Miracoli della retrocausazione: quando Gesù divenne Dio?

battesimo di Cristo

Consideriamo, innanzitutto, quanto segue.

Possiamo interpretare diversi fenomeni naturali alla luce dell’ipotesi che vi si registrino forme di retrocausazione.

Il futuro determinerebbe il presente (o, se preferisci, il presente il passato), pur essendone a sua volte determinato. Globalmente si registrerebbe una  “causalità circolare“, proprio quella che contraddistinguerebbe tanto il vivente, quanto l’intero universo (in quanto cosmo), nella prospettiva aperta dalla Critica del Giudizio di Kant (e ripresa dalla cultura romantica  e idealistica tedesca dell’Ottocento).

  • Puoi fare qualche esempio?

In altra pagina ho evocato i seguenti esempi.

Nel campo dei quanti, l’osservazione di determinate particelle non solo determina quali ne siano le proprietà qui e ora, ma, cancellando proprietà, “incompossibili” con queste, “esistite” in precedenza virtualmente in stato di sovrapposizione quantistica, in un certo senso, “retrodetermina” le proprietà che le particelle dovevano avere prima di essere osservate. Pensa all’esperimento della scelta ritardata concepito da John A. Wheeler: un fotone che “sa” di dover passare una “doppia fenditura” (nel tempo t2) si propaga (nel tempo t1) in modo diverso di come si propagherebbe se non dovesse affatto passare tale doppia fenditura.

Nel campo dei viventi l’esempio classico è quello dell’albero: l’albero (il tutto) è causa della vita delle foglie (le parti), le quali, a loro volta, favorendo la fotosintesi clorofilliana, sono causa della vita dell’albero. La fotosintesi è, dunque, insieme il meccanismo che ha per effetto (cieco) la vita dell’albero, ma anche qualcosa che possiamo individuare sulla base dell’ipotesi (del “giudizio riflettente”, in termini kantiani) che tale meccanismo assolva una funzione, dunque abbia un fine. Sotto il primo profilo la spiegazione invoca cause efficienti (eventi che precedono il processo da spiegare, p.e. l’irradiazione solare, le reazioni chimiche che si svolgono nelle foglie); sotto il secondo profilo la spiegazione invoca cause finali (eventi che seguono il processo, come la sopravvivenza dell’albero, che, a sua volta, rende possibile perpetuare la fotosintesi).

Infine, adottando e adattando il modello di “partecipatory universe” di John A. Wheeler, ho proposto che l’intera evoluzione dell’universo possa avere inestricabilmente e circolarmente come fine e come causa efficiente l’emergere della coscienza.

Bene, la nozione di “retrocausazione” implicata nel concetto di “causalità circolare” può illuminare altrettanto bene gli eventi della storia sacra (mi riferisco, ad esempio, agli episodi della vita di Gesù narrati nei Vangeli).

  • In che termini?

Se accettiamo la ricostruzione della vita di Gesù (e della comunità cristiana delle origini) proposta dalla ricerca storica, sembra che ci dobbiamo rassegnare a demitizzare (per usare un’espressione cara al teologo Rudolf Bultmann) una serie di episodi della vita di Gesù, che sarebbero stati successivamente abbelliti e “trasfigurati” dagli autori dei Vangeli, sulla base dell’interpretazione che nella loro rispettiva epoca andava maturando del significato della vita e (soprattutto) della morte (e resurrezione) di Cristo.

In particolare, dovremmo rassegnarci a credere (sulla base di ottimi argomenti filologici e storiografici, come quelli messi in campo da Bart Ehrman nel suo How Jesus Became God) che Gesù non si sarebbe affatto considerato Dio, né sarebbe stato considerato tale dai suoi discepoli, almeno fino alla sua morte in croce. Successivamente, e per gradi, soprattutto a seguito della “credenza” nella sua resurrezione, gli sarebbe stato attribuito un “status” divino di sempre maggiore “grandezza”, culminante nella sua proclamazione, nel Credo niceno, come “identico (homousios) al Padre” (della stessa “sostanza” o, meglio, “essenza”).

