&  da Platone, Repubblica, 434e-444a

Le virtù dell’anima o dell’individuo

 

(434e) ‑Bene, allora riportiamo all'individuo ciò che abbiamo assodato nello Stato, e se vi troviamo corrispondenza, la nostra ricerca si potrà dire riuscita; se no, dovremo tornare allo Stato, per approfondirla; (435a) e sfregandoli come pietre focaie, può darsi che ne sprizzi la giustizia, come una scintilla. ‑Questo è procedere con metodo, disse, e così si deve fare. [...] (b) ‑Ora, la Città ci è sembrata giusta in quanto le tre funzioni essenziali che la costituiscono fanno ciascuna ciò che le è proprio; e temperata, coraggiosa e sapiente per certe disposizioni e qualità di ciascuna di esse. vero. ‑Allora, mio caro, dovremo valutare l'individuo (c) in quanto ha nell'anima le stesse funzioni; e usare per lui i nomi usati per la Città, se queste si troveranno nelle stesse condizioni. Necessariamente, disse. ‑E allora, eccoci davanti al problema di stabilire se l'anima abbia in sé queste tre funzioni o no. ‑Un bel problema, disse, forse perché "difficili sono le cose belle". (e) ‑E d'altra parte, da dove vengono i caratteri degli Stati se non dai cittadini? [...] (436a) ‑è vero, disse. [...]

‑Ma la difficoltà per l'anima è questa: se tutte le nostre azioni vengano sempre dalla stessa facoltà, oppure una volta dall'una e un'altra dall'altra; in altri termini, se impariamo con una parte dell'anima, andiamo in collera con un'altra e proviamo i desideri del cibo, del sesso (b) e simili con un'altra ancora, o se ciascuna di queste azioni, quando vi siamo tratti, la compiamo con l'anima tutta intera. ‑Sì, questo è il problema. [...] (439b) ‑Prendiamo ad esempio un arciere: non è esatto dire che con le mani avvicina e a un tempo allontana l'arco; più corretto è dire che _con una lo allontana e con l'altra lo avvicina. (c) ‑è chiaro, disse. ‑Ma non diciamo anche che certe persone talora, pur avendo sete, si rifiutano di bere? ‑Certo, molte e spesso. ‑E cosa si dovrà dire di esse, se non che nella loro anima ci sono due principi diversi, uno che le spinge a bere e un altro che invece le frena, e che si impone? ‑Mi sembra che sia così. ‑E il principio che frena una passione, (d) non viene forse dalla ragione, mentre quelli che gli si oppongono vengono da desideri e turbamenti? ‑Sì, è così. ‑Allora, non è irragionevole ritenere questi due princìpi diversi tra loro, e definire l'uno ‑quello per cui si ragiona­ facoltà razionale dell'anima, e l'altro ‑quello con cui si ha fame e sete e si è agitati dalle passioni­facoltà irrazionale e concupiscente, in quanto legata ai piaceri e a ciò che li soddisfa. (e) ‑Certo che è ragionevole, anzi è così che si deve pensare.

‑E allora, possiamo considerare definite due facoltà dell'anima: ma la tendenza impulsiva, quella con cui ci adiriamo, la porremo come terza, o in una delle altre due? ‑Nella seconda, forse, la concupiscente. [...] (440b) ‑In molte occasioni, però, abbiamo visto che chi è trascinato dalle passioni contro la ragione, se la prende con se stesso e si adira contro il loro assalto, come se nel conflitto l'ira si schierasse dalla parte della ragione. [...]è vero. (c) ‑D'altra parte, mettiamo uno che si senta dalla parte del torto. Tanto più è di animo nobile, tanto meno se la prende se deve patire fame, freddo e altre pene del genere, inflittegli da chi a suo parere agisce secondo giustizia, anzi, contro costui non lascia che si desti in lui la rabbia. ‑è vero, disse. ‑Mettiamo invece uno che pensi di aver subito un torto. Questo ribolle di collera, si indigna e lotta per ciò che gli par giusto, ed è disposto a patire la fame, il freddo e ogni altro tormento del genere, (d) senza cedere, finché non abbia raggiunto la vittoria, [...] oppure non sia richiamato dalla ragione, come il cane dal pastore. ‑Immagine calzante, visto che abbiamo posto gli ausiliari come cani al servizio dei governanti, che sono come i pastori dello Stato. Hai ben compreso il mio pensiero, osservai. Ma pensa anche a qualcos'altro. (e) ‑ Che cosa? ‑Che sulla parte irascibile ci appare chiaro l'opposto di quello che dicevi poco fa. Non più, cioè, una manifestazione della concupiscenza, ma una forza che lotta a favore della ragione. ‑Proprio così. [...]

