da Platone, Cratilo [385e-386e; 439b-440a]

Socrate: Orsù, allora, vediamo, o Ermogene, se anche le cose che sono a te pare che stiano così: la loro essenza dipende da ciascuno di noi individualmente; come diceva Protagora dicendo che "misura di di tutte le cose" è l'uomo; cosicché quali a me sembrino essere le cose, tali anche siano per me, e quali a te, tali per te? o credi piuttosto che esse abbiano una loro stabilità di essenza? Erm.: Già una volta, o Socrate, trovandomi nell'imbarazzo [aporìa], proprio a questo mi lasciai trarre, a quel che Protagora dice; ma non credo affatto che la cosa sia così. So.: O come, a questo ti lasciasti trarre, sì da credere che addirittura non esiste uomo cattivo? Erm.: Oh, no, certo, che anzi più volte codesto mi è capitato, di dover credere che uomini in tutto malvagi che ne siano, e numerosi assai. So.: E del tutto buoni non hai mai creduto che ce ne fossero? Erm.: Sì, ma pochissimi. So.: Credevi in ogni modo che ce ne fossero. Erm.: Sì. So.: Orbene, come intendi tu ciò? Forse, così, che gli uomini del tutto buoni siano del tutto assennati; gli uomini del tutto cattivi siano del tutto dissennati? Erm.: Così almeno mi pare. So.: È possibile allora che, se Protagora diceva il vero ed è questa la verità (che quali a ciascuno sembrano le cose, tali anche sono), alcuni d noi siano assennati, altri dissennati? Erm.: No, certo. So.: Anche questo, io credo, ammetterai sicuramente, che se v'è assennatezza e dissennatezza, non è affatto possibile che Protagora dica il vero; perché nessun uomo potrà mai essere in verità più assennato di un altro, se per ciascuno ciò ch'egli crede vero, è vero. Erm.: È così. So.: Se non che, neppure seguendo Eutidemo [seguace, in questo, di Parmenide], penso, a te sembra che per tutti tutte le cose siano allo stesso modo, insieme e sempre; ché neppur così potrebbero essere gli uni buoni, gli altri cattivi, se fossero allo stesso modo, per tutti e sempre, virtù e vizio. Erm.: Dici il vero. So.: Se quindi né per tutti tutte le cose sono allo stesso modo insieme e sempre[1], né per ciascuno in un suo modo particolare ogni cosa[2], è ben chiaro che codeste cose hanno in se stesse una loro propria e stabile essenza, non dipendono da noi, né da noi sono tratte in su e in giù secondo l'immaginazione nostra, bensì sono per se stesse [= esistono], senz'altro rapporto che con loro essenza, così come sono per natura. [Segue una discussione relativa alla funzione dei "nomi" per significare l'essenza delle diverse cose, p.e. "uomo", "cavallo", "buono", "cattivo" ecc.]

So.: E allora anche questo tuttavia dobbiamo considerare affinché questi molti nomi che tendono allo stesso punto [cioè ad esprimere l'essenza in sé] non ci ingannino: se effettivamente coloro che posero i nomi, con questa persuasione li posero, che tutte le cose si muovono e fluiscono - e pare anche a me che avessero questa persuasione - ; se non che, può darsi che non sia così, e che essi stessi, caduti come in un vortice, ne siano travolti e vi gettino dentro e vi trascinino anche noi. Considera dunque, o meraviglioso Cratilo, una domanda, la quale mi ripeto come in sogno. Diciamo che sono qualche cosa per se stesso il bello, il buono, e così ognuna delle cose, o no? Cratilo: A me pare di sì, Socrate. So.: Quell'"esso stesso", dunque, consideriamo: non già se è bello un volto e qualche cosa di simile, tutte cose che sembrano fluire, bensì esso stesso, diciamo, il bello, non è sempre tale quale è? Crat.: Necessariamente. So.: Orbene, è possibile  quell'[altro] "bello" chiamarlo giustamente per sé se, invece, sempre ci scappa via di sotto, e dire anzitutto che esso è, e poi dire che è tale; o è necessario che al momento stesso che noi parliamo divenga subito altro e ci scappi via e non sia più così? Crat.: È necessario. So.: E allora, come potrà essere qualche cosa ciò che non è mai allo stesso modo? Ché se un momento rimane fermo nello stesso modo, almeno in quel momento è chiaro che non passa via; e se sempre rimane allo stesso modo, ed è lo stesso, come potrebbe esso mutare o muoversi, senza allontanarsi per niente dalla propria idea? Crat.: In nessun modo. So.: Ma allora neppure potrà essere conosciuto da nessuno. Infatti, nel momento stesso che chi lo deve conoscere gli s'avvicina, ecco che diverrà altro e di altra specie; cosicché non potrà più essere conosciuto né quale è né come è. Nessuna conoscenza, certo, conosce ciò che conosce, se codesto non sta fermo in nessun modo. Crat.: È come dici.



[1] Platone qui allude all’ipotesi di Parmenide: che tutto sia “uno” e coincida con “ciò che è”. Sappiamo che nel dialogo Sofista Platone esclude questa ipotesi, mostrandone l’interna aporia: “ciò che non è” si può “salvare” come “ciò che è altro” o “diverso”. Ne consegue che si salva l’ipotesi del molteplice.

[2] Qui Platone si riferisce al relativismo sofistico, confutato poco sopra e, come sappiamo, nel Teeteto.