& G. W. Leibniz, Saggi di teodicea
Antonio ‑ Ecco ora la difficoltà: se Dio ha previsto il tradimento di Giuda, se era necessario che egli tradisse, se era impossibile ch'egli non tradisse. All'impossibile non si è obbligati. Perciò egli non ha peccato, perciò non merita di essere punito. [...]
Lorenzo ‑ Dio ha previsto il peccato, ma non ha forzato l'uomo a commettendo; il peccato è volontario.
Antonio ‑ Questa volontà era necessaria, perché è stata prevista.
Lorenzo ‑ Se la mia conoscenza non fa sì che le cose passate o presenti esistano, la mia prescienza[1] non farà esistere le future[2].
Antonio ‑ Questo paragone è fallace: il presente e il passato non possono essere cambiati, essi sono già necessari; ma il futuro, mutabile in sé diventa fisso e necessario per la prescienza[3]. Fingiamo che un Dio del paganesimo si vanti di sapere l'avvenire; io gli domanderò se egli sa quale piede metterò prima, poi farò il contrario di ciò che egli avrà predetto.
Lorenzo ‑ Questo Dio saprebbe ciò che vorrete fare.
Antonio ‑ Come potrà saperlo, dato che farò il contrario di ciò che lui avrà detto? Ed io suppongo che dirà ciò che pensa?
Lorenzo ‑ La vostra finzione è falsa: Dio non vi risponderà o, se vì risponderà, la venerazione che avrete per lui, vi farà affrettare a fare ciò che vi avrà detto: la sua predizione sarà per voi un ordine. Ma noi abbiamo cambiato questione. Qui non si tratta di ciò che Dio predirà, ma di ciò che prevede. Ritorniamo perciò alla prescienza e distinguiamo fra il necessario e il certo. Non è impossibile che ciò che è stato previsto non accada; ma è infallibile che ciò accadrà. lo posso diventare soldato o prete, ma non lo diverrò. [...] Per spiegarvi meglio la cosa fingiamo che Sesto Tarquinio, venuto a Delfo per consultare l'oracolo di Apollo, abbia per risposta: "Povero e bandito dalla patria, ti accadrà di perdere la vita".
Antonio ‑ Egli dirà: "lo vi ringrazio o Apollo, di aver parlato. Ma da che deriva che Giove sia così crudele con me? Perché prepara un destino così aspro a un uomo innocente? [...]"
Lorenzo ‑ "Voi innocente?" risponderà Apollo. "Sappiate che voi sarete superbo, che commetterete adulteri, che sarete traditore della patria. [...]" Sesto potrà dire: "No, Apollo, io non voglio fare in nessun modo ciò che voi dite. [...] " Forse Apollo gli dirà: "Sappiate, mio povero Sesto, che gli Dei fanno ogni essere così com'è. Giove ha fatto il lupo rapace, la lepre timida, l'asino stupido, il leone coraggioso. Così dona a voi un'anima, malvagia e incorreggibile: voi agirete in conformità al vostro naturale e Giove vi tratterà come lo meriteranno le vostre azioni: egli lo ha giurato per lo Stige. [...]"
Antonio ‑ Vi confesso che Apollo, scusandosi, accusi Giove[4] più che non accusi Sesto, e Sesto gli risponderà: "Giove allora condanna in me il suo proprio crimine: è lui il solo colpevole: Egli mi poteva fare un altro; ma essendo fatto come io sono, debbo agire come ha voluto. Perché dunque mi punisce? Potevo io resistere alla sua volontà?"
Lorenzo ‑ Vi confesso che qui io mi fermo, al pari di voi. Io ho chiamato gli Dei sulla scena, Apollo e Giove, per farvi distinguere la prescienza e la provvidenza. Vi ho mostrato come Apollo, o la prescienza, non nuoce alla libertà: ma non saprei come soddisfarvi sul decreti della volontà di Giove, cioè sugli ordini della provvidenza.
Antonio ‑ Voi mi avete tratto da tiri abisso, per spingermi in un abisso più profondo.