(441c) ‑Abbiamo dunque risolto il nostro problema, e siamo d'accordo che nell'anima di ogni uomo si trovano le stesse parti che ci sono nello Stato. ‑Senz'altro. ‑E allora, non ne viene che il singolo cittadino sarà sapiente nello stesso modo e per la stessa ragione per cui lo è lo Stato? ‑Come no? ‑(d) E lo stesso per il modo e la ragione che rendono coraggiosi. ‑Per forza. ‑E infine, si potrà dire che un uomo è giusto nel senso in cui si dice giusto lo Stato. ‑Anche questo è necessario. ‑E non ci siamo dimenticati che abbiamo detto giusto uno Stato in quanto ciascuna delle tre classi di cui è composto fa ciò che le tocca. ‑Certo, che non l'abbiamo dimenticato. ‑E dunque, ciascuno di noi (e) sarà giusto e farà il proprio dovere se ciascuna delle sue facoltà svolgerà la propria funzione. ‑Lo terremo ben presente.

‑Alla ragione, dunque, spetterà comandare, in quanto è sapiente e provvede all'anima tutta, e alla parte irascibile di ubbidirle e di esserle alleata? ‑Non c'è dubbio. ‑E non saranno ginnastica e musica unite, come dicevamo, che le accorderanno, l'una dando stimolo (442a) e alimento con belle parole e nozioni, l'altra dando calma, quiete e una certa qual grazia con l'armonia e il ritmo? ‑è chiaro, disse. ‑E così allevate e preparate ad assolvere il proprio compito, comanderanno sulla parte concupiscente, in modo che [...] non cresca a dismisura (b) [...] e non sovverta la vita della società intera. Esattamente, disse. [...] (e) ‑In definitiva, ciascuno sarà detto coraggioso in quanto la sua facoltà irascibile saprà conservare, nel dolore e nel piacere, il criterio fissato dalla ragione su ciò che è o no da temere. ‑Ben detto. ‑E sarà sapiente in quanto la piccola parte che in lui governa e dà questi comandi, possiede la scienza di ciò che giova a ciascuna delle tre parti e al loro insieme. ‑Esatto. ‑E sarà temperante in quanto la parte dominante e quelle sottomesse (d) si trovano d'accordo nel ritenere che alla ragione si deve ubbidienza, e mai ci si deve ribellare ad essa. ‑Proprio così, disse, sia nella Città che nell'individuo. ‑E infine sarà giusto, per i motivi che abbiamo detto. ‑Non c'è dubbio.

‑Già, dissi. C'è qualcosa che ci impedisce di vedere la giustizia come l'abbiamo vista nella Città? ‑Mi pare di no, rispose. [...] (443d) ‑Solo che qui essa non riguarda le azioni esterne, ma quelle interne, [...] cui l'individuo impone un equilibrio. [...] (e) E su questa base egli opererà, chiamando giuste e belle le azioni che conservino lo Stato, e sapienza la conoscenza che le ispira; (444a) e ingiuste le azioni che ne dissolvono l'ordine, e ignoranza l'opinione che la ispira.