Come riassume Ehrman (in uno scritto precedente a quello sopra evocato):

Prendiamo [...] il titolo di "Figlio di Dio": in termini generali, esso fa riferimento al particolare status di Gesù, un'identità che lo avvicina a Dio. Ma la questione è: quando Gesù ha ricevuto questo status particolare? Alcuni gruppi, all'inizio, credevano che lo avesse ricevuto al momento della resurrezione, quando fu "generato" da Dio come suo figlio. Questa credenza si riflette, ad esempio, nelle antiche tradizioni preservati in At 13, 33 e Rm 1, 3-4 [cioè negli Atti degli Apostoli e nella Lettera ai Romani di San Paolo]. Altri, forse qualche tempo dopo, iniziarono a credere che Gesù doveva essere stato un figlio particolare di Dio non solo da risorto, ma già nel corso della sua missione nel mondo. Per costoro, Gesù era diventato Figlio di Dio al momento del suo battesimo, quando una voce dal cielo aveva proclamato: "Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato", come recito il testo presente in alcuni manoscritti di Luca e come credevano alcuni gruppi giudeo-cristiani. Altri iniziarono a credere che Gesù doveva essere stato Figlio di Dio non solo durante il suo ministero pubblico, ma nell'intero corso della sua vita: in alcuni Vangeli più tardi [cioè Matteo e Luca, ma non Marco!], ci sono indicazioni sul fatto che Gesù non avesse un padre terreno (cfr., per esempio, Lc 1, 35). Altri ancora giunsero a credere che Gesù doveva essere stato il Figlio di Dio, non semplicemente dalla sua nascita, ma da sempre. Già alla fine del I secolo, alcuni gruppi di credenti andavano proclamando che Gesù era in sé divino, che esisteva prima della sua nascita, che aveva creato il mondo e tutto ciò che contiene [cfr. il Prologo del Vangelo di Giovanni], e che era venuto sulla terra per compiere una missione in quanto Dio. [Bart Ehrman, Il nuovo testamento, pp. 249-50]
  • Ho letto i testi di Ehrman. Mi sembra una ricostruzione assolutamente convincente.

Lo è senz’altro sul piano storico e storiografico. Tuttavia come dobbiamo intendere la cosa teologicamente?

Lo storico, per definizione, non si pronuncia sulla veridicità di quanto è tenuto per vero per fede…

  • No, certo, almeno se accettiamo l’impostazione epistemologica di autori come lo stesso Ehrman  [cfr. p. 143 e ss.]. Tuttavia, a me pare che se ogni cosa risulta sufficientemente spiegata storiograficamente (rimarchevole, ad esempio, il paragrafo di How Jesus Became God, in cui Ehrman mostra come tutto lasci pensare che la resurrezione di Gesù possa essere interpretata come un fenomeno “allucinatorio” [p. 186 e ss.]), viene meno la necessità di offrine una spiegazione ulteriore, invocando p.e. un’azione divina, alcunché di soprannaturale.

Una “spiegazione ulteriore”, teologica, tuttavia, – che, nella mia lettura, non evocherebbe affatto alcunché di soprannaturale, ma rientrerebbe a pieno di titolo in un’interpretazione sottile dei fenomeni naturali – potrebbe promanare, non  già da un’investigazione sui fatti accaduti p.e. in Palestina al tempo di Gesù, bensì, piuttosto, dalla necessità filosofica di dare significato alla nostra vita e, a questo fine, alla storia del mondo.

