&  B. Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata (XVII sec. d.C.)

 

 

Si dice libera quella cosa che esiste per sola necessità della sua natura e che è determinata da sé sola ad agire; si dice invece necessaria, o meglio coatta, quella cosa che è determinata da altro ad esistere e ad agire in una certa e determinata maniera (Ethica, Parte I, definizione VII).

 

Gli uomini s'ingannano nel credersi liberi; e tale opinione consiste soltanto in questo, che essi sono consapevoli delle loro azioni e ignari delle cause da cui sono determinati. L'idea della loro libertà è dunque questa: che essi non conoscono alcuna causa delle loro azioni. Se dicono, infatti, che le loro azioni dipendono dalla volontà, queste sono parole con cui non collegano nessuna idea; perché tutti ignorano ciò che è la volontà e in qual modo essa muove il corpo; quelli che blaterano di altro, e immaginano sedi e dimore dell'anima sogliono suscitare o riso o nausea (Ethica, Parte II prop. XXI I I, scolio).

 

Vedremo facilmente in che cosa differisca un uomo che è guidato soltanto dall'affetto o dall'opinione, da un uomo che è guidato dalla ragione. Il primo, infatti, lo voglia o no, fa ciò che ignora completamente; il secondo, invece, non si conforma a nessuno se non a se stesso, e fa solo ciò che sa essere più importante nella vita e che perciò desidera di più; e quindi lo chiamo schiavo il primo e libero il secondo (Ethica, parte IV, prop. LXVI, scolio).

 

L'uomo libero, cioè l'uomo che vive secondo il solo dettame della ragione, non è guidato dalla paura della morte, ma desidera direttamente il bene, cioè desidera di agire, di vivere, di conservare il suo essere secondo il principio della ricerca del proprio utile; e perciò a nulla pensa meno che alla morte, ma la sua sapienza è una meditazione della vita (Ethica, parte IV Dimostrazione della proposizione LXVII).

 

[...] Nella vita, dunque, è anzitutto utile perfezionare l'intelletto o la ragione, per quanto possiamo, e in questo soltanto consiste la suprema felicità dell'uomo, ossia la beatitudine; giacché la beatitudine non è altro se non la stessa acquiescenza dell'animo che deriva dalla conoscenza intuitiva di Dio[1]; ora, perfezionare l'intelletto non è altro che conoscere Dio e gli attributi di Dio e le azioni che seguono dalla necessità della sua natura. Quindi il fine ultimo dell'uomo che è guidato dalla ragione, cioè la cupidità[2] suprema mediante la quale egli si sforza di governare tutte le altre cupidità, è quella che lo porta a concepire adeguatamente sé e tutte le cose che possono essere oggetto della sua conoscenza chiara e distinta.

Non c'è, dunque, vita razionale senza intelligenza; e le cose sono buone solo in quanto aiutano l'uomo a godere della vita della Mente, che è definita dall'intelligenza[3]. Invece noi chiamiamo cattive solo quelle cose che impediscono che l'uomo perfezioni la sua ragione e goda della vita razionale.

Ma poiché tutto ciò di cui l'uomo è causa efficiente, è necessariamente buono, nessun male, dunque, può accadere se non da parte delle cause esterne; cioè in quanto egli è una parte di tutta la natura, alle cui leggi la natura umana deve obbedire ed alla quale essa è costretta ad adattarsi quasi in modi infiniti.

Ma la potenza dell'uomo è assai limitata, ed è superata indefinitamente dalla potenza delle cause esterne, e quindi noi non abbiamo un potere assoluto di adattare al nostro uso le cose che sono fuori di noi. Tuttavia, sopporteremo con animo tranquillo gli avvenimenti contrari a ciò che è richiesto dalla considerazione della nostra utilità, se siamo consapevoli che abbiamo fatto il nostro dovere, che la nostra potenza non poteva estendersi sino al punto da poterli evitare, e che siamo una parte di tutta la natura, il cui ordine noi seguiamo. Se comprendiamo questo chiaramente e distintamente, quella parte di noi che è definita dalla intelligenza, cioè la parte migliore di noi, l'accetterà con piena soddisfazione, e si sforzerà di perseverare in questa soddisfazione. in quanto, infatti, comprendiamo, noi non possiamo appetire se non ciò che è necessario, né, in generale, trovare soddisfazione se non nel vero; e perciò, nella misura in cui comprendiamo ciò rettamente, lo sforzo della parte migliore di noi si accorda con l'ordine di tutta la natura (Appendice alla Parte IV).

 

In che cosa consiste la libertà per Spinoza?

Si può parlare, per Spinoza, di libero arbitrio o di libertà di scelta tra bene e male? Si, no, perchè?



[1] In Spinoza Dio è la stessa Natura (panteismo), non ha le caratteristiche personali del Dio cristiano, ebraico o islamico. I suoi attributi sono l’estensione (cioè la stessa materia dell’universo o lo spazio tridimensionale) e il pensiero (comune agli uomini). Conoscere Dio e i suoi attributi significa conoscere la natura dell’universo.

[2] desiderio.

[3] Come per gli antichi stoici, per Spinoza la nostra anima è un scintilla della mente di Dio. Pensare è, quindi, partecipare della stessa natura razionale di Dio.