[Pallade Atene][5] ‑ "Ecco il palazzo dei destini, dei quali lo ho la custodia. Qui ci sono le rappresentazioni non solo di quanto accade, ma anche di tutto ciò che è possibile: Giove, avendole passate in rivista all'inizio del mondo esistente, ha trasformato le possibilità in mondi, scegliendo il migliore di tutti. A volte egli torna a vedere questi luoghi per prendersi il piacere di ricapitolare le cose e rinnovare la propria scelta, della quale non può mancare di compiacersi. lo non ho che da parlare e noi vedremo tutto un mondo che mio Padre poteva produrre e nel quale si trova rappresentato tutto ciò che si può domandare, e con questo mezzo si può anche sapere ciò che accadrebbe se questa o quest'altra possibilità dovesse esistere. [...] Questi mondi son tutti qui, cioè nelle idee. lo vi mostrerò dove si troverà, non già lo stesso Sesto che tu conosci [...], ma alcuni Sesto simili [...]. Tu troverai perciò in un mondo tin Sesto molto virtuoso ed elevato, in un altro un Sesto contento di uno ,stato mediocre, insomma Sesto di ogni specie e di ogni infinità di modi". Detto ciò la Dea condusse Teodoro in un appartamento: appena vi entrarono, non era un appartamento, ma era un mondo. Per ordine di Pallade, si vide apparire Dodona con il tempio di Giove, e Sesto che ne usciva: lo si sentiva dire, che ubbidirebbe a Dio. Teodoro vede tutta la sua vita con un colpo d'occhio, e come in una rappresentazione teatrale. [...] Passa poi in un altro appartamento, ed ecco un altro mondo, un altro Sesto, che uscendo dal tempio e risoluto di obbedire a Giove, si reca in Tracia. [...] Gli appartamenti costituivano una piramide; a misura che si procedeva verso la cima, erano sempre più belli, e rappresentavano mondi sempre più perfetti. Giunge infine nel più alto dove terminava la piramide e che era il più bello di tutti; infatti la piramide aveva un inizio, ma non aveva una fine [...]. Ciò era perché (come spiegò la Dea) in una infinità di mondi possibili, c'è sempre il migliore di tutti, altrimenti Dio non sarebbe affatto determinato a crearne alcuno; [...] "Tu vedi che mio padre non ha fatto Sesto malvagio; egli lo era da tutta l'eternità e lo era liberamente Giove non ha fatto che dargli l'esistenza che la sua saggezza non poteva rifiutare al mondo nel quale era compreso: Egli l'ha fatto passare dal regno dei possibili al regno degli esseri attuali. li delitto di Sesto giova a grandi cose: rende libera Roma, fa nascere un grande impero che fornirà esempi mirabili. Ma quel delitto era un nulla di fronte alla totalità del mondo, del quale tu annuncerai la bellezza, quando, dopo il felice passaggio dallo stato mortale a Lino migliore, Dio ti renderà capace di conoscerlo". In questo momento Teodoro si sveglia: rende grazie alla Dea, rende giustizia a Giove e, persuaso di ciò che aveva visto e compreso, riprende la missione di Grande Sacerdote, con tutta la gioia di cui un mortale è capace.
& G. W. Leibniz, Teodicea,
I, § 46
V'è, dunque una libertà di contingenza o, in qualche modo, d'indifferenza purché s'intenda che nulla ci necessita per l'uno o per l'altro partito; non v'è mai, però, indifferenza di equilibrio, nella quale, cioè, tutto sarebbe perfettamente uguale da una parte e dall'altra senza che vi sia una qualche inclinazione verso una delle due. Un'infinità di movimenti piccoli e grandi, interni ed esterni, dei quali il píù delle volte noi non appercepiamo, concorre in noi; ed ho già osservato che, quando si esce da una stanza , vi sono sempre ragioni che ci spingono a porre avanti un certo piede senza che noi vi si rifletta; benché non v'è sempre uno schiavo che ci gridi, come nella casa di Trimalcione in Petronio «Avanti il piede destro».
Tutto quanto abbiamo detto s'accorda perfettamente con le massime dei filosofi, che insegnano che una causa non può agire se non ha una disposizione che contiene una predeterminazione, sia che l'agente l'abbia ricevuta dall'esterno, sia che l'abbia in forza della sua propria costituzione anteriore[6].