Se partiamo dall’ipotesi che Dio esista (ipotesi che mi sembra francamente sostenibile a condizione di comprendere a fondo che cosa si debba intendere per “Dio”  a partire da una meditazione circa la nostra stessa essenza in quanto “creature” coscienti di esistere), non possiamo pensare che, proprio come l’evoluzione dell’universo dal Big Bang al sorgere della coscienza, così anche la storia dello sviluppo di questa stessa coscienza (la “storia dello Spirito”, per dirla à la Hegel) Gli possa essere (stata) indifferente.

Ora, in tale storia è senz’altro stato decisivo, come possiamo serenamente riconoscere a posteriori, il cristianesimo.

Perciò, a meno di non rassegnarci a credere che le cose avvengano a caso e che le più “significative” sopravvivano nel tempo per mera “selezione naturale” (ipotesi che ho già cercato, in generale, di confutare), bisogna che il cristianesimo (come anche, in modi diversi, le altre religioni) abbia senso “agli occhi di Dio”.

  • Ammettiamolo pure. E con questo?

In un certo senso l’esaltazione di Gesù a Dio, ad opera di Dio, dopo la sua morte, è qualcosa di “vero”, anche solo per il fatto che, essendo creduto da molti ed essendo costoro “partecipi della natura divina” (come è possibile filosoficamente argomentare), in un certo senso è stato veramente Dio ad esaltare Cristo come Figlio Suo… Ma c’è di più.

  • Che cosa?

Ecco le meraviglie della retrocausazione. Nel “momento”, dopo la morte di croce, in cui Dio esalta Gesù come Suo Figlio, facendolo “risorgere”, ebbene, riconoscendolo “ora” come Dio, Dio lo “trasfigura”, retrocausalmente, “ora per allora“, in ciò che è sempre stato.

  • Come sarebbe?

Comunemente pensiamo che un evento possa determinare soltanto (essere causa di) eventi successivi ad esso. Ma, come abbiamo ricordato, si registrano (in natura!) fenomeni di retrocausazione.

Ora, chi più di Dio potrebbe esercitare un potere retrocausale? Niente di strano, dunque, che quel Cristo che è stato esaltato “alla destra del Padre” dopo la Sua morte, mediante la Sua resurrezione, in quello stesso istante abbia, per così dire, letteralmente rivissuto in modo trasfigurato i momenti centrali della Sua vita.

  • Quali momenti?

Ripercorriamoli all’inverso, seguendo un’immaginaria onda retrocausale, che poi è la stessa documentata dalle ricostruzioni storiografiche delle interpretazioni successive della vita di Gesù.

Quando ascese al monte Tabor, Pietro lo vide trasformarsi in un essere divino.

Quando fu battezzato, in  quanto seguace di Giovanni Battista, una colomba scese dal cielo e Dio lo riconobbe come Figlio (“Ora ti ho generato”, in una versione del Vangelo di Luca, 3, 22).

Quando nacque, nacque da una vergine per opera dello Spirito di Dio.

Prima di tutti i secoli era già lì, come Lògos, Figlio di Dio coeterno al Padre.

Dio, in quanto onnipotente, come dicevano i teologi medioevali, può anche fare che non sia stato fatto ciò che è stato fatto e viceversa (factum fieri infectum potest).

D’altra parte il tempo di Dio (l’aiôn, l’eternità) non è quello dell’uomo (il chrònos, che scorre linearmente). Per Dio è tutto simultaneo. Niente di strano che ciò che Egli compie in ciò che per noi è il presente (o il passato) si riverberi, per così dire, istantaneamente nel passato (o nel trapassato) così come nel futuro (o nel futuro anteriore). Modificando qualcosa ora (o in qualsiasi momento) Egli modifica simultaneamente ogni cosa.

  • Ma non riconoscemmo come credibili le ricostruzioni storiche che attribuiscono questi “momenti esaltanti” della vita di Gesù a successive interpretazioni, sempre più “ispirate”, della comunità cristiana? In che senso tu attribuisci tali “eventi” a un’azione retrocausale di Dio stesso? Insomma: Gesù sapeva o non sapeva di essere Dio? Dobbiamo accettare come storicamente accaduti i fatti narrati nei Vangeli, come quelli che hai appena evocato, o come mere “invenzioni” dei primi cristiani?

