Platone, Fedone [70d-72a]

 

Immortalità dell’anima: la prova dei contrari

 

xv. E proviamoci a considerare la cosa da questo punto, se cioè sia proprio vero che esistono nell’Ade le anime dei morti, oppure no. C’è, l’abbiamo già ricordata, una antica dottrina che esistono colà anime giuntevi di qui e che di là nuovamente tornano qui e che si rigenerano dai morti in nuovi esseri. Ora, se la cosa sta in questo modo, che cioè i vivi si rigenerano dai morti, non dovremo  inferirne che colà appunto sono le nostre anime?

Perché tu intendi che non si rigenererebbero se già non esistessero; e a riprova di questo basterebbe fosse realmente chiarito che non da altro si generano i vivi se non dai morti. Se poi non è così, allora bisognerà ricorrere ad altro ragionamento. —Benissimo, disse Cebète. —E allora, riprese Socrate, tu non hai da considerare la cosa, se vuoi fartene un’idea più spedita, solamente riguardo agli uomini, bensì anche riguardo agli animali tutti e alle piante; e, in una parola, dobbiamo vedere, rispetto a tutti gli esseri che hanno nascimento, se veramente tutti quanti si generano in questo modo, e cioè non da altro che dai contrari i loro contrari, quanti appunto si trovano ad avere il loro contrario, come il bello che è contrario del brutto, il giusto dell’ingiusto, e mille e mille altri allo stesso modo. Vediamo, dunque, di considerare questo, se davvero sia necessario, per tutti gli esseri che hanno ciascuno il suo contrario, che non da altro ciascuno si generi se non da quello appunto che è il suo contrario. Così, per esempio, quando si generi qualche cosa di grande, non è necessario che si generi grande in séguito, da piccolo che era prima? —Certo. —E se si genera qualche cosa di piccolo, non si  genererà piccolo dopo, da grande che era prima? —E cosi, disse. —E dunque, allo stesso modo, si genereranno dal forte il debole, dal lento il veloce. —Precisamente. —E se si genera qualche cosa di male, non si genera esso dal bene, e se qualche cosa di giusto, dall’ingiusto? —Senza dubbio. —Dunque, disse, ammettiamo noi come sufficientemente provato che tutti gli esseri si generano in questo modo, e cioè, rispettivamente, i contrari dai loro contrari? —Sta bene. —C’è poi anche, in essi, qualche cosa come di mezzo fra tutte queste coppie appaiate di contrari, cioè, dico, due processi generativi onde da un essere si passa nell’altro e poi dal secondo nuovamente nel primo. Così, per esempio, tra grande e piccolo, c’è di mezzo accrescimento e decrescenza, che è ciò che diciamo crescere e decrescere. — Sì, disse. — E dunque, decomporsi e comporsi, raffreddarsi e riscaldarsi, e tutti gli altri mutamenti siffatti, anche se qualche volta non abbiamo parole per esprimerli, non è comunque necessario che in realtà procedano sempre in questo modo; e che pertanto gli esseri si generino reciprocamente gli uni dagli altri, e che sia proprio di ciascheduno un processo generativo onde tutti si sviluppano a vicenda l’uno nelI’altro? —Proprio così, disse.

 XVI. Ebbene, disse, al vivere c’è qualche cosa di contrario, come all’essere sveglio è contrario il dormire? —Certamente, disse. —E che cosa è? —L’essere morto, disse. —E dunque questi due stati, se è vero che sono contrari fra loro, non si generano essi l’uno dalI’altro? e poiché sono due, anche i processi generativi fra loro non sono due? —Senza dubbio. —Bene, disse Socrate: di queste due coppie di contrari di cui si parlava ora, io te ne dirò una, e anche ti dirò i suoi processi generativi; e tu mi dirai l’altra. Io dico che da una parte c’è il dormire, dall’altra l’essere sveglio, e che dal dormire si  genera l’essere sveglio e dall’essere sveglio il dormire; e dico che i processi generativi di questi due stati sono, uno, I’addormentarsi, I’altro, lo svegliarsi. Va bene così, aggiunse, o no? —Benissimo, disse. —E ora dimmi tu, disse, allo stesso modo, quanto alla vita e alla morte. Non dici che al vivere è contrario l’essere morto? —Sì. —E che si generano l’uno dall’altro? —Appunto. —Dunque dal vivo che è che si genera? —II morto, disse. —Bene, riprese Socrate; e dal morto? —Bisognerà convenire, disse, che si genera il vivo. —Dunque da ciò che è morto, o Cebète, si genera ciò che è vivo  e insomma dai morti si generano i vivi? —È chiaro, disse. —Dunque le nostre anime sono nell’Ade. —Così pare. —E dei due processi generativi che spettano a questa coppia di contrari, almeno una non è fuori di ogni dubbio? perché il morire è sicuramente fuori di ogni dubbio: o no? —Ma certo, disse. —E allora, diss’egli, come dobbiamo fare? non dobbiamo contrapporre a questo il suo processo generativo contrario? Salvo che non si voglia dire che la natura, in questo punto, è zoppa. O si deve contrapporre al morire il suo processo generativo contrario, quale esso sia? —Certamente, disse. —E qual è questo? —II rivivere. —Dunque, diss’egli, se c’è veramente questo rivivere, il processo  generativo che va dai morti ai vivi non sarà appunto questo, il rivivere? —Bene. —E dunque siamo d’accordo anche per questa via che i vivi si sono generati dai morti non altrimenti che i morti dai vivi. E, posto ciò, ci pareva già ch’esso fosse prova sufficiente a ritenere che le anime dei morti devono esistere necessariamente in qualche luogo, dal quale tornano poi a rigenerarsi. —Mi pare, disse, o Socrate, che, da quanto concordemente si è ammesso, consegua di necessità che la cosa sta così.