combattere? Furono molti i giornali di trincea che attraverso le loro vignette satiriche risollevavano gli umori dei soldati ma anche la voglia di cibo (i soldati pesavano dai 55 ai 65kg) infatti venivano invogliati dicendo che al di la del piave era pieno di grano, il che li spronava a continuare
    Un altro aspetto che non avevo mai sentito prima e che mi ha stupito è che mandavano a farsi imprigionare dai nemici i malati di colera in modo tale da contagiarli ed eliminare una parte senza ‘armi’.
    Un altro aspetto che spronava i soldati fu quello di riprendersi i morti, sul piave e sul grappa infatti fu tutt’al più una guerra difensiva, di resistenza, molte furono le famiglie che non ebbero il corpo del loro caro poichè le condizioni non lo permettevano o perchè non venne ritrovato ma cercarono di portarne a casa il più possibile
    Un aspetto invece sul quale ribadì molto Ceschin è quello di volerli chiamare morti e non caduti, non caduti perchè a parer suo questa parola sembra intenda che possono rialzarsi, visto un po’ anche da cristiano, morti invece gli conferisce più la loro importanza e il loro sacrificio.
    Io non concordo molto con questa decisione poichè sencondo me ‘caduti’ conferisce l’importanza di qualcuno che se n’è andato per il bene altrui, caduti ma che appunto si può rialzare nel ricordo di un popolo futuro, ricorda la brutalità di quanto accaduto.

    1. Ringrazio anche te del prezioso feedback. Interessante la tua riflessione sul valore del termine “caduti”, magari depurato dalla retorica dal quale spesso è ammantato.

  2. Uno degli aspetti che nel periodo tra la disfatta di Caporetto del 1917 e il novembre del 1918 mi è sembrato più rilevante è l’enorme azione propagandistica che è stata messa in atto. Si fece molta pressione sui giornali, come detto nella conferenza di oggi, per esaltare così le vittorie e per minimizzare e contestualizzare le sconfitte. In quel periodo infatti vennero fatti uscire numerosi giornali propagandistici e vari periodici per enfatizzare il valore e la forza dei soldati che avevano portato a vittorie e conquiste, e non mancarono inoltre sul ramo delle comunicazioni vari slogan di forte impatto. Solo per citarne alcuni, molti puntavano su aspetti più “ personali” m come quello dove si incitava i so,dati a ife dire il volere e i corpi delle proprie donne, che sarebbero in altro modo finite nelle mani crudeli del nemico, e sul valore delle singole persone. Ed è proprio in quegli anni che uscirono vari manuali per i generali che spiegavano come motivare le proprie truppe e fornivano esempi di retorica e di discorsi che dovevano seguire per stimolare i soldati alla guerra.Dall’ altro lato, per non minare L immagine che si voleva creare della guerra che era in corso, vennero nascoste molte cose al popolo, come ad esempio non vennero mai riportati ai paesi di origine e alle loro famiglie i corpi dei parenti caduti in battaglia, per non trasmettere un immagine buia e angosciosa del conflitto, oppure, elemento ancora più eclatante, i soldati con mutilazioni evidenti vennero per lungo tempo tenuti nascosti e non fatti circolare, per evitare così che da casa vedessero quali potevano essere delle conseguenze più reali e concrete di ciò e che avveniva in guerra.

    1. Grazie per il prezioso feedback anche rispetto alla conferenza alla quale purtroppo non ho potuto assistere.

  3. Dopo aver letto il capitolo V del libro “L’Italia del Piave”di Daniele Ceschin un’aspetto rilevante riguardante gli anni 1917-18 potrebbe essere il fatto che, una volta terminata la guerra, siano stati modificati e migliorati diversi aspetti sociali: il ripristino dell’Ispettorato del lavoro (interrotto durante la guerra) che permise di tutelare maggiormente le lavoratrici e i minori, l’istituzione (verso la fine della guerra) di una sorta di cassa integrazione che rimborsava il salario non percepito dai lavoratori durante la guerra. Nel dopoguerra non cessarono però gli scioperi da parte dei lavoratori, in particolare quelli delle fabbriche metallurgiche e tessili.
    Un altro aspetto rilevante poi, secondo me, riguarda il fatto che la ripercussione civile, in seguito alla perdita dei territori del Friuli e parte del Veneto, abbia creato un flusso migratorio che partiva da queste due regioni e interessava quasi tutte le altre regioni italiane; nacque però il problema di dove collocare questi profughi, impedendogli di stabilirsi nelle grandi città. E questo creò molti problemi nei rapporti tra questi profughi e gli abitanti delle altre regioni italiane.

  4. Leggendo il capitolo del libro di Daniele Ceschin e dopo aver ascoltato la conferenza credo vi sia più di un aspetto rilevante da riportare per quanto riguarda la “vita da trincea”.
    Prima di tutto il fatto che gli spazi urbani persero progressivamente le loro caratteristiche locali assumendo i tratti militari, economici, culturali del conflitto che svolgeva, in questo senso, una funzione omologante; ogni città o quartiere lavora esclusivamente in funzione del conflitto, come si può notare maggiormente in quelle del nord-est, in particolare Treviso.
    Una grande importanza ebbe poi la propaganda di guerra che amplificando le vittorie e ridimensionando le sconfitte, esaltando il valore eroico dei soldati e sottolineando l’inferiorità del nemico, spronava gli uomini ma in generale anche la gente del popolo a continuare a combattere con la speranza di poter raggiungere condizioni migliori; si formò così una sorta di “ideologia” alla Marx.
    Successivamente, ad un certo punto del conflitto, circa 2/3 della forza lavoro era stata perduta per il grande numero di uomini-soldato. Per la difficoltà a trovare manodopera vengono reclutati anche profughi e prigionieri di guerra, a formare una sorta di schiavismo. Anche le donne, ebbero un ruolo fondamentale poichè non si occuoavano solamente di attività “leggere” ma si impegnavano ad allestire mascheramenti, scavare trincee, manutentare strade e lavorare nei laboratori per gli equipaggiamenti militari: alla fine della guerra le donne impiegate erano circa 20.000.
    Solitamente si suol banalizzare sui numeri; è importante sottolineare però che i morti in Italia furono 680000, dunque circa 530 al giorno, un numero elevatissimo. Inoltre vi furono in totale 500000 profughi per fuggire dalle zone “calde” del conflitto, tra cui 134000 provenienti da Udine, che ha rappresentato il sede del comando supremo.

  5. Ritengo che l’aspetto più rilevante del fronte interno italiano riguardò i problemi della sua popolazione, non solo di quella che abitava vicino ai confini austro-ungharici, ma di tutti gli italiani.
    Infatti tutto il paese fu soggetto ad un’applicazione delle leggi in stile militare con pene molto severe, per le quali molti cittadini e chierici vennero condannati per aver manifestato apertamente il loro dissenso.
    In aggiunta a questo, in seguito alla disfatta di Caporetto, tutta l’Italia fu costretta ad ospitare migliaia di profughi, requisendo edifici e peggiorando ulteriormente la situazione italiana.

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