Dobbiamo distinguere qui

  1. la storia profana, nella quale verosimilmente le cose sono andate esattamente come vengono oggi ricostruite dagli storici: Gesù era figlio carnale di Giuseppe e Maria, aveva fratelli, era seguace del Battista, non sapeva di essere Dio, annunciava un prossimo regno di Dio realizzato da un “figlio dell’uomo” col quale verosimilmente egli non si identificava, è morto in croce come non aveva affatto immaginato, ed è risorto “soltanto” nella fantasia di alcuni suoi seguaci;
  2. e una storia sacra (o immaginale o spirituale), nella quale le cose sono andate come Dio ha “post-determinato” che andassero e come i credenti (come ha stabilito il concilio di Nicea del 325) credono che siano andate.

Osserva che i Vangeli descrivono entrambe le “storie”: a volte “tradiscono” come le cose sono veramente andate: pensa ai riferimenti ai fratelli di Gesù e a tutti quei passi che gli storici ricostruiscono come  storicamente attendibili in base ai certi precisi criteri; per lo più, tuttavia, i Vangeli ricostruiscono gli eventi come si sono svolti nella “fantasia” (divinamente ispirata) dei cristiani, la quale, tuttavia, è in un certo modo “certificata” da Dio: essa cioè “ricrea” un universo spirituale che non è meno “vero” di quello “storicamente verificabile” (anche questo universo “storico”, se ci rifletti, è perso per sempre nelle tenebre del passato  e, sotto questo profilo, non più “oggettivo” dell’altro).

Considera anche il significato del rito, messo in luce dall’antropologia. Qui e ora Cristo, durante la celebrazione eucaristica, muore  e risorge per noi, veramente, ancora una volta (anzi, “di nuovo per la prima volta“, in un certo senso) col Suo corpo e il Suo sangue, adesso, ora come allora.

Questa simultaneità è resa possibile dal tempo sacro, circolare e ripetitivo, altro rispetto al tempo lineare profano.

  • Due universi quindi? E due ordini temporali?

O anche di più.

Pensa ai celebri paradossi dei viaggi del tempo, resi teoricamente possibili dalla teoria della relatività: se viaggiassi a ritroso fino a quando i miei genitori si sono incontrati casualmente al Luna Park e impedissi tale incontro, sorgerebbe un “universo parallelo” in cui io non sarei mai nato! Modificando il passato, modificherei il futuro… ma solo in un universo parallelo, non nel mio.

  • Perché non anche nel tuo?

Se si trattasse del mio stesso universo, cancellando la mia esistenza, impedirei anche il mio viaggio nel tempo e, dunque, anche la cancellazione della mia esistenza… si tratta di un’evidente antinomia.

Come ho argomentato in altra pagina, l’universo si dà sempre in prospettiva e, in questo modo, si costituisce, sempre di nuovo, come mondo.

Ora, queste prospettive possono finanche non essere perfettamente “sincronizzate” (in un’harmonia praestabilita), come esigeva Leibniz, in riferimento alla prospettive che contraddistinguevano le sue monadi. Evocando il paradosso dell’amico di Wigner, possiamo ammettere che tra le nostre diverse “visioni del mondo” persistano incomprimibili divergenze più o meno macroscopiche,  effetto dell’indeterminazione irriducibile della “realtà”.

A maggior ragione i “mondi spirituali” (o “immaginali” nella terminologia di Henri Corbin), nei quali siamo immersi quando “crediamo” a qualcosa (abbracciamo p.e. una religione), possono vieppiù divergere (essere, dunque, più di uno) e divergere dal “mondo storico” senza per questo, proprio in quanto diversi, essere in contraddizione tra loro o essere falsi.

 

 

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di Giorgio Giacometti