&  da Platone, Repubblica, 427e-434a

Le virtù della città: sapienza, coraggio, temperanza, giustizia

 

[dal Libro IV]

(427e) ‑A questo punto, possiamo riprendere il nostro problema, della giustizia e dell'ingiustizia, in questo modo. Penso che la nostra Città, se è ben costruita, dovrà anche essere perfetta. ‑Necessariamente, disse. ‑E allora, evidentemente, sarà anche sapiente, coraggiosa, temperante e giusta. evidente. ‑Di conseguenza, se scopriamo in essa alcune di queste virtù, quella che resta sarà quella che non abbiamo ancora trovato. (428a) ‑Come no? [...]

‑Ora, la prima che si presenta, la sapienza, (b) mi pare abbia qualcosa di particolare. ‑E che cosa?, chiese. ‑La Città che abbiamo descritto, mi sembra sapiente in quanto compie buone scelte. Non ti sembra? ‑Sì. ‑Ma questa è una  forma di scienza, perché è la scienza, e non l'ignoranza, che le ispira. chiaro. ‑D'altra parte, in una Città ci sono molti e diversi tipi di sapere. ‑ Certo. (e) ‑E in quella che abbiamo appena fondato, c'è una scienza che (d) non concerna un settore particolare, ma lo Stato nel suo suo insieme, e in particolare il modo di organizzare i suoi rapporti interni e quelli con gli altri Stati? ‑C'è sì. ‑E quale è, e in quali cittadini si trova?, gli chiesi. ‑E la scienza del custodire, e si trova in quelli che abbiamo detto custodi. ‑E in rapporto a questa scienza, come definiresti la Città? ‑Capace di buone scelte, rispose, e veramente sapiente. [...] (e) ‑Ne segue che se uno Stato, fondato secondo le leggi di natura, è sapiente nel suo insieme, ciò si deve alla sua classe e parte meno numerosa, e grazie alla scienza che in essa si trova, e la governa e la dirige. Ed è naturale, pare, che sia (429a) una minoranza, questa classe cui tocca in sorte questa scienza, che unica merita il nome di sapienza. ‑Proprio vero!, ammise. ‑Dunque, non so come, ma abbiamo trovato una delle quattro virtù che cercavamo, e dove risiede nello Stato. ‑Mi pare che l'abbiamo fatto a sufficienza.

‑E non è nemmeno difficile vedere che cosa sia il coraggio e in che parte dello Stato risieda, perché questo possa dirsi coraggioso. ‑Come? (b) ‑Come si può dire coraggiosa o vile una Città, dissi, se non guardando a quella classe che si batte e fa la guerra in sua difesa? ‑Certo, solo questo va considerato. ‑In effetti, non potrebbero renderla tale gli altri cittadini. ‑No, in effetti. ‑Dunque, uno Stato è anche coraggioso grazie a una parte di esso, se questa parte sa in ogni caso (c) cosa sia da temere, conforme a come è stata educata. Non è questo che chiami coraggio? [...] ‑Sì accetto la tua definizione. [...] (430c) ‑Due virtù, dunque, ci restano da scoprire (d) nella Città, dissi: la temperanza e quella per cui facciamo tutta questa ricerca, la giustizia. ‑Proprio così. [...] (e) Esamina la temperanza, dunque!

‑Bene. A prima vista, assomiglia a una forma di armonia e di equilibrio, più delle virtù precedenti. ‑In che senso? ‑Nel senso che è una specie di ordine e di dominio sulle passioni e sui desideri, per cui anche comunemente si dice che uno "è padrone di sé". Non è vero? ‑Certo, è proprio così. ‑Ma non è strana, questa espressione? Perché se uno è padrone di sé, è anche servo di se, e viceversa, (431 a) dato che si tratta sempre della stessa persona. ‑Come no? ‑Potrebbe però anche significare che nell'anima di un uomo ci sono due parti, una migliore e una peggiore, e quando la prima domina sulla seconda, si dice "padrone di sé" per lode, quando invece ne è vinta, anche se è migliore, a causa di una cattiva educazione o di cattive compagnie, (b) si dice "schiavo di sé", cioè intemperante, per biasimo e disprezzo. ‑E a ragione, mi sembra. [...] (d) ‑E non vedi che tutto ciò si ritrova nella tua Città, dove le passioni della maggioranza viziosa sono dominate dall'equilibrio della minoranza virtuosa? ‑Sì. Dunque, se mai uno Stato si può dire padrone delle passioni, dei desideri e di sé stesso, è il nostro. ‑Assolutamente!, affermò. ‑E, in considerazione di ciò, non la diremo temperante? ‑Sicuro!, esclamò. ‑E se mai uno Stato vedrà l'accordo tra governanti e governati (e) su chi deve comandare, sarà sempre il nostro. Non ti sembra? Assolutamente, rispose. ‑Ma se le cose staranno così, in quali cittadini diremo che è la temperanza? Nei governanti o nei governati? ‑Negli uni e negli altri, disse. ‑Allora avevamo visto giusto poco fa, paragonando la temperanza a una specie di armonia. Che vuoi dire? ‑ Che qui non è come per la sapienza e il coraggio, che rendono lo Stato coraggioso e sapiente (432a) pur trovandosi in una parte di esso. La temperanza si estende a tutta la Città, creando armonia tra i più deboli, i più forti e quelli che stanno in mezzo o per intelligenza o per forza o per numero o per censo o altri motivi analoghi. [...] (b) ‑Sono completamente d'accordo, disse. ‑Bene, dissi, a quanto pare nella nostra Città abbiamo già trovato tre virtù. Quale potrà essere la quarta, quella che lo rende perfetto, se non la giustizia? ‑è evidente. [...]

(e) ‑Ebbene, è un pezzo che l'avevamo davanti agli occhi, e non l'avevamo vista! [...] ‑Come dici? [...] (433a) ‑Che è il principio che avevamo fissato fin dall'inizio, o qualcosa di simile. Ricordi che avevamo detto e ribadito che ogni uomo nella Città deve esercitare una sola funzione, quella per cui è nato? ‑Certo. ‑E abbiamo anche sentito da altri (b) e ripetuto noi stessi che la giustizia è che ciascuno faccia ciò che gli è proprio, senza impicciarsi d'altro. ‑Sì, anche questo. ‑Ebbene, questo "fare ciò che ci è proprio" potrebbe essere la giustizia, mio caro. E sai da dove lo argomento? ‑No, disse, dimmelo! [...] ‑Che, credo, è ciò che, dopo la sapienza, il coraggio e la temperanza, resta nella Città, che dà a queste virtù la possibilità di nascere e di conservarsi. [...] (c) logico, disse. ‑Non sarebbe facile decidere quale di quelle virtù rende buona la nostra Città; [...] (d) ma in senso specifico potrebbe essere questa, per cui bambini.e donne e schiavi e liberi e operai, governanti e governati, ciascuno fa ciò che gli spetta, senza intromettersi in ciò che è proprio d'altri. ‑Certo, che decidere non è facile. [...] Comunque, accetteresti che sia la giustizia, quella che gareggia con le altre per rendere virtuoso (e) lo Stato? ‑Certo. ‑Vedi ora se sei d'accordo anche su questo. Non è forse ai governanti che attribuisci il compito di fare i processi nella Città? ‑ Come no? ‑E nel giudicare a cosa penseranno più che a questo, che nessuno abbia l'altrui o sia privato del proprio? ‑A nient'altro. ‑Perchè così è giusto? ‑Sì. ‑ Anche da questo punto di vista la giustizia va riconosciuta come avere ciò che è proprio, (434a) fare ciò che tocca. ‑Certo.