& G. W. Leibniz, Teodicea,
I, § 51
Per quanto si riferisce alla volizione, è qualcosa di improprio dire che essa è un oggetto della volontà libera. A parlare rettamente, noi vogliamo agire e non vogliamo volere, altrimenti potremmo dire che vogliamo avere la volontà di volere, e così via, all'infinito. Del pari noi non seguiamo l'ultimo giudizio dell'intelletto pratico, quando ci determiniamo a volere; ma seguiamo sempre, volendo, il risultato di tutte le inclinazioni che derivano sia dalle ragioni sia dalle passioni, il che accade spesso senza esplicito giudizio dell'intelletto.
Tutto, dunque, nell'uomo è certo e predeterminato, come del resto, ovunque, è l'anima umana è una specie di automa spirituale, benché le azioni contingenti in generale, e le azioni libere in particolare, non siamo perciò necessarie di una necessità assoluta, che sarebbe veramente incompatibile con la contingenza.
& G. W. Leibniz, Teodicea,
III, § 288
Noi abbiamo fatto vedere che la libertà, così come la si esige nelle scuole teologiche, consiste nell'intelligenza che implica una conoscenza distinta dell'oggetto della deliberazione; nella spontaneità, con la quale noi ci determiniamo; nella contingenza, cioè nella esclusione della necessità logica o metafisica. L'intelligenza è come l'anima della libertà; il resto ne è come il corpo e la base. La sostanza libera si determina da se stessa e secondo il motivo del bene percepito dall'intelletto, che l'inclina senza necessitarla: tutte le condizioni della libertà sono comprese in queste poche parole.
[1] Per “prescienza” si intende la capacità di prevedere completamente il futuro. Generalmente la si attribuisce a Dio, insieme alla provvidenza, la facoltà di predeterminare il futuro medesimo, indirizzandolo al bene.
[2] Lorenzo intende dire che come il fatto di conoscere il passato e il presente non fa sì che io li faccia esistere, allo stesso modo il conoscere il futuro (prescienza) non lo determina.
[3] Se so che domani farò qualcosa, non potrò più fare altrimenti, anche se ciò che farò lo farò volontariamente e se “in teoria” sarei sempre libero di fare dell’altro. Anzi, basta che chiunque altro sappia che io domani farò una determinata cosa perché io non possa più fare a meno di farla: la sua prescienza diviene per me predestinazione. Ma è proprio così?
[4] Per evitare censure da parte della Chiesa, Leibniz, invece che il Dio cristiano, mette in scena due dèi pagani, Apollo e Giove, a cui fa rappresentare rispettivamente la prescienza e la provvidenza (predestinazione) divine (Apollo è Dio in quanto onnisciente, Giove è Dio in quanto onnipotente).
[5] A questo punto Leibniz, per risolvere il problema della predestinazione, mette in scena un’altra dea, Pallade Atene, che introduce il famoso “palazzo dei destini incrociati”. Si tratta del sogno di un certo Teodoro, rappresentazione allegorica di tutti i mondi possibili tra i quali Dio avrebbe scelto di creare quello migliore. Secondo Leibniz, se supponiamo che Dio abbia creato questo mondo tra infiniti altri possibili, esso è contingente (cioè non è necessario) e, nonostante la predestinazione, è compatibile con la libertà dell’uomo. Per “contingenza” (dal latino “contingit”, cioè “capita”, “accade”) si intende la proprietà degli eventi in quanto accadono senza necessità assoluta. Si noti che, dal punto di vista di Leibniz, l’ultima conseguenza di una serie di cause la prima delle quali è contingente (cioè non è necessaria) è a sua volta contingente come l’intera serie, anche se la relazione tra una causa e il suo effetto, in quanto tale, è ovviamente necessaria. Per esempio se da una azione libera (non necessaria) consegue che una porta si chiuda, la chiusura della porta è contingente (come la mia stessa azione), anche se, una volta che decido di chiuderla, essa “necessariamente” dovrà chiudersi. Invece “2 + 2 = 4” è necessario in senso assoluto.
[6] Secondo anche altri filosofi (Spinoza ecc.), come sappiamo, una causa (per es. una persona o un cilindro, come cause di ulteriori effetti) non può agire se non è determinata a farlo o dall’esterno o dalla propria natura o forma. Tuttavia, mentre per gli stoici, così come per Spinoza, in tutti questi casi si agisce “necessariamente”, secondo Leibniz, invece, in tutti questi casi l’azione è contingente e non necessaria.