Hegel definisce la filosofia "lo scandaglio del razionale, appunto perciò è la comprensione del presente e del reale" e "il proprio tempo appreso nel pensiero". Dunque lo scopo della filosofia non è quello di criticare l'esistente, il mondo, né tanto meno quello di trasformarlo (come invece penserà Marx), ma è piuttosto quello di comprenderlo.

Il presupposto e la giustificazione di questa tesi sta nell'equazione reale = razionale.

A sua volta questo presupposto si fonda sulla seguente considerazione. Ciò che è, che è reale, è tale per qualche ragione. Non riusciremmo a intenderlo come reale, a dire che "è" qualcosa, un oggetto vero e proprio, se non potessimo concepirlo razionalmente, ossia come posto in relazione dialettica con gli altri concetti/oggetti e con l'intero (lo Spirito). Si tratta del presupposto generale dell'idealismo per il quale nulla è se non in quanto è pensato. D'altra parte il "pensiero", se è effettivamente tale, è sempre pensiero di qualcosa che è, dunque è identico al reale.

La conseguenza è che per tutto ciò che storicamente accade si deve presupporre un fondamento razionale, altrimenti non lo si potrebbe neppure concepire. Si può quindi dire che la filosofia sia "il proprio tempo appreso nel pensiero".

Hegel altrove distingue tra il reale vero e proprio (= razionale) e l'accidentale, che non è materia di filosofia. Per esempio che Napoleone si soffiasse il naso con questo o quel fazzoletto ecc. Si tratta di eventi che non incidono sul corso del mondo e, pertanto, inessenziali (collocabili nella "natura", come spirito fuori di sé, piuttosto che nella storia).

N.B. Resta il problema di capire se Hegel intenda che "ogni futura filosofia" se sarà degna del suo nome sarà "il suo tempo appreso nel pensiero" e, quindi, avrà lo stesso valore di quella di Hegel, oppure che la propria filosofia sia quella definitiva, come sembrano suggerire altri passi.

Inoltre se la filosofia deve solo comprendere quanto è già accaduto, come la "nottola di Minerva che si leva sul far del crepuscolo", allora sembra che essa debba anche giustificare tutto nel momento in cui ne riconosce la razionalità. In effetti, in generale se comprendo le ragioni p.e. del nazismo posso finire prima o poi per giustificarlo (nel senso di riconoscere che date certe premesse non potevano che scaturire determinate conseguenze, nell'economia dello "spirito del mondo"). Si potrebbe finire quasi per dover condividere certe scelte compiute se le si riconoscono come razionalmente necessarie...